Giampiero Raganelli

saatvin-sair-3Un uomo cammina. È un pittore che vaga nella foresta e vi si addentra attratto da una misteriosa e seducente melodia. Si riposa sotto un albero e vede se stesso camminare e dipingere. Un frinire di cicale quasi ininterrotto.




Un film immerso in una natura prepotente dove i pochi edifici sono dismessi e fatiscenti, in mezzo ai boschi, con le crepe ai muri, corrotti dalla natura, dalla vegetazione che vi si è infiltrata. E le immagini sono alternate a inserti di prosa, frasi scritte che hanno la musicalità e la poetica degli haiku. «La fotografia scaturisce dal disegno e viceversa» dice uno di questi, che rappresenta il senso di quest'opera che si fonda su una continua oscillazione tra natura e arte figurativa, cinema e illustrazione, realtà e rappresentazione, movimenti della m.d.p. e tavolozza dei colori, interno ed esterno, colori e bianco e nero, vuoto e pieno.
Un'opera dai cromatismi prepotenti. Che inizia con immagini di muschi e licheni che conferiscono una rugosità alle superfici che rivestono, un'asprezza, la compromissione progressiva di un'estensione liscia, che si avvicina all'immagine di un quadro astratto.

Amit Dutta sembra voler rovesciare, o porsi in posizione complementare, a quella che è un'opera seminale sull'arte, vale a dire El sol del membrillo. Se Erice sembra sancire l'impossibilità della raffigurazione pittorica della mela cotogna, nel continuo, e sterile, tentativo del pittore di rincorrerla, qui siamo di fronte a un passaggio e uno sconfinamento continui tra natura e pittura, un circolo vizioso, una transustazione biunivoca dell'una nell'altra. Natura che si cristallizza in natura morta, architetture stilizzate da pittura metafisica, immagini riflesse, riverberi di luce fino all'immagine della bambina che diventa come un quadro di Gauguin.