Il “luogo” nel quale si compie la dialettica delle idee di cui scrive Astruc, teorizzando il superamento della dicotomia tra regista e sceneggiatore nel manifesto Naissance d’une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo pubblicato nel 1948 sull’Ècran Français, la scrittura cinematografica nel suo carattere soggettivo, autoriale è il cinema di Jean Pierre Melville nella fase culminante di Le deuxième souffle (1966): Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide di Jean Pierre Melville di Alessandro Baratti – dal 2004 redattore della rivista di critica cinematografica on line “Gli Spietati”, oltre che autore per altre riviste di cinema –  conduce un’analisi puntuale del film, che è la trasposizione dibattuta del romanzo di José Giovanni, pubblicato otto anni prima nella “Série noire”, dedicata al genere noir/poliziesco all’interno della collana Gallimard.

Lo studio di Baratti procede in parallelo in un confronto accurato tra scene dell’opera del regista e pagine dello scrittore, passando implicitamente per Deleuze nella comparazione con Strategia di una rapina di Robert Wise (1959): «[…] le calibrate soggettive dedicate a ciascun personaggio […] sono incastonate in un tessuto visivo modulato dall’elasticità delle escursioni ottiche […]. Ed è proprio questa torsione formale che Melville “riterritorializza” trasferendo le dilatazioni di Strategia di una rapina dalle torbide sponde del fiume Hudson alla cruda pietrosità delle calanche marsigliesi» (p.97).

Se respirare due volte implica metaforicamente un doppio atto creativo, le deuxième souffle sembra ri-presentato anche visivamente sulla pagina stampata, disseminata di foto di immagini tratte dal film, attraverso il duplice canale dello studio del romanzo nell' evolversi della trama e le sequenze narrative dell’ opera cinematografica; allo stesso modo “doppia” risulta essere, nell’ottica di Baratti, la vita di Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide, tanto che si scrive di “renaissance melvilliana”, intendendo per “rinascita” il respiro altro del film derivato dalla sua rivalutazione, a trent’anni dall’uscita: soltanto dopo che, affievolito bruscamente l’entusiasmo iniziale di pubblico e di critica a seguito di colpi di spada verbali, concettuali, di poetica tra il regista francese e la sua scuola d’appartenenza, quella della Nouvelle Vague, l’opera fu avvolta dal silenzio fino agli anni ’90, quando Quenten Tarantino ed altri registi d’oltreoceano dichiararono apertamente il loro interesse per Melville. Ma prima i j’ accuse erano stati serrati, soprattutto nell’ambito della prestigiosa rivista dei Cahiers du Cinema, che avevano in un primo momento apprezzato il regista francese, portato al riconoscimento di autore, poi “scomunicato”, scrive con limpidezza di stile Baratti, accusandolo di deriva commerciale, ripiegamento ai gusti del pubblico, e in seguito nuovamente riscoperto con un dossier interamente a lui dedicato dal titolo Le deuxième souffle de Melville, all’interno del N. 507 di novembre 1996, proprio alla luce dell’attenzione manifestata sia negli Stati Uniti che in Asia.

Il duello personale e di poetiche prosegue nella questione relativa all’adattamento del romanzo, che nulla toglie in originalità al film ma che si pone al centro di una violenta diatriba, anche legale, fra Melville e José Giovanni, nella quale si inserisce la “prepotente autorialità” del “creatore assoluto” di Tutte le ore feriscono… (p. 109). Ed è tutto qui l’intento programmatico dell’autore di questo libro, imprescindibile per chi volesse approcciarsi allo studio del controverso regista parigino, condensato nelle incisive, lapidarie righe che trascrivo: «[…] Il confronto qui proposto tra le sequenze narrative del romanzo e quelle del film intende mostrare il gioco di corrispondenze e scarti tra la pagina scritta e la rappresentazione cinematografica, assegnando finalmente il giusto peso specifico sia all’importanza del libro di Giovanni che all’operazione di riconfigurazione elaborata da Melville. E, soprattutto, ambisce a spazzare via tutte le inesattezze e le leggende circolate intorno a questo paradossale lavoro di trasposizione (p.34)». Sfuggendo magistralmente ad ogni canone, sebbene possa dirsi appartenente al “polar”, genere misto, tra poliziesco e noir, ritorna ora sotto i riflettori il capolavoro melvilliano, che Alessandro Baratti riporta ancora una volta, un’altra volta, al “souffle”, al respiro vitale della critica.

Tags: