È uno stormire di bambine in tutù a sussurrare all’orecchio la folle intenzione: «Mercuzio non vuole morire!». Nonostante gli scontri e le ferite, riprende fiato si rialza e combatte di nuovo, duellando con chiunque abbia una spada perché forte è il desiderio di rivendicare la sua esistenza, e lui sa bene che il teatro e la poesia lo possono salvare.
L’idea scandalosa di questo spettacolo della Compagnia della Fortezza è che Mercuzio non vuole più essere «un sogno iniziato all’apparire della storia», e si ribella a quel testo che lo costringe, ormai da 400 anni, a morire, troppo presto, ogni sera. Non è più disposto al sacrificio per un dramma che non gli appartiene, non accetta che il suo nome sia sinonimo di tragedia: sì, perché quando Mercuzio esce di scena cominciano le morti di tutti i giovani della «bella Verona», che macchiano di «sangue veronese mani di veronesi».


Ma chi è veramente Mercuzio? Per la maggior parte delle persone si tratta di un personaggio secondario, il poeta che, in Romeo e Giulietta, favoleggia di fate non più grandi «d’un’agata al dito», rimproverato dal giovane protagonista di parlare “di nulla”. Per Armando Punzo è il sognatore che chiede al mondo di rifondarsi attraverso l’irriducibile estremismo della poesia, che ha la forza e la leggerezza di credere che la realtà possa essere diversa da com’è. Mercuzio è la possibilità del futuro. Sa per certo che se Shakespeare avesse dato a lui «le parole di Romeo si sarebbe trattato di tutt’altro amore e non di quelle smancerie di adolescenti della vita».
Punzo con i suoi detenuti-attori, “atleti del cuore” capaci di sottrarsi alla realtà carceraria, «alla prigionia senza nessuna evasione» irrobustendo, artaudianamente, quella «muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti» (Artaud 2000, p. 242), mette in scena un teatro inaudito, forgiato là dove il dramma sociale infuria l’atmosfera di tuoni, fulmini, e venti variabili; tra le sbarre del carcere di Volterra, penitenziario mediceo trasformatosi, in questi venticinque anni di attività, in uno dei più prolifici laboratori di sperimentazione culturale.

Facendo proprio l’invito di Genette, la Compagnia si confronta con l’opera shakespeariana  affrontandola come se si trattasse di una "struttura aperta", praticando una lettura giocosa, relazionale e palincestuosa, perché, del resto, «se si amano veramente i testi, si avrà pure il desiderio, ogni tanto, di amarne (almeno) due alla volta» (Genette 1997, p. 469). E allora ecco affacciarsi anche Riccardo III, Otello, Lady Macbeth e Cyrano, mentre sulla scena si rincorrono citazioni di Artaud e Calvino, Dante e Omero. Punzo, poi, è un Mercuzio allampanato e allucinato di donchisciottesca memoria, e, come el ingenioso hidalgo, sembra fatto «a somiglianza dei segni. Lungo grafismo magro come una lettera, eccolo emerso direttamente dallo sbadiglio dei libri. L’intero suo essere non è che linguaggio, testo, fogli stampati, storia già trascritta. È fatto di parole intersecate; è scrittura errante nel mondo in mezzo alla somiglianza delle cose» (Foucault 2010, p. 61).

La regia traduce quest’idea di struttura aperta concependo la scena in maniera cangiante, orchestrando un balletto di quinte semoventi che la ridisegnano ininterrottamente riuscendo lo stesso a mantenerne inalterata l’imponenza barocca. Lo spettacolo sfugge la frontalità aprendosi al fuori scena, scivolando oltre i limiti del palco, invadendo lo spazio spettatoriale e coinvolgendo il pubblico nell’allestimento dei quadri.
L’impianto testuale è il frutto di una costante e inesausta operazione di compenetrazione e arricchimento del dramma dei due amanti con influenze letterarie e artistiche altre. Punzo legge Romeo e Giulietta come se l’avesse scritto lui, vaga a suo modo, toglie, aggiunge quello che manca, integra, allude. La figura che più ama, probabilmente, è l’iperbato, per come dissocia le parole e i pensieri dal loro ordine: non procede mai in modo rettilineo, devia (o finge di deviare) dal fine, salta verso un altro oggetto, intercala parentesi, poi ritorna al punto di partenza, come se fosse in preda a un vento sempre in movimento. Rompe la concatenazione, separa le cose unite e apparentemente inseparabili; scopre vivissime somiglianze, rapporti fra situazioni disparatissime che traduce in febbrili similitudini.

Il suo Mercuzio sfugge la lentezza, la gravità e la posatezza della prosa e si esprime per versi, soprattutto quelli di Majakovskij, che meglio esprimono l’ardore di gioventù, perché lui «nell'anima non ha un capello bianco, e nemmeno senile tenerezza! Il mondo rintronando con la potenza della voce, cammina: bello, ventiduenne». Lui che ha «incendiato le anime, dove si coltivava la tenerezza – e – questo è più difficile che prendere migliaia di migliaia di Bastiglie!» (Majakovskij, pp. 2-12).
Al pubblico è chiesto di partecipare portando con sé due oggetti per la realizzazione di alcune scene collettive: un libro (che abbia un valore simbolico e rappresenti qualcosa di importante) e un guanto rosso. Mercuzio non lo dimenticherà, e per questo rimarrà per sempre e non abbandonerà mai.


Bibliografia

Artaud A. (2000): Il teatro e il suo doppio. Con altri scritti teatrali, Einaudi, Torino.

Foucault M. (2010): Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano.

Genette G. (1997): Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino

Shakespeare W. (2001): Romeo e Giulietta, Rizzoli, Milano.


Sitografia

Majakovskij V.V.: La nuvola in calzoni





Titolo: Mercuzio non vuole morire – La vera tragedia di Romeo e Giulietta

Ideazione e regia: Armando Punzo

Costumi: Emanuela Dall’Aglio
Movimenti: Pascale Piscina
Video: Lavinia Baroni
Musiche originali e sound design: Andrea Salvadori
Bozzetti di scena: Silvia Bertoni  

Con i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza: Antony Talatu Akhadelor, Vincenzo Aquino, Aniello Arena, Salvatore Arena, Antonio Arrigo, Enrico Benetti, Rosario Campana, Pierangelo Cavalleri, Antonio Cecco, Dorian Cenka, Karim Chari, Vincenzo Cipolla, Pierluigi Cutaia, Giovanni D’Angelo, Bruno Di Giacomo, Rosario Di Giacomo, Rosario D’Agostino, Pietro De Lisa, Gianluigi De Pau, Vittorio De Vincenzi, Fabrizio Di Noto, Kole Docay, Abderrahim El Boustani, Nicola Esposito, Giovanni Fabbozzo, Francesco Felici, Alban Filipi, Pasquale Florio, Giuseppe Giella, Nunzio Guarino, Nourredine Habibi, Raai Hakim, Janroui Jang, Ibrahima Kandji, Giovanni Langella, Gaetano La Rosa, Marco Lauretta, Martin Lazri, Francesco Manno, Angelo Maresca, Gianluca Matera, Massimiliano Mazzoni, Giovanni Moliterno, Salvatore Muscato, Raffaele Nolis, Salvatore Pavone, Nikolin Pishkashi, Alessandro Pratico, Gennaro Rapprese, Mohamed Salahe, Vitaly Skripeliov, Rosario Saiello, Cosimo Scalambrino, Danilo Schina, Roberto Spagnuolo, Massimo Terracciano, Armando Tesone, David Tuttolomondo, Domenico Tudisco, Alberto Vanacore, Danilo Vecchio, Alesssandro Ventriglia, Giuseppe Venuto

Produzione: VolterraTeatro/Carte Blanche – Centro Nazionale Teatro e Carcere Volterra

In collaborazione con Teatroteatro.it

Visto il 30 novembre 2013 al Teatro Menotti