UZAK 03 | estate 2011

Tommaso Ottonieri

ottonieriQuesto articolo è già apparso sul «Verri», n. 25, 2004.

Nei primi giorni di giugno di questo giugno autunnale, bellico, grigio-lucido come pochi nel vacuum delle parate sottovuoto (l’atterraggio dalle Americhe del Principe Cespuglio alle 0.25 l’ho percepito da un battito elicottero sul cielo del cortile, a vigilare sul corteggio da Ciampino ai Parioli) in questo novilunio incipiente di giugno, livido, febbricitante, blindato, e poi, così perplessamente fuori parte, come le naiadi nel centrotavola del cenone offerto dal suo ultimo vassallo, il Cavaliere del Maradagàl; è in questa lunga notte, percorso da brividi strani, che mi sovviene dell’anniversario.

Luigi Abiusi


alpsMAIN11Nel sopravvenuto sentore del sonno, specie di apocatastasi della giornata, mi accorgo che quando sono qua, tendo a non guardare mai in alto, quando mi sveglio, per sapere se c’è o no quel sole appiccicoso, che ti scotta la schiena, mentre stai a scrivere di copertine celesti nella sala stampa e di cinema e scrittura che parlano di sé, parlano da sé nella demiurgia di ciò che sfugge miracolosamente all’egida del vuoto, poi uno sguardo dietro, mentre un cinese fantastica sullo schermo del suo computer (le luci elettriche della sua città dove la sua ragazza balla specchiandosi in una vetrina), e alla finestra, il mare.

Luigi Abiusi

 eggelingParagrafo tratto dal primo capitolo del volume Abiusi L. {2011}: Per gli occhi magnetici. Campana Pasolini Erice Tarantino, CaratteriMobili, Bari.

1.2. Lo sguardo
«Cercavo armonizzare dei colori, delle forme. Nel paesaggio italiano collocavo dei ricordi» {Campana in Pariani 2002, p. 56}. L’occhio di Campana, dopo essersi posato sul paesaggio, genera una materia – costituita per una parte dall’obiettività di quelle forme – che si carica di un’energia, comincia a bruciare e a deformarsi (espressionisticamente) per la «suggestione», l’attesa di una lontananza, che si vede, si intravede, torna a fondersi col differenziale del panorama del mondo. La ricordanza è antica, altra morfologia che torna a sé, intensità a priori (nel lessico kantiano), o, detto altrimenti, senza tempo, che arriva a unirsi con il presente e giunge a simbolizzarsi in modo del tutto occasionale, sempre imprevedibile, come accade nell’incipit di Scirocco, in cui lo scorcio “attuale” bolognese trascolora nel «ricordo dorato» di un porto, generando l’ibridazione, l’immagine fantastica, articolata, prima che la sua inedita significazione – funzionale, in quel punto, al dipanarsi diegetico – sia sottoposta al processo erosivo della materia narrativa.

Leonardo Blonda


gioventGli anni Cinquanta hanno costituito un periodo di transizione nella storia del cinema americano. Hollywood è stata per certi aspetti la risposta a significativi cambiamenti sociali, economici e politici quali l’isterismo anticomunista successivo alla Seconda Guerra Mondiale, la paranoia della Guerra Fredda degli anni Cinquanta, la ripresa economica successiva alla Depressione e al conflitto mondiale. Dopo gli orrori della guerra, l’America cominciò ad avere una visione più positiva e ottimista della vita grazie anche al diffuso benessere sociale. Si assisté alla tendenza, marcatamente americana, a sottolineare l’importanza di uno stile di vita basato sulla centralità degli affetti familiari e della vita domestica e a un accentuarsi della cultura consumista già descritta da Theodor Adorno e Max Horkheimer nel 1944 in termini a dire il vero non positivi.

Lorenzo Esposito

esposito

Chi ha paura d’amare John Carpenter? Probabilmente chi non ammette che il cineasta vero lo si vede sempre nel film su commissione e se possibile a basso budget (anche se non ammettere questo volesse dire mancare del tutto uno dei più grandi di sempre come Howard Hawks e il suo più decisivo erede come John Carpenter). E sicuramente chi non sa che al cinema per “film minore” non si intende meno riuscito o sottotono (se non nel bla bla bla accademico medio mediatico mainstream), ma segreto, opaco, misterioso, una variazione seducente di temi già affrontati, una bruciante sottolineatura, una necessaria messa a fuoco, un’incursione tanto apparentemente laterale quanto cruciale e centrale.

Diego Mondella


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«Nell’immaginario amoroso, niente contraddistingue il più trascurabile stimolo da un fatto realmente conseguente: il tempo viene scosso avanti (mi vengono in mente delle predizioni catastrofiche) e indietro (mi ricordo con sgomento dei “precedenti”): da un niente prende corpo tutto un discorso del ricordo e della morte che mi trascina con sé: è il regno della memoria, arma della risonanza – del “risentimento”».
(R. Barthes, “La risonanza”, Frammenti di un discorso amoroso).

La mia stagione preferita
è l’estate. Il mio tempo migliore è il passato. La scansione in stagioni e la suddivisione in capitoli della vita forniscono la cifra primaria del cinema di André Téchiné. Un cinema, in cui lo scorrere dei giorni, l’avvicendarsi delle età, il passaggio di generazione sono anima vibrante e istintuale di un ininterrotto romanzo di formazione.

Gemma Adesso e Luigi Abiusi


le-gamin-au-velo-le-gamin-au-velo-5«Come nel teatro delle marionette, il tutto gesticolerebbe bene, ma nelle figure non si troverebbe vita alcuna»
(Kant, Critica della Ragion Pratica).

«E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappare di nuovo da casa tua?»
(Collodi, Le avventure di Pinocchio).


Comincia già che è uno sfinimento per gli occhi. L’ultimo film dei Dardenne introduce lo spettatore in una dimensione puramente visiva, di affaticamento che non conosce riposo: le soste non ristorano, lasciano semmai che la vista precipiti in un vuoto che – se non è sogno – è vertigine della caduta.

Simona Tell


illusionnisteChe cosa porta lo spettatore in sala, di fronte a uno schermo? Il desiderio di intrattenimento. A seconda del gusto personale, dello stato emotivo, dell'impatto che pubblicità e critica hanno avuto su di lui e di mille altre variabili lo spettatore sceglie la pellicola. Il tipo di distribuzione ricevuta da un film nelle sale è un'altra incognita. Ci sono pellicole di mero intrattenimento e di poco valore che hanno la possibilità di mostrarsi al pubblico per delle settimane in ogni sala italiana e poi ci sono quelle opere di pregio o semplicemente piccole opere che riescono ad accedere a una sala di un cinema sperduto per una serata o poco più.

Matteo Marelli


pippo-delbonoG_marelliSolo sino pochi anni fa Peter Greenaway rimproverava al cinema di essere un medium rozzamente conservatore, refrattario alla sperimentazione, se messo a confronto coi progressi compiuti nella pittura del Novecento. Un giudizio che era frutto di una riflessione elaborata prima dell’evoluzione  del dispositivo cine-fotografico in immagine digitale.
Il passaggio di testimone ha dato inizio ad un nuovo corso, chiamato da Francesco Casetti «Cinema due», una definizione con la quale indicare la trasformazione delle immagini cinematografiche e dei dispositivi che le producono; delle inedite forme di consumo e dei nuovi contesti e rituali di fruizione. Una nuova fase in cui viene a mancare il medium di riferimento, come era stato il cinema almeno fino alla fine del secolo scorso, e che produce molteplici esperienze, molteplici schermi e molteplici forme di realizzazione audiovisiva.

Filippo Magnifico

Vanishing-on-7th-Street-Hayden-Christensen-Foto-Dal-Film-02È ormai abitudine identificare ogni periodo cinematografico con una serie di registi, accumunandoli  ad una cosiddetta “nuova leva” in grado di accogliere nomi sempre nuovi di anno in anno. È questo il caso di Brad Anderson, cineasta che ha all’attivo solo una manciata di lungometraggi, ma che, nonostante questo, è riuscito a imporsi all’attenzione magari non di tutto il mondo, ma di quella “cricca” che riunisce gli appassionati cinema, soprattutto di genere.
Lungo la sua breve carriera questo regista è riuscito a dimostrare che non servono grandi budget per creare la giusta dose di tensione e che il digitale ben si presta per incorniciare quella morbosità tipica di certi istituti psichiatrici caduti in disuso (Session 9).

Vito Attolini


tonka_attoliniIl periodo a cavallo degli anni Trenta – caratterizzato dall’affermazione definitiva del sonoro nella cinematografia americana e dal più lento avviarsi verso lo stesso traguardo delle cinematografie europee e asiatiche – è fra i più singolari dell’intera storia del cinema. Questa singolarità deriva dal lento costituirsi di un modello filmico che si colloca sul confine ancora incerto che separa il muto dal sonoro, in una fase storica cioè in cui il primo, che aveva affermato il suo prestigio artistico convalidato da molti capolavori, sta per lasciare il campo al cinema parlato, mentre quest’ultimo si rivela, sia pure per poco, incerto nella sua definizione linguistica (si pensi all’iniziale proliferare del cosiddetto teatro fotografato, giustamente deprecato dai più avvertiti teorici e critici della settima arte).

Vito Attolini


prefazione_attoliniTratto da Licinio R. (a cura), 2011: Cinema e Medioevo. Immagini del Medioevo nel cinema, vol. I (il volume in formato ebook sarà allegato al numero 4 di Uzak).

Fin dalle sue origini il cinema ha tratto dal passato, dalla storia, materia per i suoi film, anche per quelli la cui durata, come accadeva ai primordi, non superava pochi minuti. Possiamo dire a tal proposito che il film storico è stato il primo fra i “generi” cinematografici. Il francese Georges Méliès, uno dei padri della settima arte, ne fu l’antesignano, visto che era solito inframmezzare fra un film e l’altro di pura fantasia (questi costituiscono infatti gran parte della sua sterminata filmografia) anche alcuni altri che oggi noi definiamo appunto come “film storici” su avvenimenti del passato: nacque così con lui un modello cinematografico che si fonda sulla rievocazione di eventi lontani nel tempo, il cui potere di suggestione sul pubblico sarebbe rimasto intatto nei decenni successivi, fino ai nostri giorni.

Tommaso Montefusco


nomedellarosa_montefuscoTratto da Licinio R. (a cura), 2011: Cinema e Medioevo. Immagini del Medioevo nel cinema, vol. I  (il volume in formato ebook sarà allegato al numero 4 di Uzak).

I.
Questo testo si rivolge ai docenti di ogni ordine e grado di scuola; ovvero, si rivolge a coloro che insegnano la storia perché sia appresa con piacere o almeno con interesse.
La storia, infatti, non è disciplina molto gradita agli studenti, che spesso, in assenza di un metodo di studio o di una efficace mediazione didattica da parte del docente, si lasciano andare ad un apprendimento di tipo mnemonico. Suscitare la motivazione intrinseca è, secondo me, il primo step metodologico che un docente deve prevedere nel momento in cui si accinge ad affrontare in classe un argomento di studio. La motivazione intrinseca, infatti, si realizza quando un alunno si impegna nello studio di un argomento perché lo trova interessante e prova soddisfazione nel conoscerlo ed approfondirlo. La motivazione intrinseca è basata, quindi, fondamentalmente sulla curiosità rivolta verso l’argomento di studio che viene proposto dall’insegnante.

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