Lo stato delle cose

Luigi Abiusi


kaspar«Così la sicurezza (la “cosa”, come dicono i giuristi) significa: 1°. violenza sulla natura: lavoro. 2°. violenza verso l’uomo: proprietà» (C. Michelstaedter).

La scomparsa di Theo Angelopoulos e di Tonino Guerra e gli anniversari di Pasolini (che oggi avrebbe novant’anni) e Carmelo Bene (morto dieci anni fa) succedutisi negli ultimi tempi, se da una parte ci mettono di fronte alla constatazione di un impoverimento, di una perdita senza rimedio, soprattutto a confronto con l'attuale depressione culturale (quindi etica) dell'Europa mediterranea; d'altra parte, in virtù dello scintillio renitente delle loro opere, delle loro rovine ad innesco, ci chiamano, mi pare di capire, a una resistenza e a un rilancio, anche oltre l’ufficialità un po’ inamidata, confindustriale, appunto, del manifesto allestito dal “Sole24ore”.

Petros Markaris


eleni-2004-12-g(Versione originale)

La mia amicizia con Theo Angelopoulos risale al 1971, anno in cui fu rappresentata ad Atene la mia prima pièce teatrale. L’anno precedente era uscito il suo primo film Ricostruzione di un delitto. Ne ero entusiasta. Theo Angelopoulos utilizzava un linguaggio cinematografico, su più livelli, completamente nuovo. Anche il suo sguardo sulla contemporaneità greca ai tempi della dittatura militare era nuovo: distaccato e oggettivo. Esaminava minuziosamente la situazione di uno spopolato villaggio greco con lo sguardo distante dell’osservatore. 

Sergio Arecco   


morto-theo-angelolupos_02-large A Erland


Prologo


Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tou Odyssea, 1995) è il film che – non solo per la posizione intermedia che occupa nella filmografia di Angelopoulos, tra la prima trilogia della storia, seguita da una serie di opere dal contenuto via via più esistenziale, e la seconda (incompiuta) trilogia della storia, anticipata da un film-ponte come L’eternità e un giorno – ci racconta meglio di ogni altro   che cosa significasse, per lui, il cinema: una perenne, estenuante meditazione per immagini sulle potenzialità e i limiti della visione cinematografica, sul complesso rapporto tra visibile e invisibile. Lo sguardo di Ulisse è il film che ci racconta meglio di ogni altro come ciascuna opera del regista greco sia stata un modo d’interrogarsi sul senso del fare cinema oggi, dopo l’eclisse del moderno e le mistificazioni del postmoderno – almeno a giudizio di Angelopoulos, che ha continuato fino alla fine a concepire il cinema come continuum narrativo e a sperimentarne la struttura più classica: quella del viaggio.

Gualtiero De Santi


recitaLa storia non è finita, non può realmente finire; né mai le storie hanno termine. Lo sostiene in un appena udibile fruscio la voce fuori campo che, nell’incipit de La polvere del tempo (2009), accompagna il carrello avanzante alla volta dell’ingresso di Cinecittà in cui un regista va a ricercare il proprio passato. L’avvio dell’ultimo film licenziato in toto da Anghelopulos (nella regia, nello script pur date le collaborazioni, nel concetto di fondo), secondo segmento di una trilogia iniziata con La sorgente del fiume (2002) e interrotta drammaticamente dalla morte del grande cineasta, falciato da un motorino ma vittima della crisi greca e dei tagli imposti al paese dall’Europa dei banchieri (l’autoambulanza che doveva soccorrerlo e condurlo in ospedale si è dovuta fermare per un guasto risultato poi fatale per la salvezza di Anghelopulos), afferma una verità difficile da pronunciare; una verità avversa coraggiosamente alle parole d’ordine che oggi vanno per la maggiore, ma infine necessaria. Perché un discorso sul presente, della Grecia dell’Italia stessa del mondo, può venire riavviato solo alla condizione di rimettere le cose sulle loro gambe, non invece capovolgendole.

Roberto Silvestri


La-leggenda-di-Kaspar-Hauser-300x184Nessuno mette in discussione, se il contatto è avvenuto – e non è facile, perché film di godimento "francescano" come Girotondo e Beket sono stati nascosti agli sguardi indiscreti dal nostro submercato e dalle nostre istituzioni culturali pubbliche – la prepotenza visuale, la "superbia" espressiva, lo charme magnetico, e lo stile saturo fino a esplodere dei film in bianco, nero & grigio di Davide Manuli.

Silvia Calderoni


calderonilun 26 gen - Ravenna, Italia.

Inizio da questo. dall'inizio.
"Ciao Matteo!! Sarebbe un onore poter sostenere con voi il lavoro di Davide. Sai, le tre settimane trascorse sull' Asinara sono state un turbinio di emozioni, un tornado nella mia vita. E come ogni tornado, quando è in corso non capisci nulla, l'unica cosa che puoi fare è agire. Agire, reagire agli stimoli, cercare di vivere con un cuore sorridente l'occhio del ciclone. Bello, bellissimo, ancora brodo primordiale nella mia mente, sento di aver arricchito il mio bagaglio emotivo, di aver incastonato una gemma rigogliosa nella mia vita.

Vanna Carlucci - Gianfranco Costantielllo


sherifPersonaggi impossibilitati ad agire, posseduti da una musica ossessiva in spazi sterminati colti in un grigiore lisergico. Vedendo i suoi film si è colti da una vertigine nichilista amplificata da una pregnante teatralità. Qual è il rapporto fra il suo cinema e il teatro?

Questa domanda mi mette in crisi, perché rischia di diventare un trabocchetto per il lettore… e io non voglio permettere che questo accada.

Gemma Adesso


gifuni_preteAll’interno di questo zoom approfondito sul “caso” Kaspar Hauser, abbiamo voluto intervistare lo scrittore Giuseppe Genna, autore del monologo del prete (interpretato da Gifuni) particolarmente significativo per riflettere sul film specifico e sul cinema in generale.


Alessandro Cappabianca


turin.horse_Radicalmente altri sono gli oggetti inanimati, per esempio le pietre, che Heidegger prendeva a emblema delle cose «prive di mondo» (prive di mondo, direi, in quanto costituiscono il mondo, nella loro estraneità minacciosa, incomprensibile). Il problema comincia con gli animali («poveri di mondo», li definiva Heidegger), di cui percepiamo l’estraneità, e insieme i sintomi di una misteriosa affinità, almeno con alcuni, almeno con quelli ai quali conferiamo il privilegio di un nome (il nome sopravvive a chi lo porta, scriveva Derrida, uno dei pochi pensatori che si sono occupati del ruolo degli animali nella filosofia).

Lorenzo Esposito


luck2In un’epoca in cui le immagini, soprattutto quelle di più geometrica casualità – la granata ripresa col cellulare finché non ti uccide mandando a nero (Homs, Siria); l’inclinazione giusta della web-cam per meglio illuminare la penetrazione da tergo della propria ragazza (cam4) – afferrano tutte i loro quindici secondi di flagranza cinematografica (non più celebri dei quindici minuti wahroliani, ma di paurosa esattezza nel realizzarne l’assunto: l’uomo, reso visibile, scompare, e la tecnologia resta a segnalare la poesia celibe di questo vuoto), è probabile che al contrario il cinema possibile sia quello capace, come nelle serie tv Usa, di fissare l’immagine in un basso continuo, di fingerla così immutabile nella sua ronde magistrale, da dirottare ogni scatto visionario sulla parola narrata (scritta e sceneggiata) che la anticipa e la sogna.

Giampiero Frasca


takeLeggere Take Shelter – seconda fatica di Jeff Nichols apprezzata sulla Croisette nello scorso maggio dopo il suo passaggio al Sundance – come l’ennesimo capitolo di una critica frantumazione del soggetto di quel lungo post 11 settembre che pare non finire mai (non solo cinematograficamente), probabilmente non rende completa giustizia a un lavoro che nelle dinamiche visive adottate ha il suo reale punto di forza, oltre che la sua fondata chiave di lettura.

Raffaele Cavalluzzi


shame6Brandon (un eccezionale Michael Fassbender) è protagonista e vittima di una infinita coazione a ripetere, nella sfera unica del sesso, di un'angoscia compulsiva, e Shame, il secondo lungometraggio di Steve MacQueen, ne costruisce il profilo drammatico secondo la tipologia dell'alienazione individualistica di un adulto americano che vive, nella solitudine della folla anonima metropolitana, la condizione esasperatamente fallocentrica prodotta da una miscela micidiale di narcisismo ed impotenza ad amare.

Matteo Marelli


cristo_in_corpo«Non ho altro modo di conoscere
il corpo umano che viverlo,
cioè assumere sul mio conto
il dramma che mi attraversa
e confondermi con esso».
(Maurice Merleau-Ponty)

Pasolini è stato un uomo d’azione, «carico di rabbia politica e sociale, di una consapevole tristezza e di una tragica solitudine» (Morandini in Pasolini 1998, p. I), pronto a «gettare il proprio corpo nella lotta» (Pasolini 2003, p. 150), a fare della propria biografia, non soltanto intellettuale, materiale pubblico del suo fare poetico.
Il percorso artistico pasoliniano è profondamente segnato dallo scandalo della corporeità, dalla fisica e fortemente anomala partecipazione dell’autore alla sua opera. Il poeta, riversandovi la propria esistenza (anche quella più intima, personale, sempre però filtrata e arricchita da influenze letterarie ed artistiche che, come messo in luce da Stefano Casi (cfr. Casi 1990, pp. 23-25), hanno dato vita non tanto a un codice autobiografico quanto piuttosto autobiografistico), risulta essere sempre presente «come protagonista corporeo, scrivente-scritto e quasi toccabile» (Giudici in Pasolini 1995-1999, p. XIX).

Michele Sardone

SUN-03-webSeconda puntata dello studio che UZAK ha deciso di dedicare alla Tetralogia del potere di Sokurov riletta nei termini della fiaba. Dopo il Faust (2011), il riavvolgimento del nastro prosegue verso Il Sole (2005).

«C'era una volta...
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno». (Collodi)


Il Sole è la storia di un dio burattino che voleva diventare un bambino vero. Il burattino si ritrova a capo del Giappone, viene nominato imperatore e venerato dai sudditi come una divinità. Non deve far nulla, ma quel nulla deve farlo bene: scrivere patetiche poesie, sezionare granchi, presiedere riunioni di gabinetto, mangiare, dormire e andare regolarmente al gabinetto. Ma soprattutto deve reggere la pantomima del dio sceso in terra, lanciare proclami, difendere l'orgoglio di una nazione – se necessario, fino a far la guerra.

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