«A tutti, all’altro mondo,
ci toccherà saldare con il vuoto
il calcagno che pesa»
(Marina Cvetaeva)


Un vuoto dove passa ogni cosa
è il titolo di una raccolta di scritti politici di Maria Teresa Di Lascia (Di Lascia 2016) che non c'entra nulla con il cinema ma che giustifica l'idea di dedicare uno speciale sul vuoto in una rivista di cinema: l'urgenza – la tentazione è di definirla “politica” nonostante il termine sia tra i più abusati, fraintesi e svuotati in senso deteriore – è nel tentativo di attraversamento (“dove passa”). Questa introduzione si compone per scelta calibrata di una serie di citazioni da libri molto diversi tra loro ma che pure ruotano intorno a quella urgenza fondamentale.

Il costo di questa scelta, come si vedrà, è alto perché tratta inevitabilmente di un movimento contraddetto, privativo, di un io che si interroga nel  vuoto: «il vuoto, l'assenza e la privazione vengono caratterizzate da prefissi negativi, fra cui “a-” (come in “asimmetrico”), “dis-” (come in “discontinuo), “in-” (come in “incompleto”), “non-” (come in “nonconformista”), “s-” (con in “sproporzionato”), che di solito si applicano a un nome e un predicato e danno un predicato» (ringrazio Rinaldo Censi per avermi segnalato questo testo fondamentale: Casati, Varzi 2002, p. 232). La preposizione “attraverso” si sostantivizza in “attraversamento” secondo una concezione realistica del mondo che riflette nel linguaggio la struttura dello spazio. Muoversi in assenza diventa così una «questione profondamente personale» (Nietzsche 2005, p.3) perché lo spazio, oltre a modificare il linguaggio, interviene anche su chi lo passa secondo la formula aristotelica «il luogo è qualcosa, ma anche [...] ha una potenza» (Aristotele 1973) e mette in moto una riflessione non emendabile sul tentativo dell'attraversamento.

Dopo 14 anni dalla pubblicazione del suo primo libro, La nascita della tragedia, e un anno prima dell'uscita di Ecce Homo, Nietzsche riscriverà la prefazione ma con un titolo programmatico: Tentativo di autocritica. Se si considera che questi anni (1872, 1886-1887) sono gli estremi di una intera esistenza, apparirà evidente che l'autocritica ha la stessa potenza della demolizione di un gigantesco edificio, un urto assordante perché ripetuto, inaudito: Wagner, Schopenhauer, il cristianesimo, Basilea sono le tappe di un'autorappresentazione in cui ogni momento coincide con un inizio e ogni inizio con un tentativo di superamento (Übertragung). «Chi agisce – l'attore sulla scena – non esiste, è soltanto uno spettacolo in assoluto[...] lo spettacolo è già l'evento iniziale» (Colli, p. XIV), quindi ogni evento – ogni tentativo – è sempre l'inizio di un percorso che bisognerà ricominciare. Ciò che varia è la distanza percorsa, i tunnel e i fori, la misura dei corridoi: «per considerare un esempio connesso al nostro tema, una corretta padronanza della preposizione “attraverso” sembra presupporre, in alcuni contesti d'uso della parola, il possesso del concetto di un foro o di un tunnel» (Casati, Varzi 2002, p. 232). Così il vuoto per essere pensato ha bisogno di “corridoi” che lo attraversino, quelli che Marina Cvetaeva chiama casalinga lontananza, affluenti delle case, tunnel delle case, gole delle case e Spaziani, nel suo testo su La Maman et la putain di Jean Eustache, in questo speciale: «perfino ai Deux Magots i volti si imprimono a stento in lunghi corridoi di campi medi à la Ozu e quando intercettano questa luce micidiale oscillano, accennano a dissolversi su qualche altra immagine che non vedremo, resistono e tremano inscritti su vetrate che danno sull’assenza, questi rettangoli sono i bordi di un cinema futuro che proietterà esclusivamente la pioggia corpuscolare perché alla fine tutto sarà finito».

I corridoi sono la forma spaziale (Gestalt) del tentativo stesso. Il tedesco (der Versuch) per una volta è meno efficace dell'italiano ten-ta-ti-vo: parola che si sgretola, rotola, si piega su se stessa in una attualità fatta di prove senza arresti. Se da Sisifo alle ultime generazioni fermarsi non è possibile, torna attuale la domanda fondamentale che Nietzsche pone nella sua prefazione: «Non potrebbe essere forse la vittoria dell’ottimismo, il predominio della razionalità, l’utilitarismo pratico e teorico, come la democrazia stessa, di cui esso è contemporaneo – un sintomo di forza declinante, di vecchiaia approssimantesi, di affaticamento fisiologico, a dispetto di tutte le “idee moderne” e di tutti i pregiudizi del gusto democratico? E non invece il pessimismo?» (Nietzsche 2005, pp. 8-9). Pessimista è la sapienza dell'essere tragico che ritroviamo in certo cinema (Ozu, Eustache, Fassbinder) «perché il cinema apocalittico potrebbe aprire finalmente a un rovesciamento di presupposti, liberare l’erotismo e non il sesso, la morte e non la vita, il sogno e non la realtà, aprire finalmente la scatola nera di quello che ci ha fatti essere così (dipendenti, sempre, sadici, sempre, infelici, sempre) e non altrimenti» (Spaziani) e in certo teatro (Don Giovanni): «I furori dell’Io propri degli eroi mitici del teatro barocco sono il segno di un vuoto che si è scavato nel cuore del mondo e che invade l’Io, spossessato di quello che Max Stirner chiamava le sue “proprietà”. L’unica risorsa è quell’energia furiosa, emanazione stessa del vuoto cui, paradossalmente, disperatamente, si avvinghia come alla sua anima o al suo essere» (Dumoulié).

Crollato l'edificio di certezze pregresse ed ereditate, si tratterà di edificare una nuova stanza a cui mancherà sempre un elemento. La stanza tentata è un modo di farsi corridoio – est generationis principium activum – è un luogo con potere di morfogenesi come lo sono il cinema e il teatro intesi propriamente nella loro essenza fisica, di calce e mattoni: il cinema sostantivizza nello schermo-parete, il teatro apre il sipario alla platea. Provando a forzare l’immaginazione in senso plastico, si avrà allora una stanza, o cubo vuoto, il cui accesso è consentito attraverso un buco, o corridoio, che ne modificano la forma introducendo all’interno del riconoscibile finito una interruzione con specifiche qualità spazio-temporali. Questo discorso è ancora più chiaro nel linguaggio musicale, in cui sono le proprietà temporali delle pause e dei silenzi ad avere la funzione di sospendere lo svolgimento regolare e intellegibile degli elementi.

«La topologia è pertinente nel caso di “attraverso”, quando questa preposizione è usata per descrivere un cammino all’interno di un oggetto materiale lungo cui un veicolo si muove o si trova senza alcuna interazione fisica con l’oggetto (è perciò esclusa la compenetrazione)» (Casati, Achille 2002, pp. 232-233): e ora si pensi al box della terza stagione di Twin Peaks e al buco di passaggio che connette dimensioni spazio-temporali sconosciute e si avrà più chiaro qual è la parola che questo tentativo di stanza mette in questione.

   
 Tunnel-cavità toroidale  L'oblò nel box - Twin Peaks


L’essere e tutto quello che lo riguarda vacilla quando ci si trattiene su questo luogo impossibile. L’incompiuto si apre e si rende visibile come nella Tomba vuota di Beato Angelico. L’inventario degli elementi primari dell’ultima stanza (le quattro pareti scoperchiate) è soprattutto una esposizione dei bordi, gli estremi di una intera esistenza che non è (solo) quella di Cristo. Maria Magdala abita da sempre in prossimità del limite – sorella di Lazzaro, è l’unica a credere che la morte è una menzogna –, è lei che fissa direttamente il vuoto (das Vakuum) senza paura di scendere: «I morti sono morti, ma in quanto morti non cessano di accompagnarci e noi non cessiamo di partire con loro. Di partire verso nessun luogo: di partire, assolutamente, di scendere al fondo del sepolcro fino al fondo senza fondo dove non si cessa di scendere senza per questo procedere verso destinazione alcuna» (Nancy 2005, p. 56).

L’attraversamento è il movimento dell’andare-contro il predominio della razionalità, un evento sempre iniziale che si sgretola e si piega su se stesso come la parola che ne dice il processo. La tomba ha le qualità della stanza tentata per eccellenza perché contiene contemporaneamente lo spettacolo dell’inizio e quello della fine. La tomba è sempre vuota. Il problema allora consiste nel raffigurare questo Vakuum: «lo spazio vuoto d'una stanza ne rappresenta l'essenza meglio della rappresentazione delle sue pareti o del suo soffitto. In questo senso, sarebbe un vuoto accogliente, disponibile a essere riempito, non minaccioso. Ma anche concesso questo, come filmare il vuoto d'una stanza, o d'una casa disabitata, senza filmarne in qualche modo una o più pareti? Ci si accorge allora che filmare il vuoto equivale a filmare il tempo in assenza di movimento, ossia senza che nulla si muova a segnarne visibilmente il passaggio. O si potrebbe anche dire: si tratta di filmare un passaggio di entità invisibili, di fantasmi, senza che questi fantasmi si materializzino in alcun modo» (Cappabianca).

Il tentativo di stanza coincide con una demolizione: abolita la quarta parete (ottimismo, razionalità, utilitarismo pratico e teorico) cioè percepita distintamente la sua non esistenza, ricostruire i corridoi, lo schermo, il palco e poi, una volta riconosciuta la potenza del luogo, attraversarlo andando-contro con una disponibilità d’amore non quantificabile: «l’unica risorsa è quell’energia furiosa, emanazione stessa del vuoto cui, paradossalmente, disperatamente, si avvinghia come alla sua anima o al suo essere.
C’è solo l’amore, mistico o cortese, per tentare di porvi rimedio». (Dumoulié)


Bibliografia

Casati R., Varzi A. (2002): Buchi. E altre superficialità, Garzanti, Milano

Colli G., (2005): Nota introduttiva in Nietzsche F., La nascita della tragedia

Cvetaeva M., Pasternak B., Rilke R. M. (1980): Il settimo sogno. Lettere 1926, Editori Riuniti, Roma

Di Lascia M. (2016): Un vuoto dove passa ogni cosa, Edizioni dell’asino, Roma

Nancy J.L. (2005): Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo, Bollati Boringhieri, Torino

Nietzsche F. (2005): La nascita della tragedia, Adelphi, Milano