killer_joePrologo metafisico

Gli Dei Monocoli, sui loro troni di marmo, governano ed osservano. I loro nomi son nomi di leggenda… Fritz Lang, John Ford, Raoul Walsh… In un cielo gravido di nubi, da Walhalla, mille spiragli concedono agli Dei Monocoli un rapido sguardo sui resti di Hollywood, la Grande Babilonia. Ma da molto, moltissimo tempo gli Dei Monocoli sembrano mute statue lignee con aria da Sfinge. Troppi fantasmi senza pace urlano fra Il Sunset Boulevard e la Morgue. Anime in pena sbranate dal Moloch del Buon Senso. Ed i suoi cuccioli dementi: il Politically Correct e la Censura Catodica.


Killer William vs. Le Dame dell’Ordine Costituito
William Friedkin è un genio: un corrusco genio Sturm und Drang che, avvolgendoci in neri vortici di tempesta ha aperto per noi i cigolanti cancelli di Sodoma (Cruising), ci ha svelato il Volto del Grande Tentatore incistato nella Metropoli (L’Esorcista), ha dettato le leggi del Noir (negli anni Settanta con Il braccio violento della legge e negli Ottanta con Vivere e morire a Los Angeles). Ma il Nostro Genio, da lunga pezza, dormiva nella sua bara di cristallo. A risvegliarlo da quelle nebbie color del sangue, non un Principe ma un giovane autore di teatro, molto in voga nella Off Broadway, Tracy Letts, che lo ha rianimato sventolandolo con un suo copione, Killer Joe, un Kammerspiel truccato da pièce del Grand Guignol, innaffiato di fagioli al chili… E fu amore a prima vista.  Il Genio, visto lo spettacolo a teatro, ottimamente interpretato da Mark Shannon e da Amanda Plummer, ha chiesto a Letts di spingere il pedale sull’acceleratore dell’ironia beffarda e dell’emoglobina, e si è messo dietro alla versione cinematografica con l’urgenza delle occasioni importanti. 

A Venezia, l’anno scorso, il referente massimo, sui giornali ed in rete, è stato Quentin Tarantino… No, signori della corte, a parte il fatto che il Genio già picconava i generi quando il papà di Pulp Fiction ancora era lì a divorar “The Tijuana Bible” di nascosto dalla maestra, qui, dopo la visione di Killer Joe e dei suoi disgraziatissimi redneck, cerebrolesi privi di morale, la mente corre alle architetture del Gotico del Sud, «su uno sfondo di acquitrini miasmatici e di nere pelli sudate», e con la «sindrome faulkneriana, di malattia, morte, disfatta, idiozia e lussuria», per dirla con Leslie Fiedler… Per comprendere la dabbenaggine del balordissimo “gruppo di famiglia in un inferno”, forgiato da Letts, per penetrare nel loro cuore nero, ci si deve avvicinare con lo stesso misto da affatturamento e di repulsione con cui ci si avvicina ai personaggi dello scrittore texano Joe Lansdale, altro grande de-mistificatore, l’unico al mondo a farti pisciar sotto dal ridere per poi ‒ ex abrupto ‒ spararti nelle gengive… Friedkin questo lo ha capito benissimo, e ha girato ‒ sempre a proposito di spiazzamenti ‒ Killer Joe con l’asciutto rigore di un “classico”, facendo deflagrare, con una risata atrocemente comica, i vincoli di sangue su cui si basa l’american way of life. Applausi. Sinceri, ma pochini, visto che il film, dopo una tournée per vari festival inernazionali, è stato letteralmente rimosso, dimenticato, tenuto fuori dalla porta come un cane con la rabbia. In America, dove era annunciato in uscita il 27 luglio (con un allarmante limited) si è già beccato un “NC-17”, mentre in Italia la Bolero Film continua regolarmente, come una triste litania, a rimandarlo di mese in mese. E non stiamo parlando di un oscuro Carneade. Stiamo parlando di William Friedkin…

Streets of no return
Ma se Atene piange, Sparta non ride: nella Malebolge di Hollywood, nei suoi iridescenti scantinati, è tutto un crepitare di segnali di vita: nel 2010 due cattivi maestri son tornati dopo eoni dietro alla macchina da presa: ci riferiamo a Monte Hellman, Uomo Cinema totale ed entusiasta, con Road to nowhere, e Paul Morrissey, entomologo warholiano, con News from nowhere. Hellman sfiora il noir per creare un puzzle di celluloide ove la strizzatina d’occhio cinefila (citazioni dalle sue “magnifiche ossessioni”: Il Settimo Sigillo di Bergman, Lady Eva di Preston Sturges, persino Lo spirito dell’alveare di Erice) si sposa con l’idea di una Vertigo hitchcockiana «algido e labirintico gioco di rifrazioni di femmes fatale, lapidi e sequoie fuori fuoco» (bella definizione di Stefano Lorusso, da «Cinedrome 2.0»). Come diceva Fellini, Hellman prende la Venere di Milo, la fa a pezzi e poi la rimonta, ma con spirito squisitamente cubista… Morrissey, au contraire, guarda al proprio cinema e (ri)dipinge un calvario cristologico sui muscoli guizzanti di un Joe Dallesandro del terzo millennio (Demian Gabriel), senza clangori metropolitani ma con la quieta compagnia delle note di Benedetto Marcello  e di Giuseppe Tartini… Due opere bellissime e antitetiche, che sembrano indicarci il percorso verso una fulleriana “strada senza ritorno”, un nowhere, appunto, che ha l’impalpabile sensualità dei fantasmi. Anche perché il Sistema ne impedisce la visione e ci vieta tali extravaganze. Road to nowhere lotta per una sua visibilità, grazie all’immarcescibile energia di Mone Hellman; del film di Morrisey se ne son perse le tracce subito dopo una distratta anteprima lidense…

Sipario metafisico
Gli Dei Monocoli son preoccupati. Ordinano che venga portato loro il telescopio del dottor Faust. E, per la prima volta dopo anni, gli Dei Monocoli ritrovano il sorriso: sulla luna saltellano le scimmiette di Méliès.


Filmografia

Cruising (William Friedkin 1980)

Il braccio violento della legge (The French Connection) (William Friedkin 1971)

Killer Joe (William Friedkin 2011)

L’Esorcista (The Exorcist) (William Friedkin 1973)

News from nowhere (Paul Morrissey 2010)

Road to nowhere (Monte Hellman 2010)

Vivere e morire a Los Angeles (To Live and Die in L.A.) (William Friedkin 1985)