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Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

halimaspath2Fine anni Settanta. Salko e Halima vivono da soli. La loro famiglia è composta dal fratello del primo, Mustafa, e dal fratello della seconda, Avdo, entrambi sposati e con figli, quello che i due non possono avere. Tra i nipoti della coppia c’è Safija, ripudiata dal padre perché innamorata e incinta di Slavo, serbo e cristiano mentre il resto della famiglia è croata e musulmana. Dopo che Slavo è costretto a scappare via per aver ferito Avdo che stava picchiando quasi a morte la figlia, Safija dà alla luce il bimbo, che tiene nascosto al ragazzo (dicendogli che è nato morto) per paura di ulteriori ritorsioni. Slavo, dopo qualche tempo, torna dalla Germania dove si era rifugiato e aveva trovato lavoro, e porta con sé Safija. Salko e Halima, gli unici ad aver aiutato la ragazza, adesso si occuperanno del piccolo.
25 anni dopo, le cose sono molto cambiate: nella guerra seguita alla dissoluzione della Jugoslavia, Salko e il ragazzo a cui era stato dato il nome di Mirza, hanno perso la vita. Il cognato Mustafa e il nipote Aron sono gli unici rimasti ad Halima, che è da anni che lotta per ritrovare i resti del marito e del figlio. Salko viene individuato in una fosse comune, ma per identificare Mirza serve un campione di sangue di un suo familiare. Halima, dunque, è costretta a mettersi alla ricerca di Safija e Slavo…

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

nesma1Youssef e Claire Slimane sono una coppia felice, felice del loro amore e della loro posizione, un passato da attivisti politici, un presente da agenti immobiliari di proprietà di lusso. Accanto a loro c’è Syrine, figlia della cameriera, che si appresta a scoprire l’estate tunisina, i primi amori. Un giorno Youssef riceve la visita di un poliziotto che lo informa che la sua identità è stata rubata e che qualcuno sta effettuando acquisti a suo nome. Pian piano gli eventi precipitano, collassando tutti verso la villa che i due non riescono a vendere, Nesma, che in arabo significa “brezza”…

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

yema2Ouardia, vedova, ha due figli: Tarik, primogenito, soldato; Ali, secondogenito, capo di una milizia islamica. Il primo è morto, forse ucciso dal secondo. La madre riporta il corpo del figlio nella loro casa natia, arroccata sulle montagne algerine e proprio al centro del territorio conteso tra militari e miliziani. Ali, per evitare che gli succeda qualcosa, manda a proteggerla e sorvegliarla uno suoi uomini, un ragazzo che era l’artificiere del gruppo e che in una fallita incursione ha perso una mano. La situazione si complica quando viene portato a casa anche il figlio appena nato di Malia, la donna amata dai due fratelli, morta di parto…

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

acab2Grecia, Atene, oggi. Elektra si divide tra l’attivismo, il lavoro, la famiglia, l’amore. L’attivismo: un collettivo anarchico che ha perso uno dei suoi membri, quel Manousos che aspetta il processo per rapina a mano armata e terrorismo; il lavoro: baby-sitter a tempo quasi pieno di Petros, bambino di otto anni lasciato troppo solo da una madre troppo presa dal lavoro; la famiglia: genitori che affondano le radici negli anni Sessanta, che hanno educato la figlia ai quei principi, a quella storia; l’amore: Manousos, in carcere.

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

rockthecasbah3Un gruppo di giovani soldati cammina sulla spiaggia di Gaza. È il 1989, è la Prima Intifada. Tomer, Ariel, Aki, Haim e Ilya sono lì per tenere a freno gli arabi in rivolta con i sassi e gli scioperi. Durante un pattugliamento, Ilya viene colpito a morte da una lavatrice lanciata da un tetto. In risposta al silenzio della famiglia proprietaria dell’abitazione, l’ufficiale al comando piazza i restanti quattro di guardia alla zona, per scoprire chi è stato ad uccidere Ilya.

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

rengaine2Dorcy è africano, cristiano, attore; Sabrina è algerina, araba, musicista. Insieme, vogliono sposarsi. La madre di lui e gli amici di lui sono contrari; la famiglia di lei anche. Soprattutto la famiglia di lei, con i suoi quaranta tra fratelli e sorelle, con a guidarli il maggiore tra loro, Slimane. Ma anche Slimane nasconde qualcosa nel suo cuore…


Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

theattack1Il chirurgo Amir Jaafari ha appena ricevuto il più importante premio per un dottore israeliano. Ma l’assegnazione, stavolta, è maggiormente significativa: Amir Jaafari è un arabo che oramai da quasi venti anni vive e lavora a Tel Aviv, sposato con la conterranea Sihem, e con cui conduce una vita agiata e piena, piena di successi, riconoscimenti e passaporti. Il giorno dopo la premiazione, un attentato scuote il centro della città, e corpi su corpi si accalcano nelle sale operatorie dell’ospedale di Amir. La vita del dottore cambierà per sempre quando lo Shin Bet lo informa che sua moglie è l’autrice dell’attentato. Inizia così il suo viaggio alla ricerca delle ragioni della donna…

Luigi Coluccio

Luigi Coluccio

comingforthbyday2Suad è una giovane donna che passa tutto il suo tempo a casa, impegnata come è ad accudire il vecchio padre colpito da un ictus e oramai incapace di svolgere ogni minima funzione vitale. La madre si divide tra l’assistenza del marito e il suo lavoro all’ospedale. Un pomeriggio, Suad esce…



Giampiero Raganelli

Giampiero Raganelli

saatvin-sair-3Un uomo cammina. È un pittore che vaga nella foresta e vi si addentra attratto da una misteriosa e seducente melodia. Si riposa sotto un albero e vede se stesso camminare e dipingere. Un frinire di cicale quasi ininterrotto.



Giampiero Raganelli

Giampiero Raganelli

der unfertigeKlaus è un commercialista sessantenne. Così si qualifica al pubblico, nella prima scena di questo documentario, apparendo subito nudo, dal corpo inevitabilmente sfatto per l'età, incatenato, con numerosi anelli metallici attorno al pene. Klaus si racconta durante il film e, con grande spontaneità, parla della passione su cui tutta la sua vita è incentrata, quella del ruolo di schiavo in incontri sessuali sadomaso gay. E il regista lo segue, nella parte finale, in un campo di schiavi, un resort turistico dove gli ospiti vengono sistematicamente frustati.

Giampiero Raganelli


blue-planet-brothersUna panchina tra il verde urbano, in una Tokyo congestionata, diventa il ritrovo abituale di tre bizzarri personaggi. Un samurai proveniente di epoca Edo con una valigetta con lo stemma della sua casata feudale. Un alieno che arriva dal pianeta Cygnus. Una fata o folletto. I primi due si lamentano per i rigorosi divieti antifumo in vigore rispettivamente nel castello in cui è al servizio il primo e nell'astronave del secondo.

Leonardo Gregorio


Tir Festival di RomaÈ un film da difendere Tir, altro titolo in concorso, tanto più quando c’è chi scrive che sarebbe “l’esempio perfetto dello stato comatoso in cui versa il cinema italiano”. E invece giunge il piacere dell’imprevisto.




Leonardo Gregorio


another meÈ un territorio, quello del cinema-congegno, fra i più straordinari e insidiosi. C’è chi come Fincher vi si muove all’interno anche con potente, disperato parossismo, chi come Soderbergh ne è attualmente il più importante e lucido interprete e smontatore (cos’è Magic Mike fra i suoi film più recenti?) o, ancora, chi come Nolan ha forse frainteso.

Leonardo Gregorio

Leonardo Gregorio

VolantinCortao11Nel cileno Volantin cortao ci sono dei momenti – sono momenti fugaci, attimi - in cui il volto di Paulina sembra farsi, o poter diventare, quasi pelle dello schermo, ruvida carezza, oggetto sfuggente nel disegno di Diego Ayala e Anibal Jofré. In un film, cioè, che fruga in modo irregolare fra i Dardenne, più che assorbirli, e al contempo tenta di inseguire nella sua fragilità, nella sua insicurezza, altre strade, altre immagini, altri corpi.

Luigi Abiusi


corpi estraneiL’inizio di Out of the Furnace di Scott Cooper (tra i produttori anche Ridley Scott) è una splendida pagina di cinema: scena violenta in un drive-in (con wurlstel infilato in gola a una donna, che fa il paio col pollo di Friedkin in Killer Joe) mentre sullo schermo scorre un film ad alta velocità, a cui contribuisce la dolcezza dell’arpeggio di Release di quei Pearl Jam che con Ten (1991) avevano dato inizio al grunge (poi non saranno mai più gli stessi) e il cui spirito qui è presente solo nelle camicie a quadri del protagonista; che poi, secondo me, per aprire una parentesi, raggiungerà il suo vertice (il grunge) con Dirt degli Alice in Chains (concentrato a mostrarne il lato oscuro, tragico, di sicuro più dissonante: e qui ci sarebbero cose da dire almeno sui Soundgarden - eh sì i Nirvana, certo -; ma poi mi pare che il cinema abbia usato poco la vasta temperie di questo genere, se non per puntellare le atmosfere del Corvo o di Giovani carini e disoccupati o Singles, ecc., tutta una congerie di problematiche e sentimentalità che non erano posticce e gratuite alla metà degli anni Novanta), quando manco diciottenni si suonavano i CCCP rinchiudendosi nei monolocali mucidi, senza bagni, senza finestre, senza termosifoni, e si pisciava nelle bottiglie di tè, che poi arrivava Vito all’improvviso, mentre gli altri frustavano le teste e facevano ballare le chiome, e senza chiedere nulla s’attaccava alla bottiglia assetato per poi sputare e vomitare.

Nicola Curzio


MaeMarAlla ricerca di un mito reale e perduto sulla spiaggia di Vila Chã, cerchiamo le donne di mare chiamate “pescadeiras”, in uno dei pochi luoghi al mondo con donne timoniere. Ma dove sono? E dove sono le 120 barche da pesca artigianali? Rimangono 8 barche e una sola pescatrice. In una terra di coraggiosa gente di mare, filmiamo la passione della pesca, la passione del mare. [Dal catalogo del Festival Internazionale del Film di Roma]

Luigi Abiusi


las brujasÈ arrivato l’autunno nella sua faccia più ieratica e rigida, di quelli che si specchiano sulla lamina delle pozzanghere, per godere del proprio giallo celestiale mentre camminano per i viali affondando nei baveri; sparso sull’erba dei parchi e sulle strade di ghiaia dove razzolano i piccioni, si azzuffano per le croste, si beccano, si sferzano con le nere unghie e spesso sanguinano e si trascinano afflitti sul ciglio, divenendo, pestati sul terreno, pura opacità: folate di vento freddo sulla nuca (che ustionano la testa fino ai timpani) mentre si fa la fila anche solo per un kebab (disgustoso), ammasso di frattaglie di non so cosa, carne di cane in decomposizione sul ciglio della strada, con ketchup e merda gialla.

Nicola Curzio


a vida invisivelDifficile non perdersi in quest’opera maestra che segna il ritorno alla regia di un grande cineasta qual è Vítor Gonçalves. Memoria, o forse sogno, di un tempo perduto, riattivato dalle immagini di un film in 8mm trovato in un appartamento abbandonato; immagini che nascondono uno sguardo, che sussurrano qualcosa, che conservano un enigma, nella grana che le compone.

Luigi Abiusi

herAbbandonati alla domenica, dalla domenica, mattina romana, lastrico grigio, vischioso, cielo cinereo e sibilo, un chiosco floreale canta Moonlight Shadows come quando nell’83 camminavo per le stradine di un rione che non conoscevo, oltre il ponte (esotico per me come una giungla, intrico di fusti, cespi, ragni svelti), per vedere lei anche solo da lontano (godere del soffio al cuore che mi veniva quando appariva,  bianca e con gli occhi romantici, mandorlati; del senso di appartenenza dentro le invisibili corrispondenze che mi dicevano che ero vivo), cortili che s’aprivano all’improvviso al silenzio dei muschi, dei tufi corrosi che erano una porta, del pallone che sbatteva contro il muro, calciato forte (come atto virile) dai monelli già catarrosi (da invidiare per quello spurgo giallastro attagliato all’asfalto con rumore sordo, di cadavere), che pensavo avessero coltelli in tasca e parolacce da sguainare, pronti a derubare, anche dell’amore (soprattutto gli sconosciuti, i bambini ricci venuti da prima del confine, che i ricci erano discrimine sufficiente per ghignare e azzuffare, rubando palloni, quelli di cuoio avuti dallo zio di Milano, una chimera, di quelli che vedevi in televisione carezzati da Bruno Conti, mentre era già tanto se si giocava con il Tango, che se ce l’avevi ed eri pure grasso e ammutito,  ti chiamavano al citofono gridando e sputando sentenze sul pisciacchio di tua madre, squascianato, e ridevano e si tiravano i capelli, perché serviva il pallone, quello pesante, per una qualche sanguinosa disfida in un cortile, quando non erano alle prese, i monelli, con roghi di rane o con la fame che li faceva appostare fuori da una drogheria, prima del vecchio ponte, dove in vetrina campeggiavano le merendine al cioccolato, splendide imitazioni delle Fiesta) e una luce che non parlava che di lontananza, di desiderio e di assenza, quella che Hugo nella Vita invisibile di Vitor Goncalves si ferma ad osservare negli anditi e nelle stanze scricchiolanti di cui è pieno questo film splendido, anzi di cui è fatto, fantasmatico, svuotato, muto.

Nicola Curzio

Nicola Curzio

mantoManto acuífero, secondo lungometraggio di Michael Rowe (Caméra d’or a Cannes nel 2010 con Año Bisiesto), si apre con inquadratura che per altezza richiama alla mente Ozu: Caro, una bambina di otto anni, parla con un insetto, mentre alle sue spalle si muovono alcune mezze-figure; “mezze” perché eccedono i limiti del quadro, intervenendo nello spazio solo parzialmente, non essendo mai totalmente accettate all’interno di esso; “mezze” perché non diverranno mai veri personaggi, ma resteranno per tutta la durata della pellicola messicana solo tratti grossolani privi di concreto spessore.

Luigi Abiusi


diarioroma1Che poi alle cinco de la tarde è già tardi, è già sera, e «la piedra es una frente donde los sueños gimen/ sin tener agua curva ni cipreses helados./ La piedra es una espalda para llevar al tiempo / con árboles de lágrimas y cintas y planetas» (la pietra è una fronte dove i sogni gemono/ senz’aver acqua curva né cipressi ghiacciati./ La pietra è una spalla per portare il tempo/ Con alberi di lagrime e nastri e pianeti), ed è accaduto che a mano a mano… che si facesse tardi… (ma la sala stampa è un troiaio di telefonate, di donnine isteriche e occhialute che biascicano vontrier, di nerd urlanti; e allora inforco le cuffie e metto Stars are our home, traiettoria infantile tra i pianeti, ma se mi viene il mal di testa cazzo, devo starmi buono con l’oki e poi c’è la promessa di bersi una cosa, ma la sublimità, l’accorata [I don’t mean to] Wonder m’aiuta a ricordare); un presentimento, poi la constatazione, no, il timore di perdere ancora (non so cosa)…  è accaduto che il paesaggio campano curvasse vertiginosamente fino a Caserta dove a fianco alla ferrovia un arbusto si scrollava, pieno zeppo di una zazzera di foglie. Che poi la distanza tra due punti vivi si risolve in quel serraglio vegetale, o anche solo sulla superficie di una foglia morta, di un occhio di donna da rifuggire (col suo bagaglio di via vai nei tram, la sera), della cappa biancastra de la tarde o di una scarpa con tacco sonante, una patata, un bicchierino di tè. I got your love.

Giampiero Raganelli


belaUn elicottero che sovrasta il set, creando un fortissimo vento sottostante. Dei giganteschi ventilatori e degli inservienti che lanciano foglie secche, attingendo da una gran quantità di sacchi, in modo da farle volteggiare in aria sfruttando l'immensa forza eolica che viene così generata. In un paesaggio già di per sé desolato e marginale, colpisce il macchinoso e artificioso intervento sulla realtà per ricreare quel mondo aspro, estremo, quella finis terrae, la rarefazione primordiale, il caos degli elementi, di A torinói ló, l'ultimo immenso film di Bela Tarr, il cui backstage è ripreso in questo documentario di Jean-Marc Lamoure sul cineasta ungherese.

Luigi Abiusi

sao-karaoke-karaoke-girl-di-visra-vichit-vadakan

Mi limón, mi limonero
entero me gusta más
Un inglés dijo yeah, yeah
y un francés dijo oh lala
[…]

Me siento malo morena
cabeza hinchada morena
Que no me paro morena mmm, voy voy voy
[…]

Giuseppe Gariazzo


torinoCi sono filmografie costituite di un solo film. O che potrebbero esserlo. Per l’originalità del punto di vista, l’approccio deambulante e irripetibile individuato per scavare solchi apolidi nell’immagine e nella narrazione. L’algerino Mohamed Zinet, attore di teatro e cinema e regista teatrale, realizzò un unico film, Tahya ya Dîdû (Viva Didu - Algeri insolita, 1971), che rimane una pietra miliare della cinematografia algerina. Il tunisino Mohamed Ben Smaïl esordì nel 2000 con il sorprendente Ghodoua Nahrek (Demain, je brûle…), presentato a Venezia, a tutt’oggi la sua unica regia. Si pensa a questi cineasti, per limitare il campo al Maghreb, e alla unicità delle loro opere, vedendo il primo lungometraggio della cineasta algerina Narimane Mari Loubia Hamra (Red Beans). Che potrebbe avviare una filmografia meravigliosa o rimanere un isolato gioiello prezioso.

Luigi Abiusi


histoire-de-ma-mort-historia-de-la-meva-mort-23-10-2013-2-gSe c’è un pregio di Carlo Mazzacurati è quello che ama i suoi personaggi, sempre carenti (per lo più di pecunia), lacunosi, bistrattati. Che poi sembra difficile non amare il Fabrizio Bentivoglio della Lingua del Santo (adesso ripreso in un cameo esilarante in cui, insieme a Silvio Orlando, interpreta la parte di un venditore di dipinti su un canale televisivo, inventandosi immantinente, movimenti pittorici, stili, motivazioni semiologiche di questa o quella tela) o il Mastandrea di questa Sedia della felicità (nella sezione “Festa mobile”) mentre va alla ricerca di un tesoro nascosto in una sedia, che poi si tramuterà nella conquista dell’amore.

Luigi Abiusi


Frances-HaTra l’altro Noah Baumbach implementa le potenzialità luminose di quella Greta Gerwin che già risplendeva ne Lo Stravagante mondo di Greenberg, nonostante una goffaggine che lì era marcata dal suo sovrappeso, una cacofonia che per Baumbach era essenziale a puntellare la cisposità, la faticosa noia della realtà in cui si muoveva lo stesso Greenberg, antieroe verso cui indirizzare più risentimento che partecipazione.

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