Rivista

Raffaele Cavalluzzi

Questa ricerca monografica di Marco Luceri non presenta solo varietà di occasioni, esperienze e contesti, insieme a complessi incroci culturali, ma è una parabola dell’opera di Polanski che lascia emergere uno straordinario ossimoro: tenebre (paesaggi di dolore e di morte) splendenti, al di là del fascino eccezionale e unico di questo cinema. È una tragicità che conquista: l’ottica del negativo è costantemente presente, e splendente appunto, attraversando l’intera attività biografica e artistica del regista polacco, che è seduttiva quant’altre mai. L’ analisi dei lungometraggi di Polanski si apre con un’acuta introduzione segnando la dialettica tra Coltello nell’acqua, Repulsione e Cul de sac.

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Luigi Abiusi

Torna, è tornato già da tempo, il fascino per il supporto materiale attraverso cui ascoltare la musica, soprattutto il vinile e con lui l'apparecchio bracciuto su cui lo si poggia, insomma il giradischi, inno alla meccanica contro la logica digitale. E da qui la rinnovata importanza dei negozi di dischi (per me è la New Records di Bari, storico ricettacolo del kraut, della psichedelia, dell'elettronica più mesmerici), l'atto stesso, tipico, arpeggio di dita, di sfogliare gli album stipati nei loro scomparti; soprattutto ora che a causa della brexit cosiddetta e dei rigori (o pasticci) delle dogane inglesi, è diventato difficile, forse addirittura impossibile, ricevere i dischi direttamente a casa dal Regno Unito, terra delle migliori etichette di psichedelia.

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Luigi Abiusi

Nonostante i vaticini più catastrofici basati sull'idea che non si sarebbe tornati mai più alla normalità, che il virus avrebbe modificato radicalmente la nostra pratica di vita, il nostro quotidiano anche più banale, mi sembra che questa normalità alla fine, e nonostante il delirante, pecoreccio ostruzionismo dei cosiddetti no-vax, stia tornando. E forse l'indice più chiaro di ciò è rappresentato dal ritorno nei teatri, nei cinema, potendo contare sullo loro capienza massima e non su quella tragicamente dimidiata che ha reso la vita difficile agli accreditati della Mostra di Venezia conclusasi lo scorso 11 settembre.

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Alejandra Bottinelli Wolleter

Trad. di Giovanni Festa

Il muro sfondato di un vecchio ospedale psichiatrico nelle cui crepe sgretolate crediamo di leggere ciò che quel rudere racchiude: dolore, tristezza, abbandono. Sulla parete ormai vuota si sovrappone l'immagine fotografica di una giovane donna dal corpo nudo, esposta alle intemperie che segnarono l'inizio del XX secolo per diversi popoli indigeni del Abyayala, mentre fissa impassibile una macchina fotografica alla quale dà l'immagine di se stessa, del suo corpo esposto senza restituirle un centimetro in più del suo essere, senza nessun gesto di subordinazione.

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Rodrigo Sebastián

Trad. Giovanni Festa

Ai margini del cinema argentino contemporaneo più originale, spiccano i film di César González, audaci, inconfondibili, simili a un enigma. Cineasta plebeo, è autore di un'opera torrenziale difficile da concettualizzare. Anche per chi in Argentina ha seguito da vicino la proliferazione dell'opera e delle mostre dell'artista nell'ultimo decennio, resta difficile definire la sua carriera. Tanto più che c'è, in questo pensatore, poeta e cineasta, un nucleo che rimane permanentemente inafferrabile e intraducibile: può essere contemporaneamente o alternativamente la sua esperienza di vita (così intensa e differente), il suo pensiero sofisticato (somma di una notevole varietà di registri e di posizioni eterogenee), la sua comunione con l'arte.

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Eduardo A. Russo

Traduzione di G. Festa


Lo scopo delle parole

è trasmettere idee

Quando le idee sono state comprese

le parole vengono dimenticate

Dove posso trovare un uomo

che ha dimenticato le parole?

Con lui mi piacerebbe parlare

(Chuang-Tzu)

 

Per molto tempo l'argentino Claudio Caldini è appartenuto alla stirpe sovrana dei registi segreti. Filma da più di 50 anni e il suo status di artista recondito è stato solo parzialmente ribaltato nell'ultimo decennio. Da un lato la sua produzione, sempre più riconosciuta all'interno del circuito ridotto del mondo dell'arte, ha goduto di possibilità di fruizione rinnovate dalla disponibilità propria del digitale. Dall'altro, la sua partecipazione attiva a festival, retrospettive a varie latitudini e un documentario su di lui e il suo cinema (Hachazos, di Andrés Di Tella, 2011) hanno contribuito a dare visibilità, in una dimensione sempre più internazionale, a una traiettoria di sorprendente coerenza. Oltre ad essere distribuiti da alcune etichette internazionali dedicate al cinema sperimentale e d'artista, alcuni dei suoi film più importanti sono ora visibili attraverso Vimeo e YouTube. In questo colloquio con e attraverso il cinema di oltre mezzo secolo, Caldini ha navigato senza tentennare tra i formati filmici a passo ridotto, in particolare il single 8 e il super 8, le cui particolarità si andavano diffondendo con successo tra cinema familiare e underground, e tra l'amateur e lo sperimentale. E in questi piccoli formati ha creato alcuni dei suoi pezzi più audaci. Ma si è anche cimentato nella creazione nel campo dell'immagine elettronica, che gli ha consentito una diffusione cruciale all'interno dei circuiti della videoarte negli anni novanta. Finalmente la panoplia proliferante del digitale, le edizioni BluRay, le reti e la distribuzione online, gli hanno permesso di espandere l'impatto della sua produzione, tanto da installarlo come punto di riferimento indiscusso del cinema sperimentale realizzato in Sud America. Potremmo parlare anche di un “riferimento storico”, se questa parola non tendesse a tracciare una traiettoria e a consolidarsi nel passato, quando il cinema di Caldini è, invece, un invito a un presente rinnovato, come testimonia ogni sua sessione di performance cinematografica dal vivo. Dotato di una batteria di proiettori, solitamente da tre a cinque dispositivi funzionanti contemporaneamente, Caldini riattiva immagini scattate di recente o filmate decenni fa.

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Giovanni Festa

La Tavola di montaggio si articola in tre sequenze longitudinali, dall’alto verso il basso. La prima a sinistra è dedicata alla borghesia: dai primi dagherrotipi al ritratto di famiglia, dagli avi mostruosi di Bataille alla classe dei padroni nel giardino delle delizie di Metropolis di Lang, fino al fotografo che, sulla spiaggia di People on Sunday, fa un ritratto involontario, composto da immagini fisse, della società “paralizzata” dell’epoca (si tratta, in un certo senso, non di un album di famiglia, ma di un album di società, fatto non di foto, ma di fotogrammi).

La sequenza centrale è quella che ripensa e rimonta alcune immagini da Barthes, Sebald e Bressane, associandole fra loro. Quella di destra monta insieme foto che risalgono all’inizio del XX secolo (lo stesso periodo di quelle nell’album di Rua Aperana 52 di Bressane, scattate a partire dal 1909) che fanno parte dell’album di famiglia di un’amica argentina. Come sempre accade davanti ad una tavola di ispirazione warburghiana è possibile (o auspicabile), a partire (o nonostante) queste brevi indicazioni, creare montaggi e percorsi propri.

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Alessandro Jedlowski

Il consolidamento in Nigeria, nel corso degli ultimi trent’anni, di una delle industrie mediatiche più influenti al mondo, Nollywood, ha partecipato a far emergere e circolare nuovi immaginari riguardo il presente e il passato del continente africano. Se fin dai primi anni di esistenza dell’industria, numerosi intellettuali ed artisti africani hanno espresso forti critiche in ragione delle imperfezioni tecniche a volte flagranti dei primi film prodotti e dei contenuti spesso scabrosi (stregoneria, rituali violenti e contenuti erotici spesso espliciti), il pubblico locale ha reagito con entusiasmo, facendo di Nollywood un fenomeno che è ormai impossibile ignorare qualora si vogliano cercare di comprendere le trasformazioni degli immaginari africani contemporanei.

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Daniela Turco

Tra Saute ma ville (1968) il primo film di Chantal Akerman e No Home Movie (2015), l'ultimo, presentato a Locarno poco prima della sua volontaria scomparsa, nell'arco di oltre quattro decenni, prende corpo una tra le filmografie più significative del cinema contemporaneo, per la continua sperimentazione dei linguaggi che è già politica in atto, e per il furore fisico che appartiene alle sue immagini, stilizzate e al tempo stesso intensamente corporee.  

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Marika Consoli

«Il nascere e il morire sono i due momenti unicamente reali. Il resto è sogno, interrotto da qualche insignificante sprazzo di veglia»: così Manlio Sgalambro in apertura di Perduto amor, opera prima di Franco Battiato, riportando gli estremi di una dichiarazione di poetica che già configura non solo quel film ma tutta la produzione dell’autore come sponda, congiunzione, zona di confine. La marginalità di alcune opere cinematografiche, inteso questo “marginale” come sostanza divergente, decentrata rispetto alle più consuete modalità di attuazione dello sguardo – delle pupille aperte/chiuse tra veglia e sonno, tra morte e vita  –  produce un decentramento dei punti di vista rispetto al consuetudinario, non certo una condizione subordinata alle più comuni modalità percettive, piuttosto l’attuazione di una teoretica della visione che riguarda, sempre, la proiezione verso qualcos’altro, al margine appunto, in una zona di fuga che è zona liminare. Le immagini marginali in qualche modo, allora, attenendoci ad un discorso più propriamente cinematografico, recano anch’esse il seme di un mondo possibile, de-siderabile, che proviene da uno spazio di per sé deterritorializzato, che trae origine dall’altro da sé, discostandosene, allontanandosene, fedele al movimento dell’immagine che è cinema.

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Giovanni Festa

In copertina: Masse superstiziose, nude, isteriche: D. Gargiulo (detto Micco Spadaro) , Eruzione del Vesuvio del 1631

La parola “popolo” è una parola densa, dotata di significati plurimi. Giorgio Agamben distingue fra Populus (corpo politico integrale, stato sociale degli individui sovrani, dotati di esistenza politica) e Plebs (molteplicità frammentaria di corpi esclusi) e, quindi, fra integrazione e “nuda” estromissione.

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Raffaele Cavalluzzi

Tra le diverse pubblicazioni o riproposte delle opere di Sciascia nel centenario della sua nascita questo volumetto che raccoglie scritti cinematografici dell’autore siciliano trova nella nota al testo di Paolo Squillacioti l’indicazione che a guidarlo, nella sintetica indagine, sono i significativi saggi di Antonio Di Grado e di Emiliano Morreale, e le monografie di Maria Rizzarelli e Angela Bianca Saponari. La parte più cospicua del libro raccoglie intanto scritti sul cinema in generale, mentre il tema più intrigante è quello dedicato all’argomento “Dai libri ai film”, cioè al rapporto tra letteratura e cinema, considerato da uno scrittore molto presente, com’è noto, nella produzione cinematografica italiana di alcuni decenni fa.

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Luigi Abiusi

Una prima versione di questo articolo è uscito il sul "Manifesto" del 21 apriile 2021.

Nel corso degli ultimi venti o venticinque anni, con l'affermarsi e l'affinarsi del post-rock, dell'elettronica, dello space-rock, ecc., cioè di quei generi votati alla dilatazione dei suoni e delle partiture al fine di evocare orografie, territori; le intersezioni tra musica, questo tipo di musica, e le immagini cinematografiche si sono intensificate producendo spesso risultati molto interessanti, a volte addirittura straordinari, non solo dal punto di vista estetico, ma anche sul piano teorico, dialettico, dei rapporti tra i linguaggi.

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Marina Gutiérrez De Angelis, Gorka López de Munain

(trad. a cura di G. Festa)

Nel nostro XXI secolo il lontano Medioevo occupa un posto ricco e multiforme. Come periodo storico, si caratterizza per una quantità debordante di bibliografia specializzata che ci permette di conoscere, sempre più nitidamente, una delle tappe più affascinanti del passato; nello stesso tempo, come immagine mitica di un tempo magico e oscuro, il Medioevo continua ad alimentare un immaginario che spazia dai pittoreschi mercati medievali alle grandi produzioni culturali come Game of Thrones. All'interno di questo secondo aspetto abbonda l'evocazione di un periodo accecato dalla nebbia e dominato, come diceva Melisandre, da una notte spaventosa: «the night is dark and full of terrors». La notte chiusa, le torce ardenti, le candele spente dal forte vento o i mostri che vivono nel buio rappresentano alcuni degli elementi chiave di questo suggestivo sguardo su un tempo immaginato. Il celebre episodio The long night, ovviamente, condensa i luoghi comuni più radicati di questi esercizi finzionali che, in seguito – e questa è forse la cosa più importante –  proiettano sulla realtà del periodo storico uno sguardo condizionato che ne offusca l'autentica natura. Documenti storici, lettere, scritti letterari, trattati magici, immagini di ogni tipo... ci lasciano immergere nella complessità di un palcoscenico in cui la notte, i sogni o le visioni giocano un ruolo centrale. Tant'è che, come nel fantasy epico delle serie e dei libri odierni, nel Medioevo compaiono draghi, sogni propiziatori o pozioni magiche, ma con una differenza importante: mentre nel primo caso bisogna collocarle sul terreno della fantasia, nel secondo caso vengono considerati come una parte costitutiva di quella realtà.

Luigi Abiusi

La Germania delle avanguardie storiche, tra piena, spasmodica espressione dell'oscurità deformante nascosta al centro delle cose, della terra, proprio degli strati di terreno, e astrazione della materia in nome di una purità dei segni; fu il luogo e il tempo in cui si puntualizzò una sorta di sintesi degli slanci estetici e filosofici che da Novalis a Nietzsche avevano caratterizzato la cultura ottocentesca arrivando, appunto, fino agli anni Venti del Novecento, al concetto di Universelle Sprache, fulcro dell'esperienza di un gruppo di artisti intenti a sperimentare le intersezioni, le osmosi tra le varie arti rifacendosi all'idea rimbaudiana di arte totale.

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Giovanni Festa

C’è una scena in Berlino, Sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann (1927) dove una ragazzina, gli occhi color ametista, spaurita e epifanica come il coyote di Collateral di Michael Mann, attraversa, di notte, la strada striata dalla luce dei lampioni e dei cartelloni pubblicitari: un momento prima di sparire si volta verso la macchina da presa (come facevano i borghesi delle vue Lumière, inconsapevoli figuranti e spettatori di cinema che guardavano davanti al vetro dell’obbiettivo, senza saperlo, se stessi). Nei film di questo tipo, il momento epifanico è proprio dato dalla sospensione repentina del montaggio come principio onnicomprensivo di costruzione ritmico-musicale e assimilazione di frammenti di realtà e, per un attimo (come in certe immagini della prima kinopravda di Vertov, altrettanto inesorabilmente ritmica – e «ritmo ritmo ritmo» era la didascalia che Moholy-Nagy inseriva nella sua sceneggiatura per immagini e parole Dinamica di una grande città) abbandonarsi a rievocare il braille aptico della vecchia prosa del cinematografo e dello specchio stendhaliano trascinato lungo il cammino. Non è un caso che proprio in un momento di deriva come questo, dove l’ «intelligenza di una macchina» si opacizza e la narrazione si apre ad un istante di silenzio, la ragazzina con gli occhi di ametista di Ruttmann finisca per ricordare l’Alice di Wenders, altra bambina abbandonata che, in un movimento così simile e così diverso, e preda dell’imperativo di un altro fuoricampo, osserva, dal finestrino di un’auto a nolo, il paesaggio cittadino che scorre davanti a lei cercando di riconoscere la facciata della casa dei nonni.

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Daniele Dottorini

Herzog preferisce camminare, lo ha sempre dichiarato. Lo preferisce come gesto etico, anzitutto, di contatto diretto con il proprio corpo e il mondo. Ma camminare, come ama spesso dire, è anche un esercizio dello sguardo, perché ti spinge ad osservare i dettagli del mondo mentre il tuo corpo si muove lentamente, al ritmo del tuo respiro (camminare ed osservare è la prova d’ingresso per gli studenti di cinema della sua folle e geniale Rogue Film School). Infine, camminare è un gesto mistico, come quello che lo spingerà a compiere il viaggio da Monaco a Parigi a piedi come voto per salvare la vita alla sua amica Lotte Eisner, gravemente malata. Camminare non è però solo un gesto dai molteplici significati, è anche un’immagine, un’idea. Un’idea di cinema, soprattutto. Camminare, in questa prospettiva, diventa l’immagine metaforica di una forma di montaggio, di costruzione dello sguardo filmico. È un’immagine che pensa il cinema come esplorazione, come presa d’atto di un mondo le cui connessioni sono possibili solo mediante un modo preciso di guardare e immaginare corpi, spazi, eventi e incontri. 

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Sergio Pio Sasso

Il racconto Heart of Darkness di Conrad, basato sul viaggio compiuto dallo stesso autore a bordo del vaporetto Roi des Belges lungo il fiume Congo e pubblicato nel 1899, ha ispirato il cinema in più di una occasione. In particolare, nel decennio degli anni settanta del secolo scorso, si afferma una nuova generazione di artisti negli Stati Uniti e in Europa e la letteratura degli inizi del Novecento deve aver colpito l’immaginazione di alcuni di loro. La sete di potere dell’imperialismo angloamericano e la colonizzazione di sconosciute terre aspre e selvagge apre scenari inediti nell’incipiente e rivoluzionario XX secolo come pure la fine degli anni sessanta con le lotte di classe e le aspirazioni libertarie giovanili. Ergo non è casuale che il Neuer Deutscher Film e la New Hollywood si incontrano alla reciproca ricerca di ignoti orizzonti e di avvincenti sfide cinematografiche.

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Domenico Saracino

Mentre la macchina da presa volteggia su per il fianco femico dell’enorme vulcano a scudo dell’isola di Ambrym, le voci del coro di monaci del Monastero Pechersk di Kiev intonano un possente canto russo ortodosso. Pare che quando Werzog abbia rivisto queste riprese aeree, con cui ha poi deciso di aprire Into the Inferno, abbia capito «in un istante» (lo ha detto lui stesso in uno speech durante il Red Bull Music Academy New York Festival 2017) che l’unico commento musicale adeguato a quelle immagini di lava basaltica stratificata, di ascensione sopra quella colossale, sedimentata opera della natura e del tempo, fosse un coro della tradizione sacra sovietica. 

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Rodrigo Sebastián

«Se non c'è un legame sonoro, c'è un legame estetico,
vale a dire che quando il legame non è formale, è filosofico».
D. STUBBS, Future Days. Krautrock and the Re-building of Modern Germany

traduzione a cura di Giovanni Festa

Le Berceau de cristal (1976), uno dei film di Philippe Garrel con Nico, sembra a volte una variazione scoperta e futura di Le Sang d'un Poète (Jean Cocteau, 1932), anche quando questo film surrealista appare, in un certo senso, fuori dal tempo. Le loro differenze evidenti – il colore biancastro, a volte arrossato invece del bianco e nero a basso contrasto, l'oppio scambiato con l'hashish e l'eroina (fuori campo), la musicalità torbida e brulicante dovuta ai sintetizzatori di Ash Ra Tempel contro la scintillante musica orchestrale dell'egregio Georges Auric, etc. – non sono rilevanti quanto quello sguardo nell'oscurità. Perché un'atmosfera malsana circonda i poeti maledetti davanti e dietro la macchina da presa. Si manifesta in quelle abitazioni chiuse, in quegli interni stantii, in quelle scene enigmatiche e sperimentali di crimine o noia, in attesa delle muse, della droga e dell'avventura. Le medesime azioni si svolgono negli attici, nelle camere d'albergo, su entrambi i lati dello specchio. Forse c'è anche una debole, segreta reminiscenza tra l'attrice in lutto e la versione contemporanea di Herzog-Kinski del vampiro che era stato immortalato in uno degli anni della peste: Nosferatu come parossismo della bohème.

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Raffaele Cavalluzzi

Non è facile recensire un libro in grandissima parte composto a sua volta da 195 recensioni come Al cinema con lo psicanalista di Vittorio Lingiardi (Raffaello Cortina Ed. 2020): gli stimoli e le sollecitazioni sono tantissimi, dato l’argomento e, al di là dell’eccellente professionalità, le multiformi capacità intellettuali dimostrate dall’Autore. Però il volume si avvale anche di una Prefazione di stima e di apprezzamento dovuta alla penna della più che brillante giornalista cinematografica di Repubblica Natalia Aspesi, che già segnala, partecipe, non solo temi, ma soprattutto sensibilità culturali che introducono opportunamente le variegate linee di ricerca le quali costituiscono la rete attrattiva dentro cui s’incontrano occasioni che permettono vivacità e acutezza a tutti i luoghi di lettura del volume.

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Giovanni Festa

In La perla, di Emilio “el indio” Fernández un povero pescatore di perle, dopo l’ennesimo tuffo scorge, gli occhi ben aperti (wide) e annebbiati (shut) per l’acqua salsa, qualcosa nelle profondità torbide dell’oceano (che la lente di Figueroa trasforma in un acquario magico, cortazariano-rosselliniano). Risalito a galla scoprirà, insieme alla moglie che lo attendeva paziente nella barca, che si trattava, custodita dentro una conchiglia incrostata di alghe limacciosa, di una perla perfetta.

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Luigi Abiusi

Era l'autunno del 2010 - un'ottobrata espansa, di quelle selvagge, che bruciava cumuli di foglie e ti faceva sentire sulla pelle l'ustione di fuochi fatui, il flutto sanguinoso di tutti quei tramonti - quando da un confabulare serrato nacque l'idea di Uzak, sotto l'egida della casa editrice «Caratterimobili». Il cinema era solo uno degli interessi di una redazione in embrione, già eterogenea e militante, così come la si era immaganata: vi entravano la letteratura, la filosofia, la musica, cioè la condizione pura, autentica delle cose, per quanto rivoluzionaria: la poesia, la natura cinematografica del mondo. Da qui la sezione al centro di questo numero 38.

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Anton Giulio Mancini

Non perdo occasione per tornare a occuparmi di Francesco Rosi. Anche in questo caso. Per «Uzak». Il primo pensiero per un articolo che probabilmente vedrà la luce tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo data la concomitanza di lungo termine con la Shoah è stato infatti La tregua di Rosi. Sempre Rosi.

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