BIANCA_E_BERNIEWalt Disney può essere considerato un conservatore rivoluzionario. È conservatore perché la sua poetica non è mai cambiata: al centro dei suoi film c’è sempre uno scontro tra il Bene e il Male che si risolve con la vittoria dei buoni e la realizzazione del sogno che sembrava irrealizzabile (ad esempio l’amore per Biancaneve, Cenerentola e Aurora o diventare un bambino vero per Pinocchio). Ma allo stesso tempo Walt Disney è stato rivoluzionario perché ha introdotto il colore nei cartoon; ha dato al cinema d’animazione la stessa dignità artistica del cinema dal vero con Biancaneve e i sette nani; ha realizzato Disneyland, il parco dei divertimenti più visitato al mondo…


Dall’altra parte, però, Walt Disney ha fatto parlare di sé per i suoi numerosi lati oscuri: l’antisemitismo, i rapporti con l’FBI e il governo americano, i film di propaganda antinazista come Der Fuehrer’s Face (Kinney 1943). Di tutto questo si parla nelle biografie. Ma c’è un aspetto che le biografie tralasciano: la sua iscrizione alla massoneria, al De Molay International. Proprio nel sito www.demolay.it possiamo leggere i ringraziamenti di Disney per aver fatto parte dell’Ordine.

Questo aspetto celato della sua vita tende a mettere in ombra – ma solo parzialmente – ciò che Walt Disney ha fatto. E questo perché in alcuni suoi film sono stati scoperti i cosiddetti messaggi subliminali, interpretati come un tentativo di condurre alla scristianizzazione e alla devianza sessuale. La massoneria è legata a doppio filo ai Cavalieri templari, come spiega Peter Partner (1993). Jacques De Molay era l’ultimo dei Templari – arso vivo, secondo alcuni storici, da papa Clemente V. I Templari erano stati accusati di adorare Bafometto, di sputare sulla croce e di avere dei comportamenti anticristiani.

L’iscrizione di Disney al De Molay International spiega, secondo il Centro Culturale San Giorgio, perché nei film della Disney ci siano i messaggi subliminali.
Il primo film disneyano in cui troviamo i messaggi subliminali è Le avventure di Bianca e Bernie (Reitherman – Lounsbery – Stevens 1977). Mentre i due topolini volano sull’albatros, affacciata alla finestra di un palazzo, troviamo una donna nuda dal volto mostruoso. A velocità naturale è impossibile scorgere questa immagine, nascosta in un fotogramma e, dunque, assolutamente invisibile.

A partire da Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Zemeckis 1988) i messaggi subliminali si moltiplicano: Jessica Rabbit compare, per un istante, senza biancheria intima. Nel Re Leone (Allers – Minkoff 1994), mentre Simba ripensa a suo padre, alcune stelle formano la scritta “SEX”.
Nella Sirenetta (Clements – Musker 1989) troviamo una comparsa di Topolino, Paperino e Pippo – sebbene questo non sia un messaggio subliminale, ma solo autoreferenzialità; nella locandina del film è stata individuata una forma fallica, ravvisabile anche nella forma assunta dal granchio Sebastian sulla torta nuziale di Ariel ed Eric. E, sempre nella Sirenetta, il prete che sta per sposare il principe Eric e Ursula avrebbe un’erezione: ma in tal caso è davvero difficile scorgere la protuberanza, che appare per un secondo appena e nemmeno al centro dello schermo. Insomma, lo spettatore non presterebbe attenzione a un particolare quasi invisibile.

In Hercules (Clements – Musker 1997), proprio all’inizio del film, la Musa più grassa dice: «Mi piacerebbe fare della dolce musica con il suo…», lasciando poi la frase in sospeso e alludendo, forse, alla fellatio. Ma nel frattempo si è già sovrapposta la voce di un’altra Musa, che dice, guardando la Musa grassa: «La nostra storia» –   rivolgendosi al pubblico – «in effetti comincia molto prima di Ercole», mettendo così in secondo piano, in sottofondo, la frase della Musa grassa. Lo spettatore disattento presta attenzione alla seconda Musa, non alla prima.

Ammettendo anche la presenza dei messaggi subliminali e la loro efficacia persuasiva, un dato è certo: si tratta di film usciti dopo la morte di Walt Disney. L’unico film con Disney vivo ad aver destato una certa inquietudine è stato Dumbo (Sharpsteen – Ferguson – Jackson – Roberts – Kinney – Armstrong 1941). In particolare, la scena del sogno allucinante con gli elefanti rosa è stato interpretato da un utente di YouTube come un’allusione a Satana. In realtà «to see elephant pink» vuol dire «avere le allucinazioni causate dall’alcol». Ed è ciò che accade all’elefantino Dumbo, che si ubriaca per sbaglio, bevendo l’acqua col vino, dunque il sogno surreale in questo caso è giustificato. Sembra anzi che gli elefanti rosa invitino a non ubriacarsi: «Io non ho terror di vermi/ né di serpenti/ né di germi/ ma i rotondi pachidermi/ mi fan rabbrividir!/ Non son tipo da svenir/ né da farmi intimorire/ ma vedermi comparire/ i rosa elefanti/ mi fan mal/ tanto mal!/ Mandali via/ mandali via/ quale orror/ che terror/ i rosa elefanti no!/ Salvatemi!/ Salvatemi!/ salvatemi!».

Forse ci sono delle allusioni alla massoneria per le comparse di un occhio e di una piramide, simboli massonici. Ma è una forzatura: Disney voleva semplicemente rendere l’idea di quali allucinazioni spaventose possa provocare l’alcol – e infatti Dumbo ha bevuto del vino – e quindi non ha fatto altro che sbizzarrirsi e accentuare il lato surreale del sogno.
Dunque, alla luce di tutto ciò, non si può di certo accusare Disney di essere responsabile dei messaggi subliminali. Talvolta la loro presenza ha solo degli scopi pubblicitari. Peraltro la Disney, nonostante i messaggi subliminali e le dicerie che circolano soprattutto in rete, non perde i suoi fan, che, anzi, sono legati più che mai al suo universo, non solo per i ricordi infantili, ma per la facile fruibilità dei prodotti.

Gli anni Trenta sono stati il periodo di massimo splendore per Walt Disney. Il suo successo clamoroso suscitò, da una parte, ammirazione ed entusiasmo, dall’altra, un’evidente contrapposizione tematica e stilistica. Negli anni Trenta i fratelli Fleischer, creatori di Braccio di Ferro e di Betty Boop, Tex Avery e la Looney Tunes furono i principali antidisneyani. Oggi quei tratti antidisneyani lanciati da questi cartoonist sono stati ripresi e portati alle estreme conseguenze soprattutto dalla DreamWorks, casa concorrente della Disney. E uno dei film di maggior successo della DreamWorks è proprio un film antidisneyano: Shrek (Adamson – Jenson 2001).

Shrek
ribalta e stravolge tutti gli stereotipi della fiaba. Il film esordisce proprio come quelli di Walt Disney – un libro che si apre e una voce narrante che dice: «C’era una volta una principessa bellissima, vittima però di un tremendo incantesimo che poteva essere spezzato solo dal primo bacio d’amore». Qui lo spettatore comune, a cui Biancaneve e La Bella Addormentata nel bosco sono noti, è rassicurato da qualcosa di già sentito, sicché si prepara per il seguito. «Era rinchiusa in un castello», prosegue la voce, «sorvegliato da un terribile drago sputafuoco». Situazione che ricalca per filo e per segno La Bella Addormentata. «Molti cavalieri coraggiosi avevano tentato di liberarla da quella prigione, ma senza successo. Ella attendeva nella fortezza del dragone, nella stanza più remota della torre più alta il suo primo amore e il suo primo bacio di vero amore».

A questo punto lo spettatore si attende che la storia continui e che le vicissitudini del principe portino al risveglio della principessa e all’happy ending («e vissero felici e contenti»). Invece si sente una voce dal tono derisorio e una mano verde strappa le pagine del libro di fiabe per usarle come carta igienica: è Shrek, che non è un bel principe ma un orco, sinonimo di egoismo, di scontrosità e di misantropia. Elementi caratteriali già evidenti dalla sua prima comparsa: dopo aver spaventato un gruppo di uomini arrivati sino alla sua palude, Shrek dice sottovoce: «A questo punto dovreste scappare», come se il copione fosse già stato scritto, come se l’orco avesse un ruolo definito e chiuso da cui non potrà mai uscire. Invece il film è ben riuscito proprio perché l’orco non è più l’antagonista né ha un ruolo marginale: è lui che deve liberare la principessa Fiona (che si scoprirà un’orchessa) ed è lui il protagonista.

La parodia ai film della Disney è palese: compaiono i nani di Biancaneve, Geppetto e Pinocchio («Non sono un burattino! Sono un ragazzo vero!», dice Pinocchio; e gli si allunga il naso), le tre fate della Bella addormentata, i tre porcellini, lo specchio della regina Grimilde…
Shrek odia i personaggi delle fiabe e non sopporta di vederli innanzi alla sua casetta isolata nel bosco. Ma odia anche la scontatezza delle fiabe: giunto in cima alla torre dove lo attende la principessa Fiona, addormentata, la tratta in malo modo anziché dolcemente come farebbe un qualsiasi principe di una qualsiasi fiaba di genere cavalleresco. Lo spettatore riconosce l’allusione e ride perché la scena ribalta lo stereotipo, caricaturizzandolo e ingigantendone l’estrema e irreale sdolcinatezza. Come se non bastasse, anche il feroce drago diventa docile, e, anzi, si innamora di Ciuchino, l’asino parlante amico di Shrek.

Dunque, il film è la rivincita di chi non può dire la sua sulle fiabe, di chi deve ricoprire ruoli marginali o da antagonista. I personaggi sembrano avere una vita propria, ribellandosi a chi ha definito la loro natura da perdenti e da cattivi (come nel caso dell’orco). Il che sarà ripreso nel secondo e nel terzo film della serie, in cui compaiono antagonisti come Capitan Uncino, una sorellastra di Cenerentola e la regina Grimilde, che non accettano più un destino che per loro sembra già scritto.

In sostanza in Shrek si dà per scontato che lo spettatore conosca i film della Disney, ma anche che si renda conto quanto sia improbabile che un orco diventi un eroe. La parodia funziona proprio per il ribaltamento dei canoni poetici fiabeschi, a cui si rifanno i canoni disneyani. Paradossalmente la DreamWorks, con Shrek, fa pubblicità proprio all’azienda a cui si contrappone. Nei film della DramWorks è spesso il personaggio meno adatto a dover diventare eroe: l’orco Shrek, il panda in Kung Fu Panda (Osbourne – Stevenson 2008), il procione R.J. nella Gang del bosco (Johnson – Kirkpatrick 2006). Invece nei film della Disney i protagonisti sono gli eroi per antonomasia: belli e coraggiosi, sono destinati a diventare degli eroi e a realizzare i propri sogni dopo aver combattuto diverse battaglie in grado di formarli. Le peripezie sono necessarie per il passaggio dalla condizione di anonimato o di degrado sociale a uno status sociale superiore che li renderà felici e contenti.


Bibliografia

Partner P. (1993): I Templari, Einaudi, Torino.

 

 

Filmografia

Chi ha incastrato Roger Rabbit?
(Robert Zemeckis 1988).

Der Fuehrer’s Face (Jack Kinney 1943).

Dumbo (Ben Sharpsteen – Norman Ferguson – Wilfred Jackson – Bill Roberts –  Jack Kinney – Samuel Armstrong 1941).

Hercules (Ron Clements – John Musker 1997).

Il re Leone (Roger Allers – Rob Minkoff 1994).

Kung Fu Panda (Mark Osbourne – John Stevenson 2008).

La bella addormentata nel bosco (Clyde Geronimi 1959).

La Gang del Bosco (Tim Johnson – Karey Kirkpatrick 2006).

La sirenetta (Ron Clements – John Musker 1989).

Le avventure di Bianca e Bernie (Wolfgang Reitherman John Lounsbery Art Stevens 1977).

Shrek (Andrew Adamson – Vicky Jenson 2001).


Fabrizio Rigante ha studiato presso l’Università degli Studi di Bari. Si è laureato in Lettere con una tesi su Umberto Eco e in Informazione e Sistemi Editoriali con una tesi in Cinema, Fotografia e Televisione.