Alessandro Baratti

Il ny a pas 1«On peut baiser et baiser encore, mais on ne fusionne pas»
(Bruno Dumont).

Il pressbook di Il n’y a pas de rapport sexuel si apre con queste parole: «Da più di dieci anni HPG [Hervé Pierre-Gustave] registra e archivia i making of delle sue riprese con una camera-testimone piazzata su un treppiede. Originariamente queste migliaia di ore erano destinate a dei siti pornografici per una diffusione in live-cam, vale a dire in “falsa diretta”. È a partire da questa materia bruta che Raphaël Siboni ha realizzato un documentario»1. Ma che cosa ha spinto HPG, pornodivo affermato e pioniere del gonzo francese, ad aprire i suoi archivi privati? E perché un titolo così paradossale per un film di montaggio composto da blocchi di making of che mostrano riprese di film hard? Alla prima domanda credo si possa e debba rispondere assai perentoriamente, senza timore di suonare moralisti: nobilitare il proprio lavoro, riabilitare la natura di un genere comunemente considerato come l’ultima spiaggia del cinema, dominio seriale della sessualità idraulica.


Non meraviglia dunque che HPG abbia espressamente proposto al produttore Thierry Lounas (Capricci Films) di mettere il proprio archivio a disposizione non di un mestierante qualsiasi ma di un artista. Del resto lo stesso HPG è autore di On ne devrait pas exister (2006), film presentato a Cannes ‒ sezione “Quinzaine des réalisateurs” ‒ che mette in scena la vicenda di un hardeur intenzionato a diventare attore di pellicole tradizionali. Eppure, a onor del vero e al netto di alcune intemperanze tutt’altro che innocenti, la pellicola scritta, diretta e interpretata nel 2006 da HPG ha una sua scomposta vitalità. Persino René Prédal, solitamente cattedratico e severo paladino dell’arte cinematografica, non ha potuto fare a meno di rilevarlo: «È forzatamente brutale, spesso cattiva, ma questa autofiction, attraverso l’impasse reale al fondo della quale si dibatte l’autore, interpella il cinema, mettendolo direttamente in questione in maniera molto inattesa» (2008, p. 168, trad. mia).
È dunque nel punto di convergenza tra desiderio di riscatto, protagonismo e impeto dissacrante che, secondo chi scrive, occorre situare il furore creativo di HPG. Scassinare il santuario del cinema francese d’autore armato di vaselina e vibratore: ecco il progetto che Hervé Pierre-Gustave mette in pratica nella sequenza centrale di On ne devrait pas exister. Intrufolatosi nottetempo nella Cinémathèque, Hervé il sabotatore non si fa scrupolo a muovere le sue rimostranze a quel Bertrand Bonello che pochi anni prima, sul set di Le pornographe (2001), gli aveva assegnato un ruolo quasi esclusivamente erettile. Si tratta di un proposito di uscita dal ghetto porno chiamato in causa anche da Siboni, in termini ovviamente meno espliciti, nel già citato dossier de presse: «Vi è in lui una vera fascinazione per il making of e la mise en abyme del porno. È come se per lui la mise en abyme avesse una funzione “redentrice” che permetterebbe di uscire dalla pornografia per la pornografia».

Il ny a pas 3La seconda domanda richiede invece maggiore cautela: formulandola ci avviciniamo al cuore concettuale del film, alla sua traiettoria estetica riflessiva. Com’è noto, «Il n’y a pas de rapport sexuel» è un aforisma lacaniano: il rapporto sessuale non esiste, è reso impossibile dal godimento dell’organo che impedisce la fusione dei corpi, che trasforma l’atto sessuale in una sorta di masturbazione in presenza del partner. Seguiamo l’illustrazione della tesi lacaniana fatta da Massimo Recalcati: «Per quanti rapporti sessuali io possa avere, nessun rapporto sessuale mi permetterà mai “di fare e di essere Uno con l’Altro”. Esiste una obiezione irriducibile all’integrazione reciproca del corpo dell’Uno nel corpo dell’Altro. È la tesi centrale del Seminario XX: il rapporto sessuale non esiste. L’obiezione principale a questa esistenza è sostenuta dal godimento fallico che Lacan definisce come godimento dell’Uno senza l’Altro. “Il fallo”, afferma Lacan, “è un’obiezione di coscienza fatta da uno dei due esseri sessuati al servizio da rendere all’altro». […] Il godimento fallico obietta al rapporto sessuale perché punta all’Uno senza l’Altro: l’uomo non gode del corpo della donna se non attraverso l’organo fallico. Il fallo si pone tra l’Uno e l’Altro impedendo all’Uno e all’Altro di fondersi, di realizzare il rapporto» (2012, pp. 484-85).
Ebbene, manipolando il meno possibile il materiale di partenza («Ho voluto fare un film che potesse trascrivere certe emozioni, certi shock che ho provato visionando questa materia bruta»), Siboni trasferisce l’aforisma lacaniano nel genere che, apparentemente, si presta meno a convalidarne l’autenticità. A giocare un ruolo decisivo è proprio l’avverbio “apparentemente”, poiché, concatenando blocchi di sequenze con stacchi ridotti al minimo, il poco più che trentenne artista francese ottiene un doppio, antitetico risultato: parlare direttamente della pornografia contemporanea, articolata per categorie repertoriate con parole chiave per facilitare la ricerca sul web, e mostrare indirettamente l’irriducibile distanza dall’oggetto rappresentato di questi frammenti meta-cinematografici archiviati in privato («Il making of, dal momento che mostra il film nel suo farsi, dal momento che filma il film, intrattiene necessariamente una distanza col suo oggetto. Nel caso delle riprese di HPG, questa materia è ancora più ambigua, poiché è al tempo stesso un archivio personale e un prodotto commerciale destinato allo sfruttamento commerciale sotto forma di “falsa diretta”»).

Il ny a pas 4Ecco allora che questi segmenti grezzi di girato lasciano trasparire strati di backstage (la presentazione in primo piano degli attori con tanto di documenti alla mano a mo’ di liberatoria), procedure di simulazione erotica (battiti di mani che sostituiscono il rumore dell’impatto dei corpi, esasperazione caricaturale delle espressioni voluttuose), pause surreali tra una scena e l’altra (i corpi inermi e passivi degli attori che occupano pateticamente l’immagine), invasive indicazioni di regia (come praticare una fellatio a favore di camera, quali e quante posizioni si prestano meglio alle riprese), improvvisazione di copioni sul set (canovacci pseudo-narrativi in bilico tra farneticazione e coerenza), dialoghi seccamente professionali («William, è lavoro»; «Non devo obbligatoriamente godere»), sedute di casting (HPG che indottrina il diciannovenne e remissivo Puceau), momenti di inopinata, inarginabile prostrazione (il finale, muto e dormiente, in cui Ahmed e HPG si accasciano stremati).
Il n’y a pas de rapport sexuel si tramuta così in qualcosa di più di un semplice smascheramento degli artifici che presiedono alla produzione di film hard, per farsi riflessione sullo statuto di realtà del making of in sé: «Bisogna dire che la fascinazione esercitata dal making of sullo spettatore non si limita alla pornografia. È un sintomo del nostro tempo. La pornografia non fa che esacerbare questa passione. Il making of vi è onnipresente, integrato al punto tale da essere divenuto interamente una categoria dell’X. Ciò dipende senza dubbio dalle affinità tra questi due “generi”: l’uno e l’altro mostrano ciò che non deve essere visto». Passione per il Reale: siamo qui in pieno territorio žižekiano e non sorprende affatto che Siboni, nel pressbook, alluda a un passaggio di Benvenuti nel deserto del reale in cui il filosofo sloveno si sofferma sull’utilizzo pornografico delle camere endoscopiche, un impiego che fa tracimare l’hard nella visione medica, nell’esplorazione clinica delle viscere. Il miraggio nel quale ci imbattiamo qui è quello di osservare direttamente il Reale lacaniano, quel registro minaccioso e traumatico che sfugge sia all’ordine speculare dell’Immaginario che a quello significante del Simbolico.

Il ny a pas 5Tuttavia questa passione condivisa dalla pornografia e dalla scienza è destinata a infrangersi contro l’irrappresentabilità del Reale stesso: più siamo convinti di approssimarci a questo nucleo incandescente, più esso ci sfugge. Žižek in questo senso è categorico: «Che cosa separa noi umani dal “reale Reale” cui la scienza mira, che cosa ce lo rende inaccessibile? Non è la ragnatela dell’Immaginario (illusioni, false percezioni) che deforma quel che percepiamo, né il “muro del linguaggio”, ossia la rete simbolica attraverso la quale ci rapportiamo alla realtà, bensì un altro Reale. Questo Reale è, per Lacan, il Reale inscritto nel nucleo stesso della sessualità umana: “Non c‘è rapporto sessuale”. La sessualità umana è segnata da un irriducibile fallimento; la differenza sessuale è infatti la rivalità fra i due punti di vista sessuali, che non condividono un denominatore comune. Il godimento può essere dunque ottenuto solo sullo sfondo di una perdita fondamentale» (2009, pp. 83-84).
Vedere ciò che non deve essere visto non coincide con ciò che non può essere scorto se non in negativo, insomma2. Sono esattamente le lacune dell’Immaginario e del Simbolico a tradire l’insistenza del Reale, sono i vuoti delle formazioni immaginarie e delle costruzioni simboliche a suggerire, nella loro irrimediabile lacunosità, la sua inafferrabile eccedenza. Il solo modo per rendere conto del Reale è, dunque, quello di mostrare il vuoto e gli espedienti adottati per difendersi da questa minaccia incombente, per velare il nucleo di questa dimensione incandescente, per circoscriverla con costruzioni significanti3. Ed è esattamente a una tattica simile che s’ispira Siboni: «La camera-testimone dei making of rende visibile lo spazio vuoto che la pornografia tenta di dissimulare, poiché è precisamente in questa zona che sono collocati i suoi artifici. Su un set X, le posizioni sessuali sono scelte in funzione dell’angolo di visione e del posto che lasciano alla camera. Queste stesse posizioni sono riprodotte dagli spettatori che, così facendo, integrano lo spazio vuoto lasciato alla camera nella loro sessualità. Mostrare questo vuoto è mostrare il sesso in quanto spazio di costruzione».

Il ny a pas 6Fare attenzione: Il n’y a pas de rapport sexuel non si esaurisce, come già osservato, nell’esibizione dell’artificio e della messa a nudo dei condizionamenti imposti dal dispositivo tecnico, ma, in modo molto più sottile, gioca apertamente coi tre livelli della rappresentazione sui quali si articola. Di fatto, e non è un’osservazione da poco, il film di montaggio di Siboni incorpora dentro di sé anche riprese effettuate da HPG con la camera a mano: incastonate nelle sequenze per lo più statiche dei making of, queste inquadrature convulse e ravvicinate interrompono bruscamente l’andamento per blocchi granitici del film, catapultando lo spettatore nel tournage vero e proprio. Sebbene per pochi istanti, in questi frangenti a tenere banco è l’illusione di realtà, l’identificazione con la camera. Pur di una durata così breve da inibire l’effetto eccitante, tali capsule finzionali fanno slittare la rappresentazione nel registro dell’Immaginario, annullando provvisoriamente la distanza impassibile delle inquadrature dei making of (registrate da una camera ubicata in un angolo del set e quasi dimenticata).
Se l’arrangiamento finale del film ‒ la sua configurazione sintattica ‒ è interamente ascrivibile all’ordine Simbolico (la catena dei significanti), la tentazione sarebbe quella di assegnare ai segmenti di making of lo statuto di Reale. Niente di più fuorviante: ciò significherebbe concretizzare positivamente un registro che si lascia cogliere soltanto in negativo, nello scarto non simbolizzabile, nella resistenza alla vischiosità dell’identificazione immaginaria. Più precisamente, i blocchi di making of costituiscono la realtà del film, quel «quadro con le caratteristiche della costanza e della stabilità che assicura il soggetto nella sua presenza sulla “scena del mondo”» (Recalcati 2012, p. 272). Si tratta dell’ennesima costruzione difensiva nella quale Immaginario e Simbolico si alleano contro il carattere senza senso e informe del Reale. Dove è dato, dunque, indovinare l’insorgenza del Reale in Il n’y a pas de rapport sexuel?
È opinione di chi scrive che questa dimensione realmente scabrosa e letteralmente impossibile da immaginizzare/simbolizzare s’indovini nei passaggi da un livello di rappresentazione all’altro, nel loro sforzo di tenersi, nel loro affannoso tentativo di costruire un discorso omogeneo e privo di smagliature. E, meno cervelloticamente, in quei pochi momenti in cui si verifica lo scollamento tra rappresentazione e senso. A circa metà del film, nell’unica sequenza en plein air, Sexy Black e Storm scopano appoggiandosi al cofano di una Mercedes: anche in questa sequenza si alternano riprese del making of e inquadrature con camera a mano, ma a imporsi è qualcos’altro. Mentre HPG, sdraiato davanti a loro, impartisce precipitose indicazioni di regia, la sua camera finisce per inquadrare casualmente la calandra dell’automobile. Corrusca e metallica, la mascherina del veicolo occupa interamente il quadro come un’entità assillante e annichilente, terrificante nella sua totale, abnorme insensatezza: continuo a percepire distintamente le istruzioni erotiche di HPG, ma il mio sguardo è risucchiato da questa voragine che mi guarda guardarla. La disgregazione della realtà è lì, a portata di mano, in quelle fessure striate d’argento. Afanisi.


Note

1. Il n’y a pas de rapport sexuel, dossier de presse, consultabile in versione pdf. Tutte le citazioni in cui non è segnalato il riferimento bibliografico sono tratte dal dossier de presse. Le traduzioni del testo sono mie.

2. «Il Reale non è sinonimo di realtà esterna né è semplicemente definito in opposizione all’Immaginario (la riconquista di un perduto senso di unità e interezza) o al Simbolico (la realtà interpretata e ordinata tramite il discorso e i sistemi di proibizioni)» (Beugnet 2007, p. 70, trad. mia).

3. Tocchiamo qui uno degli snodi cruciali dell’estetica contemporanea, tesa a creare attorno all’oggetto artistico uno spazio vuoto che ne garantisca lo statuto: « […] se il problema dell’arte tradizionale (pre-moderna) era quello di riempire il sublime vuoto della Cosa (il Luogo puro) con un oggetto bello ‒ ossia come riuscire ad elevare efficacemente un oggetto comune alla dignità della Cosa ‒ il problema dell’arte moderna è, in un certo senso, quello opposto (e molto più disperato): non si può più contare sul fatto che il Luogo sacro sia lì, pronto per essere occupato dai manufatti umani: perciò il compito è di sostenere il Luogo come tale, per assicurarci che questo stesso luogo “avrà luogo”. In altre parole, il problema non è più quello dell’horror vacui, riempire il Vuoto, ma piuttosto quello, innanzitutto di CREARE il vuoto» (Žižek 2013, pp. 34-35).


Bibliografia

Beugnet M. (2007): Cinema and Sensation. French Film and the Art of Transgression, Edinburgh University Press, Edinburgh.

Prédal R. (2008): Le cinéma français depuis 2000, Armand Colin, Paris, 2008.

Recalcati M. (2012): Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Žižek S. (2009): Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino.

Žižek S. (2013): Il trash sublime, a cura di M. Senaldi, Mimesis, Milano-Udine.





Titolo: Il n’y a pas de rapport sexuel
Anno: 2012
Durata: 78’
Origine: FRANCIA
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: HDV (1:1.78)
Produzione: CAPRICCI FILMS & HPG PRODUCTIONS

Regia: Raphaël Siboni

Attori: HPG, Cindy Dollar, Michael, Stracy, Phil Hollyday, Ariana Agia, Darlyne, Marco, Elektra, Supersex, William, Leona Feel, Nymphy, Sexy Black, Pom pom gril, Puceau, Sophia, Anna, Super Pussy, Joe.
Sound editing e Sound mixing: Pierre Bompy


In Italia Il n'y a pas de rapport sexuel è passato unicamente alla 17° edizione del Milano Film Festival, dove è stato selezionato per il Concorso Lungometraggi. Uzak ringrazia Alessandro Beretta, Vincenzo Rossini e Lara Casirati, rispettivamente Direttori Artistici e Responsabile della Programmazione del MFF, per la disponibilità dimostrata.