La Mostra è finita, oggi si scopriranno i Leoni di questa edizione 80 caratterizzata dallo sciopero a Hollywood che ha tenuto lontane dal Lido e dal suo Red carpet le tante star presenti sullo schermo, americane e non solo. Eppure le cose sono andate benissimo, il pubblico è risultato in aumento, e quello che fa davvero piacere è scoprirlo giovane e appassionato. Sul Lido dove splende un sole estivo è iniziato già da qualche giorno il rumore di valigie, il giardino del Quattro Fontane, luogo di incontro dell’Industry di produttori e tv si è svuotato, sui canali i barchini dei ragazzini di qui pompano musica techno comunque vada migliore della colonna sonora di fronte al Palazzo del cinema che ha accompagnato i pomeriggi di questi giorni.

Che Mostra è stata questa? Una Mostra come si è detto di successo, che forse nel suo cartellone dovrebbe ritrovare un equilibrio maggiore tra titoli blockbuster/streaming – come quelli dell’inizio, da Maestro a The Killer – e un cinema più autoriale per permettere anche al suo concorso di includere quelli che sono stati i titoli più amati dai festivalieri – un esempio su tutti: Hit Man, geniale commedia di Richard Linklater fuori concorso che col suo killer diviso tra Io e Es batte nettamente il monocorde divo Fassbender in The Killer di Fincher presentato in gara.

Attraversata da polemiche, le proteste contro Polanski/Besson/Allen e quelle degli attori italiani, Favino in testa, contro la scelta di divi internazionali per interpretare figure nazionali – vedi il Ferrari di Mann. Ed è stata una Mostra forse troppo piena, caratteristica questa della bulimia che ormai colpisce ogni festival, ma chissà magari esagerare è meglio che lesinare, e la misura gusta è davvero impossibile.
Nei pronostici dei Leoni che vedevano ben saldi i film di Lanthimos, Poor Things e quello di Hamaguchi, Evil Does Not Exist, ha gettato subbuglio l’ultima giornata, un finale nel segno del melò romantico con un ambo di film, per me almeno, tra i più belli del concorso: Hors-Saison di Stephan Brizé, e Memory di Michel Franco, due storie d’amore ciascuna a suo modo sospesa nel tempo e nello spazio del cuore. Hors-Saison comincia come una nuova variazione su un maschio cinquantenne in crisi, qui un attore molto conosciuto almeno a quanto dimostrano le reazioni di chi incontra, che arriva in un albergo di lusso con spa e talassoterapia «fuori stagione».

L’imperativo è «rilassarsi e rimettersi in forma» ma niente sembra più lontano da lui depresso e teso, in perenne attesa di una telefonata che poi scopriamo essere della sua «chérie», la moglie, anche lei una star ma del tg serale. Una coppia da rotocalco insomma di cui lui stesso scopre l’immagine pubblica sfogliando una rivista tra selfie con i clienti e il personale in piscina, sul lettino prima di un massaggio, a passeggio, al ristorante, tutti incantati dalla sua presenza in quella piccola cittadina francese sull’oceano. Il grande attore però un momento strano, i copioni sono noiosi, e così i suoi film, e ha appena tradito la fiducia del regista e di chi doveva recitare con lui a teatro dileguandosi per paura. Due amanti si ritrovano dopo 15 anni, una regia che stupisce a ogni passo.

È fra questi attimi lunghissimi di pensieri interiori, complice il luogo, che appare Alice. I due hanno avuto una relazione quindici anni prima, un the, il racconto appena a disagio delle vite reciproche, lei che vive lì, marito e figlia e fine dei sogni da pianista, lui che invece è tutto bellissimo. E lì il film prende all’improvviso un’altra direzione, quel «fuori stagione» del titolo invece che alla vacanza si fa quello dei sentimenti, delle scelte, dei rimpianti e delle esistenze andate in una direzione invece che in un’altra, perché lo si è deciso o perché così doveva essere, per egoismo o perché, come dirà a un certo punto Alice, «la vita è dura». E questo duetto impalpabile di emozioni Brizé lo affida alle sue immagini, al loro ritmo, a una regia fatta di dettagli, ellissi, sospensioni, allez-retour sul bordo di una parola che cerca di trovare un nuovo senso fra i due. E soprattutto alla meravigliosa presenza dei suoi interpreti, Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, qui illuminata da una grazia speciale. È nei loro gesti, nel modo di occupare uno spazio reciprocamente come in una danza che può fare anche molto male, che cerca il suo racconto.



Una storia d’amore dunque, che potrebbe essere persino banale: lui sparito, lei a pezzi sotterrata in una nuova vita nella provincia e in un presente messo all’improvviso in subbuglio. E se invece valesse il contrario, se questo movimento in cui lei appare turbata e lui agente di questo turbamento fosse qualcos’altro? Campo e fuoricampo, il primo la vita di lei al presente perché laddove le cose accadono, il secondo quella di lui. Ma la regia sorprende continuamente le sue possibilità, imbocca altre traiettorie seguendo i passi sulla spiaggia grigia dei due e i loro incontri lungo quel margine fragile che è quello dei loro stati d’animo. Cosa cercano insieme e per loro conto? Un riscatto a ciò che hanno lasciato alle spalle, alla malinconia del presente, alle loro scelte? Ma si può tornare indietro o invece quella vita che si è accumulata con le sue esperienze e tra altre storie fa sì che non sia possibile? E se quei rimpianti fossero anche per se stessi?

Lei finalmente può trovare una parola – e una risposta – al ghosting di lui anni prima, mentre lui impara a scusarsi. Apparire, scomparire. Brizé li accompagna in questa mutuale sospensione dalla propria realtà nel rifugio di un qualcosa che è impossibile e seducente insieme perché segreto e parallelo alla dimensione del quotidiano. Un luogo intimo, in cui provare a superare cesure accantonate forse troppo rapidamente, a confrontarsi con ciò che si sente perduto, a sentire di nuovo un gusto delle cose dimenticato, il calore, l’allegria, la spensieratezza di un incontro che sembra nuovo. Non ci sono rese dei conti né violenze, rabbia e dolore e dolcezza si intrecciano, fluiscono, si intrecciano con discrezione sensibile e mai banale. Brizé lavora sui frammenti – in un modo che ricorda un po' quello di Une vie – anche se la dimensione letteraria di quel precedente film fluisce qui nelle scoperte anch’esse «fuori stagione» dei protagonisti rispetto a sé stessi, in una epifania del vivere.

* Una prima versione di questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto il 9 settembre 2023.

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