Dangerous_LedeNon è facile focalizzare lo showdown tra Freud e Jung e la contrapposizione delle loro rispettive metodologie scientifiche in una struttura drammatica che sia capace di tradurre anche le tensioni biografiche in un coinvolgente racconto filmico. Lo ha fatto invece, con un risultato eccellente, David Cronenberg in A Dangerous Method (i due protagonisti sono interpretati da Viggo Mortensen e Michael Fassbender) a partire dalla vicenda a suo modo cruciale di Sabina Spielrein (Kiera Knightley), prima paziente affetta da psicopatologia isterica di Jung, e poi, una volta guarita, giovane studiosa che si avvicinò a Freud – ateo e anch'esso, come lei, ebreo – con l'originalità di una ricerca sulla pulsione di morte che si accompagna all'istinto sessuale, mentre, a sua volta, anche Jung, di fede cristiana, l'aveva curata con un rigoroso metodo freudiano, ricavandone però conseguenze che lo avrebbero indotto a divergere pressoché radicalmente dal suo maestro, fino al misticismo e al sincretismo religioso.


Sabina però era divenuta nel frattempo anche appassionata amante del medico zurighese (felicemente sposato e con figli), e, d'altro canto, per la sua diretta esperienza esistenziale e clinica ad un tempo, aveva maturato convinzioni che costituiscono una sorta di terza via tra i differenti sistemi interpretativi, e i metodi terapeutici delle psicopatologie dei due grandi protagonisti della storia della psicanalisi.
Nella sobria e raffinata atmosfera della società mitteleuropea – tra Vienna, Zurigo e Berlino –, alla vigilia della grande catastrofe bellica del primo Novecento – nel film realizzata con un talento straordinario e una delicatezza inattesa per un regista dalle maniere di consueto più che energiche come Cronenberg -, si consumano l'intensa e tormentata relazione di Carl e di Sabina, le ipocrisie sotto cui viene costretto a velarsi a lungo il loro rapporto, la drammatica rottura per le rispettive opzioni, alla fine, verso il rassicurante ritorno alla regolarità degli affetti domestici.

Il regista, fino a un certo punto, sembra propendere per le tesi di Freud: nonostante la personale sessuofobia borghese di questi in contrasto con la “peste” decadente della sua teoria che sta per abbattersi con effetti sconvolgenti sulla società moderna (il metodo pericoloso), e in virtù della coerenza di comportamento di un emblematico paziente, Otto Gross (Victor Cassel), tossicodipendente e più che libertino, fedele alla pratica dell'assoluta libertà sessuale fino a rinunciare a tutto per essa e a morire ridotto alla fame dopo aver lasciato la sua professione di medico e l'invidiabile condizione sociale della famiglia d'origine. In realtà Cronenberg, nell'ultima inquadratura, lascia uno Jung ritratto – forse con i suoi rimorsi e i suoi sensi di colpa – con uno sguardo perduto nella enigmaticità della sua storia infelice, mentre assapora, nello stesso tempo, la incomparabile dolcezza del lago svizzero che accarezza la riva del giardino della sua sontuosa dimora.

Ma, in sostanza, insospettatamente forse anche per lui e, d'altro lato, per lo stesso Freud, al centro di questa rievocazione cinematografica resta una tragica trama d'amore, il racconto di una passione che non si estingue perché vita e scienza coincidono nella posizione maturata dal personaggio splendidamente interpretato dalla Knightley: una posizione autenticamente femminile e perciò libera dal normale dispotismo del maschio, giacché la distruzione del sé della donna – sadomasochisticamente nell'abbandono dell'amore – aggredisce e annienta il super ego del partner, e l'amore – quello dei sensi e, insieme, dei sentimenti – permane aldilà delle convenzioni e degli interessi di genere. La inconfondibile durezza di Cronenberg, la tipica incisività del suo tratto espressivo si avvale, del resto anche di grandissimi attori e, più che un film di atmosfere, ci restituisce un film di problemi.