(trad. a cura di G. Festa)

Nel nostro XXI secolo il lontano Medioevo occupa un posto ricco e multiforme. Come periodo storico, si caratterizza per una quantità debordante di bibliografia specializzata che ci permette di conoscere, sempre più nitidamente, una delle tappe più affascinanti del passato; nello stesso tempo, come immagine mitica di un tempo magico e oscuro, il Medioevo continua ad alimentare un immaginario che spazia dai pittoreschi mercati medievali alle grandi produzioni culturali come Game of Thrones. All'interno di questo secondo aspetto abbonda l'evocazione di un periodo accecato dalla nebbia e dominato, come diceva Melisandre, da una notte spaventosa: «the night is dark and full of terrors». La notte chiusa, le torce ardenti, le candele spente dal forte vento o i mostri che vivono nel buio rappresentano alcuni degli elementi chiave di questo suggestivo sguardo su un tempo immaginato. Il celebre episodio The long night, ovviamente, condensa i luoghi comuni più radicati di questi esercizi finzionali che, in seguito – e questa è forse la cosa più importante –  proiettano sulla realtà del periodo storico uno sguardo condizionato che ne offusca l'autentica natura. Documenti storici, lettere, scritti letterari, trattati magici, immagini di ogni tipo... ci lasciano immergere nella complessità di un palcoscenico in cui la notte, i sogni o le visioni giocano un ruolo centrale. Tant'è che, come nel fantasy epico delle serie e dei libri odierni, nel Medioevo compaiono draghi, sogni propiziatori o pozioni magiche, ma con una differenza importante: mentre nel primo caso bisogna collocarle sul terreno della fantasia, nel secondo caso vengono considerati come una parte costitutiva di quella realtà.

Il mondo medievale è complesso come i suoi strati e livelli, i suoi spazi visibili e invisibili. La vista, l'udito, il tatto si manifestano in tutta la loro intensa corporeità e spiritualità. Le terre incognite medievali costituiscono le frontiere di quel territorio misterioso e talvolta mostruoso, dove si sogna o si viaggia, dove accadono fenomeni fantastici e dove gli eroi delle saghe raggiungono la gloria o la morte. Questi spazi geografici immaginari e limitrofi, come i mari, le foreste o le visioni, sono percorsi dall'attrazione magnetica dell'oscurità e della notte. La tenebra, l'oscurità del cielo, ma anche dell'anima, non può che diventare una geografia da scoprire, esplorare o temere. La notte e il cielo sprigionano il fascino per le stelle e il loro messaggio nascosto, i segni per orientarsi nell'oscurità o per navigare in mari lontani. Mostri, isole misteriose, esseri notturni e creature che abitano i limiti del mondo conosciuto, meraviglie e fantasie che esistono dentro una geografia che espande i limiti del visibile nello spazio dell'invisibile. Perché il mondo medievale è un mondo espanso; un mondo in cui compaiono fenomeni come il teletrasporto o la bilocazione di sogni e visioni, dell'anima assediata, bruciata o precipitata nell'oscurità.

La notte è anche uno spazio liminale, categoria molto sviluppata nel Medioevo e che permette di capire meglio come questa esperienza dei limiti venisse esperita. I confini, i luoghi di transizione, di cambiamento, di trasformazione definiscono in gran parte il sentimento di questo periodo. Sia nei gesti più prosaici – la costruzione di santuari nei limiti giurisdizionali –, come nelle esperienze più alte – i viaggi dell'anima cristiana alla ricerca dell'unione con la divinità –, si sviluppa una geografia magica in cui la soglia definisce e unisce entrambe le sfere della realtà. 

La notte, in questo senso, si presenta come potente metafora di questi molteplici momenti di passaggio: notte dell'anima alla ricerca della luce divina – a partire dalle tenebre come sfida che l'anima deve affrontare per raggiungere l'illuminazione –; notte oscura in cui emergono le forze del male più terrene – banditi, ladri o esclusi di ogni genere –; e, inoltre, la notte in cui i sogni mostrano tutto il loro potere.

Il mare, la foresta, il tempio, l'inferno o la notte sono mondi differenti dal quotidiano con dimensioni spaziali e temporali, soglie e limiti propri. Altri mondi che abitano e respirano nel mondo reale, espandendolo. Mondi con le proprie coordinate dove sia i religiosi – che possono spostarsi in spazi immaginati, inferno o paradiso – sia viaggiatori, pellegrini, geografi o marinai, si gettano in spazi sconosciuti oltre il percettibile e palpabile; altri mondi che, attraverso i propri simboli e segnali, linguaggi e forme, attendono chi è in grado di decifrarli.

I sogni e le visioni, due esperienze del mondo spesso confuse e mescolate, occupano parte dell'essenza della mentalità medievale. I Greci e i Romani, dai quali la società medievale ereditò gran parte della sua conoscenza onirica, credevano fermamente che ciò che si vedeva nei sogni fosse vero e che, inoltre, «servisse come mezzo per conoscere una realtà al di là del mondo o entrare in contatto con esseri soprannaturali» (I. García-Monge Carretero, 2011). Sognare e vedere sono due atti che richiedono un'attenzione particolare. Anche se si dorme con gli occhi chiusi, gli occhi dell'anima rimangono aperti durante la notte. 

L'arte medievale, efficace come poche altre nel trasmettere concetti teologici altamente complessi, risolve brillantemente la visione onirica. Il Vangelo dello Pseudo-Matteo, un testo apocrifo che circolò con grande successo in epoca medievale, narra l'epifania dei Magi davanti al Bambino e il successivo sogno in cui un angelo li avverte di non visitare Erode. In un capitello della cattedrale di Autun, scolpita dal maestro Gislebertus, troviamo la scena risolta in maniera insuperabile. Un angelo si avvicina al letto dove si trovano i tre Magi addormentati e, con sottigliezza, tocca la mano di uno di loro. Istantaneamente, egli apre gli occhi e osserva il gesto dell'angelo che annuncia di seguire la stella, scolpita nella parte superiore. Una lettura veloce ci porterebbe a pensare che l'angelo stia risvegliando il re magio affinché possa osservarlo con i suoi occhi fisici; una lettura più attenta ci fa sospettare che, in realtà, ciò che stiamo vedendo è l'immagine della visione onirica e che gli occhi che il re magio apre siano quelli dell'anima (fig.1).

Gilesbertus, Sueño de los Magos, catedral de Autun, c. 1130.

Fig. 1 - Gilesbertus, Sueño de los Magos, catedral de Autun, c. 1130.

Per questo motivo è importante distinguere tra sogni e visioni: i primi si verificano durante la notte – come territorio incerto – mentre le visioni durante le ore di veglia. La prima visione di Ildegarda nell'anno 1141, narrata nello Scivias, si manifesta come «una luce ardente, con lo splendore del fulmine, dal cielo aperto. Mi ha attraversato la mente e il cuore e il petto mio brillava come una fiamma», visione avvenuta durante la veglia: «E ho detto e scritto: questo non è dovuto all'invenzione del mio cuore, o di qualsiasi altra persona, ma è come l'ho visto nelle manifestazioni del cielo, come l'ho udito e ricevuto attraverso i misteri nascosti di Dio». Hildegarda afferma di non averlo sognato e di aver ricevuto vere «visioni spirituali» nello stato di veglia e sotto il dominio totale della ragione. Un'altra mistica tedesca, contemporanea di Ildegarda, Elisabeth de Schönau parla di una «estasi» (in extasim corrui) che la sorprende più di una volta nel suo «lettino» (in lectulo meo) (J. C. Schmitt, 2003). Entrambe insistono sul fatto che la loro esperienza è avvenuta in uno stato di veglia (V. Cirlot, B. Garí, 2008). San Tommaso distingue chiaramente tra due tipi di esperienza «nei profeti rimanevano impresse e ordinate forme immaginarie, sia mentre dormivano, che viene significato dal sonno, sia durante la veglia, che è espresso in visione» (Sum II-II, c.173, a.3, r.1). Entrambe le esperienze sono confuse, contrastanti e difficili da distinguere se il protagonista non specifica se la sua esperienza è avvenuta mentre dormiva o se era perfettamente sveglio quando la visione ha avuto luogo. La notte diventerà il momento ideale in cui si verificano questi fenomeni; la notte è una porta tra i mondi e il sogno la sua chiave.

Fig. 2. Miniatura dello Scivias dal manoscritto di Rupertsberg, XII secolo.

Durante il sonno il corpo organico ha bisogno di un corpo sostitutivo per trasportarsi e muoversi mentre i messaggi vengono rivelati agli occhi del dormiente. Corpo organico e corpo onirico si fondono nella stessa duplice realtà che garantisce la realtà assoluta dell'esperienza di quello che accade nei sogni. Il Re Magio del capitello d'Autun mostra che il corpo del sogno è immaginato come fisicamente uguale al corpo naturale e, inoltre, i suoi occhi vedono e ricordano in modo simile a come farebbero nello stato di veglia. Nei sogni si cammina, si percepisce l'ambiente, si sente con i propri sensi e, inoltre, si ricevono messaggi che possono avere una carica profetica. Ci sono sogni famosi, come quello narrato in Sulla repubblica di Cicerone (VI 9-29), che diventano una vera rivelazione. Scipione racconta il modo in cui lo abbracciò «un sonno più profondo del consueto, e mi apparve l'Africano, attraverso un'immagine che mi era maggiormente nota per il suo ritratto che per averlo visto»: poiché suo padre adottivo era morto quando aveva solo due anni, lo ricordava attraverso le imagines maiorum degli antenati che le famiglie nobili custodivano nelle loro case (in M. T. Cicerone, 1995; sulle maschere mortuarie del mondo romano e sulla loro genealogia, vedi G. López de Munain, 2018).

L'Africano rivela al figlio il suo destino e quello di Roma, descrivendo il cosmo e il posto della Terra e dell'essere umano nell'universo. Questo racconto di ispirazione platonica associa il sogno alla condizione profetica e visionaria. Episodi simili sono narrati nell'Antico Testamento in cui un'apparizione in sogno può contenere un messaggio profetico. Forse l'episodio più utilizzato nel Medioevo è il sogno di Nabucodonosor, in cui appare una strana figura:

«Ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione». (Dn. 2:31-36).

Le miniature medievali si sforzarono di illustrare questa immagine impossibile che Daniele avrebbe dovuto interpretare. Alcune, come quella contenuta nella Bibbia illustrata del re Sancho il Forte di Navarra (1197), mostrano la figura onirica in modo semplice mentre Nabucodonosor dorme pacificamente nel suo letto. Altre miniature, invece, selezionano il momento in cui Daniele interpreta il sogno profetico davanti al re e la statua accompagna la scena come se fosse una manifestazione visiva di ciò che entrambi stanno commentando (fig.3).

Fig. 3. Daniele spiega a Nabucodonosor il sogno della statua, Bible historiale, París, Bibl. Sainte-Geneviève, ms. 0021, f. 094, 1320.

Macrobio, nei suoi Commentarii in somnium Scipionis, lasciò in eredità alla cultura letteraria del clero una riflessione e una classificazione di visioni e sogni la cui influenza fu duratura. Nel suo testo, ha classificato queste manifestazioni in cinque categorie. Il sogno è fatto di «immagini di ogni genere che appaiono disordinate a chi dorme». Somnium (sogno enigmatico), visio (visione profetica) e oraculum (sogno oracolare) sono collegati alla profezia del futuro. Mentre gli ultimi due, insomnium (incubo) e visum (apparizione) sono associati all'apparenza di figure o esperienze negative (J. Le Goff, 2018). La notte apre le porte all'esperienza del sogno in cui l'anima può essere in grado di vedere, ma è anche esposta all'assedio del male. Il sonno, quindi, è un territorio che va controllato, poiché coinvolge il corpo e lo sguardo. La visione e la notte possono essere due percorsi verso l'oscurità. Sant'Agostino, nelle sue Confessioni, descrive la lotta per la padronanza dei sensi: «I miei occhi amano le forme belle e varie, i colori luminosi e freschi. Ma spero che non mi affascinino l'anima!». La luce «mi penetra in mille modi e mi accarezza» (San Agostino, 1968). Gli occhi, le mani, i profumi e i suoni seducono incessantemente l'anima. Ma non è solo la loro sensazione attrattiva ad essere pericolosa. Al di là dei sensi, visioni e immagini oniriche risvegliano desideri, odio, amore o follia.

Il sonno e la tentazione sono intimamente legati, perché si manifestano attraverso la vista e giacciono nel corpo del dormiente. Il sogno è una storia che si vede e si incarna, sebbene la centralità della vista rispetto all'esperienza vera e propria sia notevole. Il sonno è anche un privilegio di pochi. Re e religiosi sono alcuni di coloro a cui è permesso vedere oltre. Molti si convertono dopo un sogno, altri hanno visioni profonde ed estasi. Come sottolinea Schmitt, durante il Medioevo il sogno non intende esprimere l'attività autonoma della mente del sognatore, né il suo inconscio (questa nozione è sconosciuta), né la sua storia personale. La fonte del sogno è esterna: risiede essenzialmente nei poteri invisibili, positivi e negativi, che governano il mondo e le persone. Di fronte a loro, il dormiente è generalmente passivo, catturato dall'intrusione di immagini provenienti da altri luoghi. Il sogno del sognatore è importante per la società in generale. Fornisce informazioni sul destino collettivo e non solo individuale, sull'ora della morte e sul destino nell'aldilà, sul futuro del re e dello stato, sulla legittimità di un'azione da intraprendere, sia essa una guerra o un pellegrinaggio.

A sua volta, il sogno è inteso come un mezzo di legittimazione celeste che evita tutte le mediazioni istituzionali. La notte dei sogni penetra in profondità nell'immaginario medievale, e il suo controllo sarà presto un'ossessione, sebbene, come sottolinea Le Goff, dal XII secolo in poi ci sia stata una democratizzazione del sogno, una rivoluzione che ha portato i sogni al di là delle pareti del chiostro, trasformandolo in un fenomeno umano. Questa apertura del sogno al mondo della vita quotidiana sarà anche un'apertura verso nuovi modi di interpretarlo grazie alla medicina e a nuove teorie. La letteratura medievale è popolata da un gran numero di storie in cui il sogno gioca un ruolo di primo piano. L'autobiografia onirica che nasce nell'antichità riappare durante il Medioevo attraverso cronache come quella di Guiberto de Noget (c. 1055-1125). Schmitt sottolinea che, dall'inizio del XII secolo, la cultura monastica latina e soprattutto occidentale ha assistito a una rinascita dell'- “autobiografia” cristiana o, più precisamente, sulla scia delle Confessioni di sant'Agostino, una forma di scrittura “confessionale”, nel doppio senso della parola confessio, confessione delle proprie colpe e lode a Dio. Donne come Hildegarda de Bingen hanno ripreso questa formula, pur evitando di parlare di sogni a proposito delle loro esperienze visionarie, in quanto non possedevano l'autorità necessaria per poterle evocare senza destare sospetti sulla loro «verità» (Le Goff, op. cit.).  

Nel Medioevo, l'immagine di un sogno consiste nell'accostamento di due elementi: il dormiente (sdraiato sul letto, con gli occhi generalmente chiusi, la testa appoggiata sulla mano o sul gomito e talvolta con i piedi incrociati) e l'oggetto del suo sogno. Come sottolinea Le Goff, è una postura controllata di fronte all'impostura di un corpo incontrollato, mentre la successione di azioni e tempi è rappresentata dalla giustapposizione di scene e dalla ripetizione degli stessi personaggi, sia in registri diversi che nella stessa immagine. L'Antico Testamento è la fonte più importante dell'iconografia onirica medievale. I sogni, nel Nuovo Testamento, sono meno numerosi, ma alcuni di essi hanno conosciuto una grande diffusione, come i due sogni di Giuseppe o quello dei Magi. Come sottolinea Schmitt, queste immagini riuniscono il dormiente passivo e l'oggetto del sogno nella stessa composizione. Nelle illustrazioni dell'opera di Guillaume de Deguileville Le Pèlerinage de la Vie Humaine (XIV secolo) vediamo riflesso in uno specchio il sogno della Gerusalemme celeste, oggetto per nulla aneddotico poiché costituisce il mezzo per eccellenza in grado di mostrare il paradosso dell'immaterialità visibile dai sogni (fig. 4).

Fig. 4. Pèlegrinage de vie humaine, París, Bibl. de l'Institut de France, ms. 0009, f. 079, 1400.

Eccezionalmente, però, accade che l'oggetto del sogno sia raffigurato solo, offerto per se stesso allo spettatore. È il caso del manoscritto dell'XI secolo del Commentario all'Apocalisse del Beato de Liébana dell'abbazia di Saint-Sever (fig. 5) (Schmitt fa riferimento all'immagine appartenente a Le rêve de Nabuchodonosor del Beato di Liebana, Commentaire sur l'Apocalypse, Manoscritto miniato della seconda metà dell'XI secolo, che si trova nella Biblioteca Nazionale di Francia, ms. Lat. 8870, f.51v. Il manoscritto può essere consultato online e questa immagine in particolare su: https: //gallica.bnf.fr/ark: /12148/btv1b52505441p/f117.item).

Fig. 5. Il sogno de Nabucodonosor, Beato de Liebana, Comentarios sobre el apocalipsis, Biblioteca Nacional de Francia, ms. Lat.8870, f.51v.

Bisognerà attendere il XVI secolo per trovare per la prima volta, in forma esplicita, l'immagine di un sogno con la figura del sognatore. Si tratta di un acquerello dipinto nel 1525 da Dürer, che sperimenta, in sogno, gli effetti di un'intensa alluvione (fig.6). Dürer annota sull'acquerello: 

«Nella notte tra mercoledì e giovedì dopo la Pentecoste, nel mio sogno, ebbi la visione di grandi masse d'acqua che cadevano con forza dal cielo. Le prime di quelle che toccarono terra, lo fecero a circa sei chilometri da dove mi trovavo con una tale violenza che produssero un fragore stordente, spargendosi dappertutto, e allagando l'intero paese. Provai, quindi un terrore tale, che mi svegliai. Quelle acque diluviali si stendevano dappertutto, alcune più lontano e altre più vicino, ma da così in alto che sembravano farlo tutte con la medesima lentezza. Le prime che arrivarono al suolo caddero con forza, così velocemente, tra il fragore del vento, che il frastuono che produssero mi fece svegliare spaventato e tremante, tanto che mi ci volle del tempo per riprendermi. Quando mi alzai la mattina, ho dipinto ciò che principia queste righe, proprio come l'avevo visto. Possa Dio portare a buon fine tutte queste cose».

Può sembrare paradossale, suggerisce Schmitt, che Dürer non si sia rappresentato sognando, ma questa immagine senza sognatore è proprio il suo autoritratto onirico. L'acquarello di Dürer segna una rottura, non solo rispetto all'iconografia medievale del sogno, ma anche rispetto alla concezione medievale del sogno: rivela che non può più essere inteso come immagine esterna alla mente. Il sogno diventa una singolare produzione dello spirito del soggetto e la notte un territorio sconosciuto.

Fig. 6. Albrecht Dürer, Traumgesicht, 1525, acuarela y tinta sobre papel, Kunsthistorisches Museum, Viena.

Testi citati (in spagnolo)

I. García-Monge Carretero, El sueño en la Edad Media cristiana: categorías y tópicos esenciales, in: Martín Alvira Cabrer y Jorge Díaz Ibáñez (a cura di), Medievo utópico. Sueños, ideales y utopías en el imaginario medieval, Madrid, Sílex 2011, p. 17.

J. C., Schmitt, Récits et images de rêves au Moyen Âge in Ethnologie française, vol. 33(4), p. 555.

Cirlot, B. Garí, La mirada interior: escritoras místicas y visionarias en la Edad Media, Siruela, España, 2008. p.62.

M. T. Cicerone, Sulla Repubblica, Planeta De Agostini, Buenos Aires, 1995, p. 160. 

G. López de Munain, Máscaras mortuorias, Sans Soleil Ediciones, Vitoria Gasteiz-Buenos Aires, 2018.

J. Le Goff, Il corpo nel medioevo, Editori Laterza, Italia, 2018, p. 66. 

San Agustín, Las Confesiones, Capítulo XXXV, Editorial Juventud, Barcelona, 1968, p. 231.




Somnium. La experiencia de la noche en la Edad Media

di Marina Gutiérrez De Angelis e Gorka López de Munain

 

En nuestro siglo XXI la lejana Edad Media ocupa un lugar rico y altamente variado. En tanto que período histórico, cuenta con una cantidad desbordante de bibliografía especializada que nos permite conocer, cada vez con más nitidez, una de las etapas más fascinantes del pasado; en tanto que imagen mítica de un tiempo mágico y oscuro, el medievo sigue alimentando un imaginario que nos lleva desde los pintorescos mercados medievales hasta las grandes producciones culturales como Game of Thrones. Dentro de esta segunda vertiente abunda la evocación de un período cegado por la niebla y dominado, como decía Melisandre, por una nocturnidad terrorífica: “the night is dark and full of terrors”. La noche cerrada, las antorchas ardiendo, las velas que se apagan con el fuerte viento o los monstruos que habitan en la oscuridad representan algunos de los elementos claves de esta mirada sugestionada sobre un tiempo imaginado. El famoso episodio de The Long Night, desde luego, condensa los tópicos más intensamente arraigados de estos ejercicios ficcionales que, después −y esto es quizá lo más importante−, proyectan sobre la realidad del período histórico una mirada condicionada que desdibuja su auténtica naturaleza. Los documentos históricos, las cartas, los escritos literarios, los tratados mágicos, las imágenes de todo tipo… nos sumergen en la complejidad de una etapa en la que la noche, los sueños o las visiones tuvieron un papel central. Tanto es así que, al igual que en la fantasía épica de las series y los libros de nuestro tiempo, en la Edad Media aparecían dragones, sueños propiciatorios o pociones mágicas, pero con una importante diferencia: mientras que los primeros debemos ubicarlos en el terreno de la fantasía, los segundos debemos considerarlos como parte constitutiva de la realidad. 

El mundo medieval es tan complejo como sus estratos y capas, sus espacios visibles e invisibles. La visión, la audición, el tacto se manifiestan en toda su intensa corporalidad y espiritualidad. Las terrae incognitae medievales componen las fronteras de aquello misterioso y, en ocasiones monstruoso, donde se sueña o se viaja, donde acontecen fenómenos fantásticos y donde los héroes de los relatos alcanzan la gloria o la muerte. Estos espacios geográficos imaginarios y limítrofes, como los mares, los bosques o las visiones, están atravesados por el magnético atractivo de la oscuridad y de la noche. La nocturnidad, la oscuridad del cielo, pero también del alma, no pueden sino convertirse en una geografía a descubrir, recorrer o temer. La noche y el cielo desencadenan la fascinación por los astros y su mensaje oculto, las señales para guiarse en la oscuridad o para navegar los mares distantes. Monstruos, islas misteriosas, seres y criaturas nocturnas que habitan los límites del mundo conocido, prodigios y fantasías que existen en una geografía que expande los límites de lo visible hacia el espacio de lo invisible. Porque el mundo medieval es un mundo expandido; un mundo en el que aparecen fenómenos como la teletransportación o la bilocación del sueño y de las visiones, del alma asediada, incendiada o precipitada en la oscuridad. 

La noche también es un espacio liminal, categoría ampliamente desarrollada en la Edad Media y que nos permite comprender mejor cómo era esta experiencia de los límites. Las fronteras, los lugares de transición, de cambio, de transformación definen en buena medida el sentir de este período. Tanto en los gestos más prosaicos −la construcción de santuarios en los límites jurisdiccionales−, como en las vivencias más elevadas −los viajes del alma cristiana en busca de la unión con la divinidad−, se desarrolla una geografía mágica en la que el umbral delimita y une ambas esferas de la realidad. La noche, en este sentido, se presenta como una poderosa metáfora de estos múltiples instantes de transición: noche del alma en busca de la luz divina −partiendo de la oscuridad como desafío que el alma debe enfrentar para llegar hacia la iluminación−; noche oscura en la que emergen las fuerzas del mal más terrenales −bandoleros, ladrones o excluidos de todo tipo−; y, también, la noche en la que los sueños despliegan todo su poder. El mar, el bosque, el templo, el infierno o la noche son así mundos diferentes al cotidiano con sus propias dimensiones espaciales y temporales, con sus umbrales y límites. Otros mundos que habitan y respiran dentro del mundo real, expandiéndolo. Mundos con sus propias coordenadas donde tanto los religiosos −que pueden trasladarse a espacios visionados, sea el infierno o el cielo− como los viajeros, caminantes, geógrafos o marineros, se arrojan hacia espacios desconocidos más allá de lo perceptible y palpable; otros mundos que, a través de sus propios símbolos y señales, lenguajes y formas, esperan a quienes sean capaces de descifrarlos. 

Los sueños y las visiones, dos experiencias del mundo que a menudo se confunden y se mezclan, ocupan parte de la esencia de la mentalidad medieval. Los griegos y los romanos, de quienes la sociedad medieval heredará buena parte de su saber onírico, creían firmemente que lo visto en los sueños era cierto y que, además, «servía como medio de conocimiento de una realidad más allá del mundo o de contacto con los seres sobrenaturales» (I. García-Monge Carretero, 2011). Soñar y ver son dos actos que requieren de una minuciosa atención. Aunque se duerme con los ojos cerrados, los ojos del alma permanecen abiertos durante la noche. El arte medieval, eficaz como pocos a la hora de transmitir conceptos teológicos de gran complejidad, resuelve de manera brillante la visión en sueños. El Evangelio de Pseudo-Mateo, texto apócrifo que circuló con gran éxito en época medieval, narra la epifanía de los Magos ante en niño recién nacido y el posterior sueño en el que un ángel les advertía que no debían visitar a Herodes. En un capitel de la catedral de Autun, esculpido por el maestro Gislebertus, hallamos la escena resuelta de manera insuperable. Un ángel se acerca al lecho en el que se encuentran los tres Magos dormidos y, con sutileza, toca la mano de uno de ellos. Al instante, éste abre los ojos y observa el gesto del ángel que le anuncia que debe seguir la estrella, esculpida en la parte superior. Una lectura rápida nos llevaría a pensar que el ángel despierta al Mago y éste lo observa con sus ojos físicos; sin embargo, una lectura más atenta nos permite sospechar que, en realidad, lo que estamos viendo es la imagen de la visión en sueños y que los ojos que abre el mago son los del alma (fig. 1).

Por ello, es importante distinguir entre el sueño y las visiones puesto que los primeros acontecen durante la noche –como territorio incierto– y las visiones durante la vigilia. La primera visión de Hildegarda en el año 1141, narrada en el Scivias, se manifiesta como «una luz de fuego, con el resplandor del rayo, desde el cielo abierto. Atravesó mi cerebro y mi corazón y mi pecho brillaba como una llama», acontecida durante la vigilia: «Y dije y escribí: esto no se debe a la invención de mi corazón, o de cualquier otra persona, sino que es tal como lo vi en las manifestaciones del cielo, como lo oí y lo recibí por los misterios ocultos de Dios». Hildegarda afirma que no lo ha soñado y que recibió verdaderas “visiones espirituales” en el estado de vigilia y en el control total de su razón. Otra mística alemana, contemporánea de Hildegarda, Elisabeth de Schönau habla de un “éxtasis” (en extasim corrui) que la sorprenden más de una vez en su “cama pequeña” (en lectulo meo) (J-C. Schmitt, 2003). Ambas insisten en que su experiencia ha sido en estado de vigilia (V. Cirlot, B. Garí, 2008). Santo Tomás distingue claramente entre las experiencias donde «a los profetas se imprimían u ordenaban formas imaginarias, bien fuera mientras dormían, lo cual se significa por el sueño, o durante la vigilia, lo cual se expresa en visión» (Suma II-II, c.173, a.3, r.1). Ambas experiencias se confunden, se mezclan y resultan difíciles de distinguir si su protagonista no nos dice si su experiencia aconteció mientras dormía o si estaba perfectamente despierto al tener la visión. La noche se convertirá en el instante ideal en el que estos fenómenos acontecen; la noche es una puerta entre mundos y el sueño su llave.

Durante el sueño el cuerpo orgánico necesita de un cuerpo sustituto para transportarse y moverse mientras que los mensajes se revelan a los ojos del durmiente. Cuerpo orgánico y cuerpo onírico se funden en una misma realidad dúplice que garantiza la absoluta realidad de la experiencia de cuanto acontece en los sueños. El Mago del capitel de Autun evidencia que el cuerpo onírico es imaginado físicamente igual al cuerpo natural y, además, sus ojos ven y recuerdan de manera semejante a como lo haría en estado de vigilia. En los sueños se camina, se percibe el entorno, se siente con los sentidos y, también, se reciben mensajes que pueden tener una carga profética. Hay sueños célebres, como el narrado en Sobre la república de Cicerón (VI 9-29), que se convierten en una verdadera revelación. Escipión relata el modo en que lo abrazó “el sueño más profundo de lo que solía, y se me apareció el Africano, bajo la imagen que me era más conocida por su retrato que por haberlo visto” (Como su padre adoptivo había muerto cuando tenía sólo dos años, lo tenía presente a partir de las imagines maiorum que las familias nobles conservaban de sus antepasados en sus hogares, in M. Tulio Cicerón, p. 160. Sobre las máscaras mortuorias del mundo romano y su genealogía, véase G. López de Munain, 2018). El Africano le revela su destino y el de su país, mientras describe el cosmos y el lugar de la Tierra y al ser humano dentro del universo. Este relato de inspiración platónica asocia el sueño con la condición profética y visionaria. En el Antiguo Testamento se narran episodios similares en los que una aparición en los sueños puede contener un mensaje profético. Tal vez el episodio más desarrollado en la Edad Media sea el sueño de Nabucodonosor, en el que se le aparece una extraña figura:

Esta estatua, que era muy grande y cuyo brillo era extraordinario, estaba de pie delante de ti; y su aspecto era temible. La cabeza de esta estatua era de oro fino; su pecho y sus brazos eran de plata; su vientre y sus muslos eran de bronce; sus piernas eran de hierro; y sus pies en parte eran de hierro y en parte de barro cocido. Mientras mirabas, se desprendió una piedra, sin intervención de manos. Ella golpeó la estatua en sus pies de hierro y de barro cocido, y los desmenuzó. Entonces se desmenuzaron también el hierro, el barro cocido, el bronce, la plata y el oro; y se volvieron como el tamo de las eras en verano. El viento se los llevó, y nunca más fue hallado su lugar. Y la piedra que golpeó la estatua se convirtió en una gran montaña que llenó toda la tierra (Daniel 2:31-36).

Las miniaturas medievales se esforzaron por ilustrar esta imagen imposible que Daniel tendría que interpretar. Algunas, como la contenida en la Biblia ilustrada del Rey Sancho el Fuerte de Navarra (1197), muestran a la figura onírica de manera sencilla mientras que Nabucodonosor duerme plácidamente en su lecho. Otras miniaturas, por el contrario, seleccionan el momento en el que Daniel interpreta el sueño profético ante Nabucodonosor y la estatua acompaña la escena como si fuera una manifestación visual de lo que ambos están comentando (fig. 3). 

Macrobio, en su Commentarii in somnium Scipionis, legó a la cultura literaria del clero una reflexión y una clasificación de las visiones y los sueños cuya influencia fue duradera. En su texto clasificó estas manifestaciones bajo cinco categorías. El sueño se compone de “imágenes de todo género que se aparecen desordenadas a quienes duermen”. Somnium (sueño enigmático), visio (visión profética) y oraculum (sueño oracular) están ligadas a la profecía de lo futuro. Mientras que las últimas dos, insomnium (pesadilla) y visum (aparición) se asocian a las apariciones de figuras o a las experiencias negativas (J. Le Goff, 2018; Véase también, I. García-Monge Carretero, op. cit., pp. 18-19). La noche abre la puerta a la experiencia onírica donde el alma puede ser capaz de ver, pero también se encuentra expuesta al asedio del mal. Por ello, el sueño es un territorio que debe ser controlado, puesto que involucra al cuerpo y a los ojos. La visión y la noche pueden ser dos caminos hacia la oscuridad. En sus Confesiones, San Agustín describe su pelea por el dominio de los sentidos: «Mis ojos aman las formas bellas y variadas, los colores brillantes y frescos. Pero ¡ojalá no cautiven mi alma!». La luz «se introduce en mí de mil maneras y me acaricia» (San Agustín, 1968).

Los ojos, las manos, los aromas y los sonidos seducen al alma de un modo implacable. Pero no solo es su atractiva sensación el peligro que entrañan. Más allá de los sentidos, las visiones y las imágenes oníricas despiertan deseos, odios, amores o locuras. 

El sueño y la tentación se encuentran íntimamente unidos, porque se manifiestan a través de la vista y radican en el cuerpo del durmiente. El sueño es un relato que se ve y se corporaliza, si bien la centralidad de la vista con relación a la experiencia es notable. El sueño también es privilegio de algunos. Reyes y religiosos estarán en la nómina de aquellos a quienes se les permite ver más allá. Muchos se convierten a partir de un sueño, otros tienen visiones y éxtasis profundos. Como señala Schmitt, durante la Edad Media el sueño no pretende expresar la actividad autónoma de la mente del soñador, ni su inconsciente (esta noción es desconocida), ni su única historia personal. La fuente del sueño es externa: reside esencialmente en los poderes invisibles, positivos y negativos, que gobiernan el mundo y las personas. Frente a ellos, el durmiente se muestra generalmente pasivo, preso de la intrusión de imágenes de otros lugares. El sueño del soñador es importante para la sociedad en general. Proporciona información sobre el destino colectivo y no solo individual, sobre la hora de la muerte y el destino en el más allá, sobre el futuro del rey y el país, sobre la legitimidad de una acción para emprender, ya sea una guerra o una peregrinación (Schmitt, op. cit., p. 553). 

A su vez, el sueño se entiende como un medio de legitimación celestial que evita todas las mediaciones institucionales. La noche de los sueños cala profundo en la imaginación medieval, por lo que su control pronto será una obsesión, si bien, como señala Le Goff, a partir del siglo XII se produce una democratización del sueño, una revolución que lleva a los sueños más allá de los muros claustrales convirtiéndolo en un fenómeno humano. Esta apertura del sueño al mundo de lo cotidiano también será una apertura hacia nuevas formas de interpretarlo desde la medicina y nuevas teorías (Le Goff, op. cit., p. 70). La literatura medieval está poblada por gran número de relatos donde el sueño tiene un papel protagónico. La autobiografía onírica que surge en la Antigüedad reaparece durante la Edad Media a través de numerosas historias como la de Guiberto de Noget (c.a 1055-1125). Schmitt señala que, desde comienzos del siglo XII, la cultura monástica latina y especialmente occidental fue testigo de un renacimiento de la “autobiografía” cristiana o, más precisamente, en la línea de las Confesiones de San Agustín, una forma de escritura “confesional”, en el doble sentido de la palabra confessio, confesión de sus faltas y alabanza a Dios. Mujeres como Hildegarda de Bingen retomaron esta fórmula, aunque evitando hablar de sueños sobre sus experiencias visionarias, al no poseer la autoridad necesaria para poder evocarlos sin despertar sospechas sobre la “verdad” de éstas. 

En la Edad Media, la imagen de un sueño consiste en la yuxtaposición de dos elementos: el durmiente (acostado en la cama, con los ojos generalmente cerrados, la cabeza apoyada en la mano o en el codo y a veces, con los pies cruzados) y el objeto de su sueño. Como señala Le Goff, es una postura controlada frente a la impostura de un cuerpo sin control, mientras que la sucesión de acciones y tiempos está representada por la yuxtaposición de escenas y la repetición de los mismos personajes, ya sea en diferentes registros o en la misma imagen. El Antiguo Testamento es la fuente más importante de la iconografía medieval de los sueños. Los sueños son menos numerosos en el Nuevo Testamento, pero algunos de ellos también han experimentado una gran difusión, como los dos sueños de José o el de los Reyes Magos. Como señala Schmitt, estas imágenes reúnen en una misma composición al durmiente pasivo y al objeto del sueño. En las ilustraciones a la obra de Guillaume de Deguileville Le Pèlerinage de la Vie Humaine (s. XIV) vemos el sueño de la Jerusalén Celestial reflejado un en espejo, objeto en absoluto anecdótico pues constituye el medio por excelencia para mostrar la paradoja de la inmaterialidad visible de los sueños (fig. 4).

Excepcionalmente, sin embargo, sucede que el objeto del sueño es figurado solo, ofrecido por sí mismo al espectador. Es el caso del manuscrito del siglo XI del Comentario sobre el Apocalipsis del Beato de Liébana de la abadía de Saint-Sever (fig. 5). Schmitt hace referencia a la imagen perteneciente a Le rêve de Nabuchodonosor del Beato de Liebana, Commentaire sur l’Apocalypse, Manuscrito iluminado de la segunda mitad del siglo XI, que se encuentra en la Biblioteca Nacional de Francia, ms. Lat.8870, f.51v. Puede consultarse el manuscrito en línea y esta imagen en particular en:https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b52505441p/f117.item Accedido: 20/11/2019). Será necesario esperar al siglo XVI para encontrar por primera vez de manera explícita la imagen de un sueño con la figura del soñador. Es una acuarela pintada en 1525 por Durero, que representa el sueño en el que experimentó un intenso diluvio (fig. 6).

Durero anota en la acuarela: 

 La noche del miércoles al jueves después de Pentecostés, en mi sueño, tuve la visión de unas grandes masas de agua que caían poderosamente de los cielos, las primeras de las cuales que tocaron tierra, lo hicieron a unos seis kilómetros de donde yo estaba con una violencia tal que levantaron un ruido atronador, salpicándolo todo, e inundando todo el país. Sentí entonces un terror tal, que me desperté. Esas aguas diluviales caían por todas partes, unas más lejos y otras más cerca, pero desde tan alto que parecían hacerlo todas con la misma lentitud. Pero las primeras aguas que llegaron al suelo cayeron con fuerza, tan rápidamente, entre el bramido del viento, que el estruendo que produjeron me hizo despertar asustado y tembloroso, tanto que tardé en recobrarme. Al levantarme, por la mañana, pinté lo que encabeza estas líneas, tal como lo había visto. Quiera Dios llevar todas estas cosas a un buen fin.

Puede parecer paradójico, sugiere Schmitt, que Durero no se representara soñando, pero esta imagen sin soñador es precisamente su autorretrato onírico. La acuarela de Durero marca una ruptura, no solo en relación con la iconografía medieval del sueño, sino en relación con la concepción medieval del sueño: revela que éste ya no puede ser entendido como una imagen externa a la mente. El sueño deviene una producción singular del espíritu del sujeto y la noche un territorio incógnito.