Speciale Venezia 2010

Matteo Marelli

silent_souls

Tanya è morta. Miron e Aist, rispettivamente marito e amante, decidono di congedarsi dalla donna celebrando il rituale d’addio come previsto dalla tradizione della cultura Merja, antica etnia ugro-finnica. Sanno che così facendo possono scongiurare la minaccia della distruzione del mondo da cui provengono e soddisfare, di conseguenza, il bisogno di salvezza ad essa congiunto.

Matteo Marelli

forgottenspaceIl container come unità fisica di misura attorno a cui si organizza l’economia mondiale. I percorsi di transito lungo cui questo si sposta ridisegnano la mappatura terrestre. Tracciati aventi un’unica coordinata geografica, il profitto mosso da logiche di sfruttamento consumistico. Il mondo non è più pensato come «una casa per tutti, ma un mercato per ciascuno»1.

Matteo Marelli

venus_noireÈ un percorso esistenziale in caduta libera quello di Saartjie Baartman, più conosciuta come Venere ottentotta. Quello che compie è un inarrestabile inabissamento che dai sobborghi londinesi, dove interpreta la parte dell’osceno fenomeno da baraccone, la porta prima ai salotti libertini parigini, a soddisfare le pruriginose voglie della buona società borghese, e poi giù, sino ai più squallidi gironi postribolari. Una progressiva distruzione che non si arresta neppure una volta morta. Il suo corpo, venduto all’Accademia reale della medicina di Parigi, è sezionato per dare legittimità scientifica alle più estreme teorie del “darwinismo sociale”.

Diego Mondella


cirkuscolumbia«Qualche volta sento che nel 1992, quando cadde il comunismo, ci siamo ritrovati sul bordo di un abisso. Il resto del mondo guardava in silenzio dall’altra parte. Siamo stati costretti a saltare, ma non siamo arrivati dall’altra parte. Stiamo ancora cadendo» (Denis Tanović).

«Mentre i mezzibusti non trovano accordo, versione di Caino,
la macchina della storia fa dei cadaveri il suo carburante» (Joseph Brodskij, Tema della Bosnia).

No Man’s Land, Triage, Cirkus Columbia. Durante, dopo, prima. La trilogia sul conflitto nei Balcani di Tanović è un viaggio di ricognizione nel “buco nero” della storia recente dell’Est Europa, che, a distanza di vent’anni dal suo tragico inizio, grava ancora sulla coscienza di chi non fece abbastanza per evitarlo (l’Onu, la Nato e l’intera comunità internazionale). La scelta temporale compiuta dall’autore non è cronologica. In quanto gli stadi della memoria, che sfuggono ad ogni criterio di ordine e razionalità, sono dettati invece dall’emozione e, a volte, dalla casualità.

Lorenzo Esposito


road-to-nowhere-hellmanArticolo tratto da "Filmcritica", n. 608, ottobre 2010.


1.


Ci sono delle linee di forza che tramano le immagini, che le spostano e le disorientano, testandone la disponibilità e la resistenza a flussi incongrui, a iniezioni eclettiche, a energie anomale. Assomigliano a delle volumetrie, i cui setacci, in altro senso, tramano alle spalle delle immagini stesse, magari facendo appello a una esplosiva fisica erotica, oppure diluendo nella miscela una pura chimica spettrale: Machete di Robert Rodriguez e Ethan Maniquis e Jianyu (Reign of Assassins) di Su Chao-Pin e John Woo, rispettivamente e tanto per cominciare (il sistema delle coppie, col raddoppio dei nomi alla regia, benché poi sia inesorabilmente chiaro chi fa da spalla a chi, non spiega del tutto la trama né il complotto produttivo, ma fa parte della medesima geometria cubica. E chissà che, di tale laborioso duettante laboratorio, non stia passando qualcosa in certo cinema italiano, su cui torneremo prossimamente, che a Venezia quest’anno è parso radiografarsi nell’ombra: Maderna/Pozzoli, De Angelis/Di Trapani, Zamagni/Ranocchi e, ovviamente, Gaudino/Sandri).

Matteo Marelli

the_nine_muses«Ha da passa’ ‘a nuttata»
(Eduardo De Filippo, Napoli milionaria!)

Che cos’è il cinema? È sempre utile partire da buone domande per poter elaborare delle risposte adeguate. Questo interrogativo, così carico di echi baziniani, torna a riproporsi con urgenza, perché il cinema, da “occhio del Novecento”, mezzo espressivo primario, serbatoio di tensioni storiche e mitologie popolari, di ossessioni morali e grovigli sociali, si trova oggi ad occupare una posizione marginale in un paesaggio che privilegia altri media. «Ciò che caratterizza il cinema dell’epoca postmoderna è il fatto di non essere più il medium trainante, ma il tassello di un sistema più vasto» (Buccheri 2010, p. 124). È quindi il contesto mediale che impone di porci il dubbio ontologico sul senso attuale del cinema: quale spazio rimane alla settima arte in un’epoca in cui «ogni immagine scivola nelle altre», per dirla con Deleuze? Che cos’è successo al cinema come fenomeno artistico, culturale, sociale?

Luigi Abiusi

Cold_Fish_Coldfish1-512x341Versione riveduta e ampliata dell’articolo Corporale, pubblicato su “Filmcritica”, n. 608, ottobre 2010.


Cold Fish

Una delle tracce meglio rinvenibili da sotto la concrezione di film accuratamente eteromorfa, dell’ultima mostra veneziana, rivela numerose declinazioni corporali (apodittiche, stupefacenti, spesso vischiose) e di conseguenza le differenti, o addirittura antagoniste, concezioni del corpo-cinema, da quello laconico e fibroso nella misura di morto carname di Larrain, fino a quello più patinato, delle scenografie sessuali e muscolari di De La Iglesia (che non va oltre lo spettacolo “epidermico”, a dispetto di un inizio straniante) e di Rodriguez (impegnato, pur nei consueti giochi corrivi, ad alludere a una qualche eversione degli ultimi, dei marginali), passando per l’autentico pastiche di Sion Sono, che in Cold Fish (sezione “Orizzonti”)  genera una dinamica schizofrenica in cui corpo (squartato e ridotto a manichino monco) e sesso (negato o istericamente profuso) sono i termini di un'alienazione raggelata.

Archivio

Teniamoci in contatto