stewart

Mentre si aspetta Cannes, e Dumont, Garrel, Lanthimos, Mundroczo (è ancora viva l'impressione che mi fece anni fa Delta, uno dei primi testi di Uzak), Ferrara, Denis, i primi due episodi di Twin Peaks ecc. - a conferma dell'ineluttabilità e utilità (estrema) di certi festival, e al di là di ogni tappeto rosso, aperitivo, pompa; dovendo, per parte mia, difendere certi film, certe selezioni in balia di burocrati, parvenus ben'azzimati; proprio certe modalità di guardare (che è poi un guardarsi, nel caos, penetrarlo, squadernarlo facendone grondare le proprie ombre), di leggere, ascoltare come da bambini (siamo cresciuti poi convinti che un film di Bela Tarr, un libro di Svevo, un disco dei Cluster, siano più importanti di qualsiasi populismo, biglietto staccato, affluenza di pubblico; e per questo ci si ritrova adesso in una zona di mezzo, a tempo, in perenne scadenza, senza futuro, pensionamento: il fallimento prossimo venturo; ma c'è come una poesia anche nella sconfitta, se fosse, perchè «traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.

Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e si arrampicherà al centro della terra nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie») - due film francesi in sala in questi giorni, passati appunto per questi festival (precisamente Cannes e Berlino), legati l'uno all'altro da varie implicazioni: corpi ottusi, visti da una distanza di sicurezza quelli di Mia Hansen Love, la Huppert impenetrabile come non mai in L'avenir anche in un atto profondante come il pianto; divenuti ectoplasmi in Personal Shopper (e penso, nella sua carnalità estenuata, ai tanti, solitari, disillusi lemuri del cinema di Marco Ferreri a cui è dedicato uno speciale): la figura diafana di Kristen Stewart, in tutta la sua simbologia, della quale infatti rimbomba ancora ovunque il culo intravisto attraverso una soglia in Sils Maria.

Mentre di Paterson resta solo un riverbero (quell'aria stopposa, ma alla fine non soffocante, anzi rasserenante, nella ripetizione), nonostante non sia passato troppo tempo dalla sua uscita in sala, che però ci permette di soffermarci sul linguaggio (nel momento in cui esce l'ultimo Mari che ne impugna le reliquie), finanche sulla poesia, oltre le stretture cinematografiche, dentro una prassi linguistica che dice una volta di più il nostro (non) essere (più) imminente.