Comunismo Futuro (2017) ha diversi baricentri, e questo ne fa un’opera sbilanciata, squilibrata, sbilenca, come il sentimento dell’umanità contemporanea senza comunismo. Un centro è il 1917, quando l’esperimento comunista venne tentato in condizioni tali da rendere inevitabile lo scacco e la tragedia. Un centro è l’apocalisse che si è scatenata negli anni della vittoria del nazismo trumpista in America e in larga parte del mondo. Un centro, infine, è a Berkeley, California, 2 dicembre 1964. Cinquemila studenti si incontrano nella piazza del campus per ascoltare Mario Savio (leader del movimento per la libertà di parola che si stava diffondendo) che doveva rendere conto di una conversazione con il direttore dell’Ufficio dei reggenti dell’università.

 «Viene un momento in cui l’operazione della macchina diventa così odiosa, vi rende il cuore così pesante, che non potete più partecipare. Non potete più prendere parte neppure passivamente. E a quel punto dovete prendere il vostro corpo e gettarlo in mezzo agli ingranaggi, e alle ruote… e alle leve, e contro tutto l’apparato, per riuscire a fermarlo. E a quel punto dovete dimostrare alla gente che dirige il sistema, che lo domina, che se non sarete liberi, allora impedirete alla macchina di funzionare».

Sono passati cinquantaquattro anni da quel giorno. Il mondo è cambiato esattamente nella direzione che Mario Savio presentiva allora come una prospettiva spaventosa. Nelle sue parole c’è un’anticipazione impressionante e lucida della relazione tra conoscenza ed economia capitalista, del processo di sottomissione e privatizzazione dell’università e della ricerca, e anche una sorta di premonizione del destino del movimento 1968. Mario Savio parla del fatto che l’università stava diventando un’azienda un’entità economica il cui principio dominante è il profitto. La relazione tra potere (militare ed economico) e conoscenza era un oggetto importante nella coscienza degli studenti, dei ricercatori e degli intellettuali coinvolti nel movimenti di quegli anni, e quella relazione è diventata assolutamente cruciale nei trent’anni della rivoluzione digitale. Mario Savio parla del cuore pesante dei lavoratori cognitivi sottoposti allo sfruttamento. Infine Savio invita i suoi compagni a bloccare le leve gli ingranaggi e le ruote dell’apparato produttivo, così da fermarlo. Ma quell’immaginazione (leve, ruote, ingranaggi, fabbrica, vecchia classe operaia) impedì al movimento del ’68 di vedere il nuovo panorama che stava emergendo, il panorama della rete. delle tecnologie digitali e del lavoro cognitivo e precario.

In quella folla che si trovava davanti alla principale università della Bay Area, migliaia di giovani stavano ascoltando, partecipando e respirando insieme. Molti di loro sono divenuti certamente animatori del processo che ha condotto alla creazione della rete globale. Possiamo immaginare che Steve Jobs o Steve Wozniak fossero in mezzo a quella folla di giovani. Ma il movimento non comprese che la cosa più importante era prendere possesso della macchina cognitiva. L’eredità del 1917 agì come motore dei movimenti del secolo ventesimo, ma funzionò anche, contraddittoriamente, come ostacolo alla comprensione di quel che di nuovo è emerso nell’epoca post-industriale.
Comunismo Futuro è dedicato alla sconfitta del passato, ma anche all’apocalisse del presente, da cui vediamo una sola via d’uscita: il secondo avvento del comunismo, il comunismo futuro.

Franco Bifo Berardi

Che fare?

Circa due anni fa, parlando con Bifo ci siamo resi conto che non potevamo più dal 1989, pronunciare la parola comunismo. Non potevamo più pronunciarla perché era legata a un’esperienza che aveva improntato per ottant’anni il suo processo sulla superstizione del lavoro, anziché sulla liberazione dell’uomo dal dominio dell’uomo. Si avvicinava il centenario della rivoluzione d’ottobre, e i quarant’anni dal 1977. È l’anno in cui comincia la fine dell’epoca che credeva nel futuro ed inizia quel non futuro in cui viviamo oggi. Il comunismo non è cosa del passato ma è cosa che riguarda il futuro. Si tratta di riempire questa parola di significati nuovi perché in questa parola vi è l’unico futuro possibile per l’umanità. Usiamo la parola futuro nella accezione mayakowskjana: dobbiamo rubare al futuro i giorni migliori. È un futuro che è qui, davanti a noi, ora. 

Abbiamo deciso quindi di riportare nel nostro vocabolario, nelle nostre vite e nelle nostre lotte quella parola: comunismo. Quindi nasce questo film e per farlo, per liberare questa parola, abbiamo chiesto aiuto agli artisti, ai poeti, agli scienziati. Non volevamo fare un film storico o storicista, sulla rivoluzione russa o sul 1977. Volevamo però usare gli occhiali del punk, del no future per indagare il secolo delle passioni, per trovare domande, più che risposte alla tempesta che viviamo oggi. È per questo che abbiamo chiesto agli artisti, ai poeti e agli scienziati di guidarci in questo processo, perché sono i soli che ci possono aiutare ad uscire dalla tempesta del nazismo finanziario. Non si tratta di prendere il potere ma di cambiare segno ai numeri, di trasformare i numeri in algoritmi di felicità che ci libereranno dalla schiavitù del lavoro salariato. Nel frattempo noi possiamo fare una sola cosa: smettere di lavorare. Che la macchina del profitto funzioni senza noi! Abbiamo altro da fare, dobbiamo mettere i nostri corpi nella tempesta e cercare di attraversarla, toccandoci, annusandoci, trasformando il comunismo in esperienza dei corpi. Restiamo umani e ogni volta che ci incontriamo salutiamoci come da un secolo si salutano gli amanti: “see you on the barricade”.

Andrea Gropplero

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