Rivista

Giovanni Festa

Numerose pagine della letteratura argentina sono dedicate a un paradosso: la vita colta in un momento complesso, inesplicabile, al bordo dell’intraducibile che, pure, riesce a trasformarsi in territorio e, quindi, in romanzo (La vie est un roman, chioserebbe Resnais nel titolo del suo film - scritto da Jean Gruault - forse più vicino al dettato del crepuscolo) e a ricostruire un sito che, come dice Borges, è menos documental que imaginativo. Cortázar, come si sa, non finiva mai di interrogarsi sulle leggi segrete della creazione letteraria: come Piglia, come Saer il narratore è, anche, secondo una tradizione esoterica ed erudita – inaugurata da quel grande amanuense che era proprio Borges – «lettore»: ultimo, come si voleva Emilio Renzi-Piglia, ma anche «poeta» come Saer, e, in tutti i casi, «critico» (un racconto emblematico di Cortázar è, in questo senso, Los pasos en las huellas) che abbraccia tutta la letteratura universale scoprendo, alla fine, che non si è fatto altro che comporre, come in un quadro di Arcimboldo con la sua simbiosi paranoica di oggetti, un mosaico di immagini il cui risultato è il proprio stesso volto. Cortázar, si diceva: in Intermedio magico accenna alla forza della poesia e del suo strumento principale, la metafora, capace di penetrare nel mondo delle cose stesse, fuori dalla legge del nome (aborrita anche dall’Eltsir di Proust), e cancellare la singolarità delle cose attraverso il ponte magico del «come», che permette al cervo e al vento (qui Cortázar cita Levi-Strauss) di partecipare (di gioire, verrebbe da dire) di una medesima qualità.

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Luigi Abiusi

Se è vero che uno degli aspetti più evidenti della letteratura sudamericana del Novecento (stante l'azzardo ad accomunarla entro un assioma, una schematicità che del resto si consustanzia nella riprova entro i territori, le regioni, fino agli ecosistemi più minuti e particolari, casi antropici che si rivelano poi specificamente letterari) è la stratificazione e la coloritura dell'azione, della storia, trame magmatiche, impastate di polvere e sangue, raffreddate da sferze di vento; è anche vero che entro questa plastica degli eventi emerge un tratto formalista che corrisponde all'assottigliamento o disarticolazione di quella plastica (in favore dello scorcio), verso la riflessione e la sperimentazione linguistica.

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Elvira Del Guercio

Una ricognizione nell'universo femminile del cinema horror degli ultimi anni

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di gender gap e disuguaglianza di genere nell’industria cinematografica e nei film. Film che trasmettono sentimenti, stati d’animo, che fanno orrore o piangere; film di ogni tipo in cui poco spazio, o uno spazio per lo più marginale, di puro supplemento, è dedicato all’ideazione e caratterizzazione di personaggi femminili. E se è opinione ormai condivisa che il processo di emancipazione delle donne nato negli anni Sessanta abbia radicalmente modificato la visione e l’immagine femminili nel cinema hollywoodiano e indipendente, oggi, sulla scia dei neonati movimenti, sembra aver preso di nuovo vita, riattualizzandosi, un dibattito più che decennale e che si rifà, guardando specialmente al cinema horror e slasher, alle teoriche queer, femministe e di genere degli ultimi decenni del secolo scorso.

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Beatrice Fiorentino

Il corpo della donna come terreno di riflessione politica. Un corpo all’apice della femminilità, carnale, rigoglioso, fecondo, in attesa di mettere al mondo nuova vita eppure estraneo a qualsiasi cliché legato all’immagine stereotipata e melliflua della maternità. Forte come non mai, forte di una forza inedita e dirompente, ma al tempo stesso fragile, compromesso, goffo, in preda a una incontrollata e tumultuosa trasformazione.

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Alice Cucchetti

In una delle tante interviste rilasciate durante la promozione di Raw, Julia Ducournau dice che, per quanto la riguarda, un coming of age non c’entra niente con l’età: «Può accadere in ogni momento dell’esistenza. Può avvenire con la prima gravidanza, sia per una madre che per un padre, o quando un uomo perde i capelli, o quando una donna entra in menopausa». Poi dà la sua personale definizione: «È un punto di svolta nella vita, in cui il fatto che l’integrità del tuo corpo cambi ti obbliga a mettere in discussione te stesso e la tua identità».

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Vanna Carlucci

L’immagine è un’ombra, spettro che si muove, latente nella luce diafana, errante nel suo imporre una comparsa e, l’istante dopo, una scomparsa, sospesa nel formicolio incessante della sua apparizione ma, «quanto bisogna affondare nella notte per farne emergere, consorgere, l’auroralità?» (Roberti 2012, p. 53). È dentro questa dialettica del cinema come visione fantasmatica che brulicano, in A Girl Walks Home Alone at Night, figure tenebrose, sopravvissute oltre la vita; ed è la notte lo sfondo o lo schermo dentro la quale appare una donna vampiro, creatura estrema e volto lunare nei pelaghi del cielo nero. Sola e silenziosa vaga nel panorama scheletrito sfatto e apocalittico, nel movimento incessante di trivelle che suggono petrolio, suzione che fa il verso a quella vampiresca del morso. Come un angelo, come il giustiziere della notte lei vola sul ciglio della strada, sempre ai bordi, sempre al limite della vita e della morte e sempre al confine tra due mondi: quello iraniano (il suo mantello che è una hijab cita spettri del cinema passati e ancora riviventi) e quello americano (il film è stato girato in California).

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Mariangela Sansone

Da un’acidula melagrana, squarciata e sanguinante, può nascere un pesce rosso che ha fagocitato due tigri pronte ad avventarsi su un innocente corpo femminile nudo, mollemente adagiato tra cielo e terra. Le creature infernali e paradisiache dipinte da Dalì nel Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, del 1944, evocano il tormento e l’estasi della natura umana, e le pulsioni implosive ed esplosive del desiderio.

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Alessandro Cappabianca

I mostri dell’isola.

Quasi tutti i mostri cinematografici vivono su un’isola, in uno spazio raccolto e remoto, circondato dal mare, che contribuisce a mantenere segreta la loro esistenza – a meno che ,certo, un regista curioso (e avventuroso) non decida di andare a verificare sul posto, come avveniva nel primo King Kong (Cooper e Schoedsack, 1933), l’attendibilità della leggenda. Da vero conoscitore dei gusti del pubblico, il regista si porta dietro una bella ragazza (non importa che sia o no un’attrice, non importa se sappia recitare o no), da inserire comunque nel film, perché una storia d’amore ci sta sempre bene.

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Giovanni Festa

Il «mostruoso» si potrebbe definire come un’interferenza nell’ordine delle cose: è mostruoso qualunque evento che provoca, attraverso la sua sconcertante stravaganza, la sua eccedenza, uno strappo violento nel tessuto del quotidiano e che non si capisce bene da dove provenga: è il non completamente focalizzato (registrare la messa a fuoco, ritardarla, procrastinarla, fingerla, è anche una maniera per non lasciarci assorbire dal mostruoso, evitando il faccia a faccia che ci perderebbe). Il mostruoso è il senza fissa natura, perché partecipa nello stesso tempo, e disordinatamente, di molte nature eterogenee insieme (il Capriccio) o di nessuna (l’Ombra). La reazione al mostruoso è la Nausea, che insieme anima l’inerte e si rifiuta di assimilarlo. Nausea che si può considerare, in un certo senso,anche come una forma estrema (e mostruosa) di reticenza.

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Marika Consoli

«Quello che conta prima di tutto è vivere, provare a conoscere sempre di più, scoprire ogni volta il visibile del non visto, l’udibile del non udito, il comprensibile del non compreso, l’amabile del non amato». 
(Jean Epstein)

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Bruno Roberti

Il procedere per apparizioni, oniriche o ipnagogiche, improvvise o imbricate e diffuse nell’ambiente quotidiano, diventa per Fellini una cifra stilistica che, a partire prima da Otto e ½ e poi, in modo più sperimentale (soprattutto in senso cromatico e in rapporto al gioco delle ombre e delle penombre), da Giulietta degli spiriti, si coniuga con l’altro lato, con l’altro mondo, con un aldilà del tempo e dello spazio, dove si svolge il lavoro dell’inconscio, del rimosso. Ciò significa che l’apparizione è sempre revulsionata nel suo versante d’ombra.

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Sergio Sasso

Sono trascorsi 30 anni da quando «Society – The Horror», esordio registico di Brian Yuzna, fu presentato alla rassegna Fantafestival di Roma suscitando reazioni contrastanti. Negli Stati Uniti il film fu distribuito nelle sale nel 1992, solo 3 anni dopo la sua realizzazione (1989). Dopo il periodo dell’edonismo rampante di «reaganiana» memoria che aveva caratterizzato la «società» degli anni '80, nei primi anni '90 la televisione americana «scopre» i segreti di Twin Peaks e l'«icona» della famiglia non sarà più la stessa. Non è più tempo di teen movie o commedie sentimentali dalla rassicurante patina. Beverly Hills è lo spazio emblematico dell’american dream: l'art déco di sontuosi appartamenti, le leggendarie palme, i vip che sfoggiano eleganti abiti e automobili esclusive mostrandosi felici. 

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Raffaele Cavalluzzi

Good Time (di Bennie e Josh Sofdie, 2016-2017) è già traducibile nel titolo con un’espressione che si avvicina al nostro “tempo felice”: esso è termine antinomico rispetto alla sostanza limacciosa della vicenda intensamente drammatica del film. E si riferisce a una sorta di nuovo sogno americano, che qui è evocato dai protagonisti del degrado sociale estremo, e della condanna senza speranza che esso decreta per due suoi giovani succubi (il piccolo malavitoso Connie Nikas – Robert Pattinson – e suo fratello Nick – Bennie Sofdie –, un ritardato mentale su cui incombono, insieme, la giustizia e l’assistenza psichiatrica).

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Raffaele Cavalluzzi

A Dakar, lungo la riva dell’Oceano, una irrisolta storia d’amore tra due giovani senegalesi, che si avvolge in una trama in cui, nella seconda parte, una straordinaria dimensione, in qualche modo al di là dell’onirico, inquieta e dà un accento di particolare tenerezza alla conclusione sospesa (Atlantique, Grand Prix a Cannes nel 2019, della regista di formazione francese, esordiente nel lungometraggio, Mati Diop). Lo scenario è dato da cantieri e strade di un sobborgo segnati dallo squallore di un’edilizia sistematicamente incompiuta, tipica di tante periferie del terzo mondo; intanto una torre ultramoderna svetta sul disordine diffuso.

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Luigi Abiusi

«A proposito del sonno, avventura sinistra di tutte le sere, si può dire che gli uomini si addormentano quotidianamente con un'audacia che sarebbe inintelligibile se non sapessimo che è il risultato dell'ignoranza del pericolo». (C. Baudelaire)

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Giovanni Festa

«L’uomo non ha ancora ricevuto il privilegio dell’eclissi,
 questo potere che possiede la notte
di illuminarsi di un giorno elettrico».
(A. Breton sul n. 7 della rivista «Minotaure»)

Cominciamo dal basso. Un flaneur di tipo particolare, Tom Shaw, poliziotto della sezione omicidi di New York ripete, ogni notte, la stessa azione: verso l’una, dopo aver terminato il servizio, compie una lenta passeggiata lungo il fiume.

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Alessandro Cappabianca

«Pure, io mi rivolgo altrove: / verso la santa inesprimibile / misteriosa Notte.»

Perché Novalis preferiva la Notte, rispetto al luminoso Giorno? Perché la Notte schiude in noi infiniti occhi interiori, attraverso i quali possiamo metterci in sintonia con coloro che credevamo di aver perduto. Il contatto con i Morti non lo spaventava – anzi, la Notte ce li restituisce vivi, ci svela l’inganno della perdita, che è solo un’illusione, un brutto sogno dal quale ci si risveglia. Così il poeta poteva elaborare il lutto per Sophie, la fidanzata morta, e dialogare con lei  come se fosse viva, o più che viva: addirittura trasfigurata.  Allo stesso modo in cui Dante, uscito dalla selva oscura e risalito dagli inferi, dialogava con Beatrice.

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Eduardo A. Russo

(Traduzione a cura di Giovanni Festa)

Da un capo all'altro del suo itinerario, il cinema di Pedro Costa è attraversato dalla notte; ma vale anche il contrario: la notte attraversa il suo cinema. Questa condizione umbratile penetra a tal punto nel nucleo centrale della messa in scena che alcuni dei suoi primi film, sebbene non si svolgano interamente dentro tempi e spazi notturni, tendono a essere ricordati dallo spettatore come invasi interamente dalle ombre della notte. Sorprendentemente, quando si rivedono O Sangue (1989), Casa de Lava (1994) o anche Ossos (1997), si nota invece che non poche sequenze trascorrono all'aperto e in pieno giorno.

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Alessandro Jedlowski

Questo fermo immagine ritrae la scena di un sacrificio. Un capretto vivo viene sgozzato sulla testa del personaggio principale del film, Andy Okeke, per esorcizzare gli spiriti che lo posseggono. E’ tratta dal grande classico della tradizione nollywoodiana Living in Bondage (Chris Obi Rapu, 1992), film che secondo la maggior parte della critica locale e internazionale ha inaugurato la nascita dell’industria video nigeriana, oggi conosciuta come Nollywood. La bassa risoluzione del fermo immagine, estratto da una vecchia videocassetta ancora miracolosamente intatta, porta le tracce materiali di un film prodotto in un’epoca in cui la Nigeria attraversava una delle sue epoche di crisi più profonda, il passaggio di consegne fra due delle dittature militari più feroci della sua storia (dal regime di Ibrahim Babangida a quello di Sani Abacha).

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Marika Consoli

«Sui suoi divini ginocchi, sulla sua forma pallida come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell’ombra, tra le innumerevoli luci fallaci, l’antica amica, l’eterna Chimera teneva fra le mani rosse il mio antico cuore».

(Dino Campana, La notte) 

«[…] Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,

Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina della melodia:

Ma per il vergine capo

Reclino, io poeta notturno

Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,

Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno […]». 

(D. Campana, La Chimera)


C’è una notte che sale dalle profondità della parola, primitiva, barbarica, orfica dei Canti di Dino Campana, che trae origine dall’indistinto della memoria, ripetutamente spezzata, frammentata e (de)costruita su quello che sembra, che è lo sfondo dei paesaggi di Leonardo da Vinci, come appare osservando La Vergine delle rocce, Sant’ Anna la Madonna e il Bambino e La Gioconda. Quel carattere di infinitezza del quadro, che tende a non definire i confini ma anzi ad annullarli, risponde alla necessità di rendere uno sfumato che integri le figure in quegli elementi primi, l’acqua, le rocce, la terra e il cielo che saranno così amati dal poeta di Marradi: le posture di tre quarti, ricorrenti nelle opere di quest’ultimo come, del resto, nei dipinti dell’artista, permettono di imprimere allo sguardo una direzione immaginata, sognata, alle origini di  «[…] un evento misterioso e remoto nel tempo come nello spazio.» (P.De Vecchi - E. Cerchiari, Arte nel Tempo. Dal Gotico internazionale alla Maniera Moderna)

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Alessandro Cappabianca

Doppia (tripla, quadrupla) personalità.

Ogni attore che interpreti diversi ruoli (almeno due, ma possono essere anche di più) nello stesso film, in fondo non fa che allevare Caino, dar vita a questo doppio mostruoso dell’originariamente innocuo Carter  e ai suo altri multipli, più o meno inquietanti (il dottor Nix, Margo).

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Giovanni Festa

Quello uscito nelle sale non è il film che Brian De Palma aveva immaginato: come ammesso dallo stesso regista, non ne ha scritto la sceneggiatura e non ha avuto controllo né sul montaggio, né sul metraggio finale. Il film, ostaggio della produzione danese, ha subito tagli per oltre mezz’ora sulle due ore che, in origine, erano state previste (nello stesso tempo, è bene dirlo, De Palma sceglie il direttore della fotografia del precedente Passion, Josè Luis Alcaine – lo stesso di Sur di Erice, ma anche di Pedro Costa, Almodovar, Aranda e chiama Pino Donaggio per le musiche, sodale in tutti i suoi thriller).

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Domenico Saracino

Rod Serling, indimenticabile scrittore e sceneggiatore americano, autore e voce narrante di una delle serie televisive antologiche più amate e significative di sempre (The Twilight Zone), è stato per molti versi un esempio mirabile di abilità nel decostruire temi sociali (la paranoia nucleare, il razzismo, l’ipocrisia religiosa e politica, la solitudine, il conformismo e molto altro) attraverso le lenti della fantascienza e dell’horror. Una voce talmente popolare da risultare inconfondibile per il pubblico degli anni Sessanta prima (il periodo di messa in onda è 1959-1964) e Settanta poi.

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Mariangela Sansone

Ci sono tele davanti alle quali si resta ipnotizzati, che impediscono di distogliere lo sguardo e che fanno scivolare in una vertigine mistica, tra le pennellate impastate di colore ematico, i confini del reale slittano in un immaginario di incubi e sogni confusi, in un deragliamento mesmerico dei sensi.

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