Rivista


Traduzione di Serena Ciccarone, Silvia Pellecchia, Eliana Carlucci

The symbol of a generation, even regardless of all generations: initiates delving into timeless wormholes, into the early nineties cathode-ray tube lighted tunnels as in a Videodrome.
A surrender. A planned and pacified surrender, incubated in the womb of both cinematic and televisual image: that specific, sublime midnight broadcasting. This was and still is Béla Tarr.
Back to the Fuori Orario nights officiated by Ghezzi’s cinema - that asynchronous, disheveled simulacrum - summoning metaplasms and fluctuating ghosts in the misting nights, priestly in a white calico robe. Nocturnal winters abused their power over the dusk light and let their tarry murmur be sensed along with their innermost adhesion to the Void. Those nights when movies like Perdition and Satantango - a plodding, lingering seven-hour pilgrimage throughout long takes teeming with galvanised matter, wind and dust - would shine out of the screen; keeping your eyes wide open and jaded venturing the Void while yearning for Perdition.

As in the years of the five-hour movie Until the End of the World - yet in an utterly different way - the “duration” matter, the stretching of the cinematic and narrative syntagm was essential. It was a sort of reaction to the frugal and concise advertising image subject to the immediate consumption typical of the eighties. Béla Tarr’s cinema is configured in a separate universe far from that scenario. A movie camera so aware of itself that it validates its autogenous matter by choreographing its enticing intricate protracted dance. A Cinema as multiple emphasised visions, echoing vividness of the objects, into the objects, which unveils their truth: their life, their time - inscribing and turning them into words, pictures.
There, the truth of the event was its life, a magnetic, immersive duration that lured and engulfed you - in the spirit of a bruised black and white: an exhibit of blubber, scraping and dullness - and its perpetual peristalsis handed you back the character. A no-longer jaded character at the mercy of reality and its undying carcass: the final aesthetic act.

The first story of Seiobo There Below by László Krasznahorkai - whose books and characters inspired three of Tarr’s films - evokes Heraclitus’ Universal Flux «everything around it moves , the water moves, it flows, it arrives and cascades; now and then the silken breeze sways». Not only does he bring it up, he means it and mimes it through the hypotactic writing. A flux of long gapless coordinates, subordinates and appositions: phrasal tubercles persistently reviving the dictation.
The literary counterpart of the long take cinema, Béla Tarr’s cinema, appears to translate the cosmos’ hypotaxis, its continuous flux into images: that endogenous matter emerging and blooming.
Flowing at the book’s service: Krasznahorkai’s stories, mainly dystopian and hopeless - the epigraph of his latest novel Herscht 07769 quotes «hope is an error» - are fully embodied in Tarr’s cinema.

If the novel can be film adapted then Tarr’s cinema is its exemplification. It depicts in chiaroscuro contradictions, violence, greed and violated innocence which articulate the twentieth-century novel dating back to Musil, Céline, Faulkner as well as Simenon whose novel inspired the 2007 Béla Tarr film The Man from London scripted together with Krasznahorkai.
Tonight, the Hungarian director is attending the Registi fuori dagli scheRmi exhibition at the Anche Cinema film theatre in Bari. A chance to screen the Wrekmeister Harmonies restored version which twenty three years ago ushered in the new millennium by transposing the apocalyptic spirit of Krasznahorkai’s novel The Melancholy of Resistance.

Symbols, allegories of a dark fairytale; characters eponym of the human; ash-grey, scraped off, scrawny foreshortening: the cornerstones of Tarr’s cinema. An omen for the upcoming millennium.
He had us waiting eleven years for his comeback with his last astonishing film The Turin Horse, the umpteenth depiction of a drifting humanity. Yet, a fragment, an echo of Harmony is still possible: if the movie camera sheds its light on inanity, then conscience - the self-determination of this artificial gaze - and light stand. A light revealing and inexorably marking the steps, the enduring and solemn strides, the dazzling flux.


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Luigi Abiusi

Da un po' di tempo imbastiamo delle sezioni speciali su Uzak: è per lo più Giovanni Festa - professore in Argentina; tra un po' sarà in Brasile a scrivere un libro su Julio Bressane - a curarle, virando la rivista di esotismi, erudizioni borgesiane, rudi onirismi provenienti dal Sudamerica; o, da qui, Domenico Saracino, ma proiettandosi, proiettandoci su una Cancroregina, nel cosmo come quando, sul numero 41, ideò un dossier sul cinema-kraut, un ritmo segreto che scandisce le immagini oltre che i suoni.

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Domenico Saracino

Partire dall’immagine, dal suo essere manifestazione visiva delle cose in sé, epifenomeno, affioramento. Lasciare indugiare lo sguardo, penetrarle, consultarle, quelle immagini, interrogarle (o lasciarsene interrogare) nel tentativo, direbbe Didi-Hubermann, di “vedere per sapere meglio”. E ancora: inabissarsi nella moltitudine infinita delle forme, farsi naufrago tra i flutti dei rimandi, delle corrispondenze, dei significa(n)ti, con l’occhio mai sazio.

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Luigi Abiusi

Film terragno, ruvido, regolato da attriti tra corpi, psicologie, desideri di persone semplici, provate dal lavoro, dal rapporto obbligato con l'empiria, o bramosie dei potenti, prepotenti (quasi manzoniano, scottiano in quanto a concezione della storia; tra l'altro: scorrerie di bravi, briganti, lanzichenecchi per tutta la brughiera; ma poi c'è anche Scott Cooper e un film forse sottovalutato come Hostiles), La terra promessa (titolo originale Bastarden) diretto dal danese Nikolaj Arcel, in concorso alla scorsa Mostra di Venezia ha il pregio della «credenza».

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Giovanni Festa


C'è un'immagine, giusto all'inizio de La cordillera de los sueños di Patricio Guzmán che mi è venuta in mente quando ho cominciato a pensare a come introdurre un montaggio di testi dedicato al Cile, a cinquanta anni dal golpe di stato civile-militare dell'11 settembre del 1973.

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Guillermo Núñez

Sabato 17.5.75

Come uscire dal viaggio rimanendo comunque nel viaggio?
Fare di questa follia un fatto di bellezza postuma come questa rondine
che viene ogni giorno in un nido inesistente sulla porta della capanna,
che persiste qui in questa falsa estate e si inganna volando e volando.

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Raúl Ruiz



SCENA I

[L’opera fu rappresentata originariamente in una sala cinematografica e i personaggi fanno riferimento a un film proiettato. Secondo altri contesti di montaggio è possibile una descrizione alternativa di ciò che vedono e del luogo dove si trovano].

 

Edipo e Antigone entrano caricando valigie

 

EDIPO: Che vedi?

ANTIGONE: Non si vede granché

EDIPO: Che dicono? Di che cosa parlano?

ANTIGONE: È un film muto

EDIPO: Davvero? E come proseguiamo? E, innanzitutto, dove ci troviamo?

ANTIGONE: Di fronte al palazzo

EDIPO: Me ne rallegro. Ho detto che me ne rallegro. E tu?

ANTIGONE: Sono qua

EDIPO: Così va meglio. Chiamami padre. Non è così che bisogna fare? Chiamami cosi. Va bene?

ANTIGONE: Padre…

EDIPO: Che lo sappiano. Che si sappia

ANTIGONE: Ho paura

EDIPO: Non dire così

ANTIGONE: Quindi starò zitta

EDIPO: Ed io? Eh? Sei qui? Anti, rispondi a tuo padre! Ehi! Rispondi! Non c’è nessun altro qui? Sembra quasi che sia solo no?

ANTIGONE: Sono qui

EDIPO: Bene. Così va meglio. Dimmi, c’è qualcosa davanti a me? Qui?

ANTIGONE: Un film

EDIPO: Di che genere è?

ANTIGONE: È un film di terrore

EDIPO: Che bello!

ANTIGONE: Però è muto

EDIPO: Raccontami di più

ANTIGONE: Non si capisce, te l’ho detto, è un film muto

EDIPO: Si muoveranno almeno le ombre

ANTIGONE: Le ombre, si

EDIPO: Ci sarà qualcuno che muove le labbra

ANTIGONE: Si, questo si

EDIPO: Bene, allora, decifra, per dio!

ANTIGONE: Parlano in un’altra lingua

EDIPO: Una lingua arcaica?

ANTIGONE: Ho l’impressione che parlino una lingua a parte

EDIPO: Che bello

ANTIGONE: Sembra che l’opera sia a proposito… a proposito di un tradimento

EDIPO: Ahi!

ANTIGONE: Che?

EDIPO: Mi fa male il piede. È gonfio

ANTIGONE: Lo so

EDIPO: Fa qualcosa

ANTIGONE: Non c’è niente da fare

EDIPO: Oh, questa sì che è buona. Non ci sarebbe quindi nulla da fare

ANTIGONE: Nulla

EDIPO: Non sono sordo. Mi fa male il piede. Questa non è una ragione per arrabbiarsi, vero? Sei qui? Non c’è nessuno più in là? Si, si, capisco. È un posto unico. Un teatro. Un posto unico predisposto dalla città per favorire incontri. Un posto sospettoso. Il posto ideale per incontri sospettosi. È qui che vengono a incontrarsi gli amanti colpevoli. Ambiente vellutato. Il posto perfetto per rigirare i fatti a nostro favore, non è così? Anti. Dove sei? Ah, perfetto, si è arrabbiata

ANTIGONE: No, padre, non sono arrabbiata

EDIPO Ahi, ahi, ahi!

ANTIGONE: Stai meglio?

EDIPO: Si grazie. Va bene, continua a raccontare, che altro c’è

ANTIGONE: La scena è cambiata

EDIPO: Che cosa viene mostrato?

ANTIGONE: Nulla

EDIPO: Si suppone che cose di questo tipo dovrebbero piacerci?

ANTIGONE: Non c’è nessuno

EDIPO: Adesso non c’è nessuno o è sempre stato così?

ANTIGONE: Non saprei dirtelo

EDIPO: Questa è la migliore. E che se suppone che dovrei fare io?

ANTIGONE: Aspettare

EDIPO: A chi?

ANTIGONE: Bene, chiedi

EDIPO: Quindi c’è qualcuno

ANTIGONE: Se vogliamo…

EDIPO: È a richiesta? C’è qualcuno a cui chiedere?

ANTIGONE: Vedo a qualcuno di là. Dall’altro lato delle ombre

EDIPO: Che ombre?

ANTIGONE: C’è un film di terrore

EDIPO: E quindi?

ANTIGONE: Dall’altro lato c’è gente

EDIPO: Non si dice “le ombre”. Si dice “un film”. Si dice “dell’altro lato dello schermo c’è gente”. Non è necessario dire “le ombre”. Fanno paura, le ombre, Sono cieco

ANTIGONE: C’è qualcun altro, lì, dietro di noi

EDIPO: Davvero? Questo è nuovo?

ANTIGONE: I miei occhi si stanno abituando all’oscurità

EDIPO: Mi ascolti! Lei! Dove si trova?

GUARDIA: Sono qui

EDIPO: Venga, per favore

GUARDIA: Per far che?

EDIPO Venga da questa parte. Io non posso venire verso di lei. Sono cieco.

GUARDIA: E allora?

EDIPO: Questo dovrebbe rallegrarlo. Un cieco nel teatro è di buona sorte

GUARDIA: Io non lo vedo. Non posso sapere se lei è cieco per davvero

EDIPO: La diffidenza. Ah, Danimarca, ti riconosco. Sempre la diffidenza!

GUARDIA: Non ho il diritto di venire verso di voi. Questa zona… ah! È pericolosa!

EDIPO: Lei ha paura dei ciechi

GUARDIA: Ci sono cose che cadono. Da sopra. E, in più, non posseggo… autorizzazione. Lì dove si trova lei è un’altra tariffa

(si ascoltano risate di bambini)

GUARDIA: lo vede, è questo

EDIPO: Bambini? A quest’ora? Perché non stanno dormendo?

GUARDIA: Giustamente, dormono. Hanno incubi e tirano cose

EDIPO: Quali cose?

GUARDIA: Libri. Libri di scuola

EDIPO: I più pesanti

ANTIGONE: Padre, andiamocene di qua

EDIPO: E il film? Tu mi dirai che è normale. Siamo in un cinema. Però bene, è qui dove ci hanno detto di venire, vero?

ANTIGONE: Qualcuno ci ha preso in giro. Non si riceve la gente in un posto così. Tu stesso lo hai detto. Questo è per incontri sospettosi. Non incontreremo un luogo di accoglienza

EDIPO: È perfetto. È il posto indicato. Caro amico, si trova ancora qui?

GUARDIA: Si, sono qui

EDIPO: Mi faccia la cortesia di chiamare a qualcuno

GUARDIA: A chi?

EDIPO: A una autorità della città. Dev’esserci qualcuno che comandi qui, certo? Un’autorità

GUARDIA: Il municipio è di fronte

EDIPO: Perfetto allora. Vada. Io ci andrei lieto, ma ho paura dei controlli. Le mie carte non sono in regola

GUARDIA: Quindi sarà meglio passare inosservato

EDIPO: Un grande saprà riconoscere a un altro grande. Vada, e gli dica che un anziano cieco sta qui, accompagnato da sua figlia. Lui capirà

GUARDIA: Andrò

EDIPO: Se n’è andato

ANTIGONE: Ho paura che sia ancora qui

EDIPO: Quindi non ha capito nulla

ANTIGONE: Siamo nel teatro lo sai

EDIPO: Lo so

ANTIGONE: Lui è venuto a vedere un’opera di teatro

EDIPO: Ahi!

ANTIGONE: Rimarrà fino al finale. Andrà poi, quando sarà troppo tardi. Quando arriverà, incontrerà una sala chiusa a chiave

EDIPO: Ahi, le mie pastiglie per favore. Questo ricomincia, mi fa male di nuovo.

ANTIGONE: È normale. Qui fa freddo

 

SCENA IX

 

Edipo arriva nel lato della pioggia con Antigone

 

DOGANIERE; Documenti per favore

EDIPO: Li tiene mia figlia

ANTIGONE: Eccoli

DOGANIERE: Grazie (Osserva i documenti). Antigone… è questo il tuo nome?

ANTIGONE: Sissignore. Il visto di uscita si trova nell’ultima pagina

DOGANIERE; Antigone… Quindi lei è contraria alla libera concorrenza?

EDIPO: Mia figlia non si occupa di politica, grazie a Dio

DOGANIERE: E allora, perché Antigone?

ANTIGONE: Chiedetelo a mio padre

EDIPO: Me ne sono dimenticato

DOGANIERE: Nazionalità?

EDIPO: Astronomia

DOGANIERE: Indirizzo?

EDIPO: Geografia

DOGANIERE: Matite colorate, portamine, biro?

ANTIGONE: Tutte e tre

DOGANIERE: Mostrale

ANTIGONE; Eccole

DOGANIERE: Queste non sono matite, sono armi

EDIPO: Davvero? È possibile. È così che uno si converte in cieco

DOGANIERE: Aspetta, chiamerò la direttrice (Exit doganiere)

EDIPO: Perché, per dio! Sempre la stessa storia. In ogni frontiera, la stessa diffidenza

ANTIGONE: Pazienza, padre. Finiranno per lasciarci passare

EDIPO: Alla fine dell’umiliazione di rigore. Siamo perduti. Scopriranno che i nostri documenti sono strani. Che l’indirizzo non corrisponde. Diranno che un cieco non può essere posseduto dagli astri, che un mancino non può comprendere la consegna dell’acqua e la bellezza delle montagne. Finiranno per dubitare dei nostri nomi (Entra una doganiera)

DOGANIERA: Siete voi i rifugiati?

EDIPO: Non siamo rifugiati, siamo turisti

DOGANIERA: Mostrate il denaro!

EDIPO: Possiedo il credito di un bastone. Ho i miei denti di oro puro. La gamba ripiena di banconote, e non banconote qualsiasi. Sono banconote di coltura. Si moltiplicano. Provocano dolore alla gamba, ma aiutano ad arricchirmi

DOGANIERA: Mezzo di trasporto?

EDIPO: La mia gamba non le sembra sufficiente?

DOGANIERA: No

EDIPO: Questa gamba è un cavallo, è ciò che mi spinge all’appuntamento finale

DOGANIERA: Chi li aspetta?

EDIPO: Mia figlia

DOGANIERA: Conosce a qualcuno in questo paese?

EDIPO: Al re. Lo chiami

ANTIGONE: Si fermi. Come ha potuto vedere, mio padre non può fare danno a nessuno. È stato espulso dalla sua terra e perseguitato. Ancora lo perseguono, di paese a paese, di città in città. Siate umani, siate cristiani

DOGANIERA: Né l’uno né l’altro! (Assume la posa di una stella)

EDIPO: Lo sapevo. Lei è una stella.

DOGANIERA: No, solamente impedisco alle stelle di entrare nel mondo. E impedisco alla gente del mondo di andare a schiantarsi nel cielo. Sennò, da molto tempo il cielo sarebbe accecante

EDIPO: Ahi, ahi!

ISMENE: Padre, sei qui

EDIPO: Figlia mia! Figlia amata!

 

SCENA XIII

 

QUADRO A DESTRA: (voce di Edipo): Chi mi catturerà contro la volontà dei miei compagni?

QUADRO A SINISTRA: Gli dei vedono bene, anche se vedono dopo

QUADRO AL CENTRO: Il fogliame innominabile del nume protetto contro il sole

EDIPO: Per la prima volta, la destra, la sinistra e il centro sono d’accordo. Io credo nell’unanimità. Tutti mi chiamano, è evidente. Sento questo richiamo che mi disgusta. Ho sonno. Un sonno fruttato e aspro come il latte della patria che miagola. Un sogno mortifero e strambo, figlio di uno sciame di api. Mi circondano scherzose. Coronano la mia crosta. Vedo l’hotel di fronte alla stazione: Douce France. Sento venire i miei amati starnuti, come una chiamata freddolosa di capperi, come scoppi di allegria. Come le campane ostinate e spinose della mia città natale. Già vedo avvicinarsi i sentieri che tesse il ragno croccante: tutto questo odora a olio di carezza, il pane secco, il cuoio umido. Odora, odora: ah Antigone, l’aqua velva sta in mezzo a noi. Chi va là? L’ingombrante?

ANTIGONE: La tua voce è mutata. Le tue parole guadagnano in vocabolario e perdono in calore umano.

QUADRO A DESTRA: Benvenuto

A SINISTRA: Benvenuto

AL CENTRO: Welcome

EDIPO: Nessuno dei miei concittadini parla la mia lingua. È estinta. Non serve che a contare storie curiose. È una lingua che usano le foche. Si ascolta a volte negli ospedali di montagna. Le prostitute la utilizzano spesso quando discutono la tariffa. La parola tariffa ha cinquanta variazioni. La parola monsignore, duecento. Nessuna parola per dire amico, per dire pane. La parola merda è più popolare che la parola cammino; per dire cammino, diciamo merda.

DESTRA: Torna

SINISTRA: Ritorna

CENTRO: Come back

EDIPO: Di nuovo ho raggiunto l’unanimità della destra, del centro e della sinistra. E allora, non mi rimane più che ritornare. Figlia mia. Fai le valigie.

ANTIGONE: Se vuoi tornare, dovrai fartele da solo

EDIPO: E tu credi che lì si possano incontrare piccoli flaconi di lacrime fatti di argilla bianca?

ANTIGONE: Perché?

EDIPO: Ho voglia di piangere. Tu mi aiuterai, vero? Durante le mie lunghe notti d’inverno mi verrai vicino e racconterai la mia storia ad un pubblico di ombre cinesi. Così, le perle orientali faranno sbattere le palpebre delle caverne senza fine che sono i miei occhi

ANTIGONE: Però, che ti succede?

EDIPO: Niente, ho voglia di ritornare

ANTIGONE: Dicono che Creonte è in città

EDIPO: Ah. Visita ufficiale? Non mi sorprende. Il lupo fa pace con la volpe

ANTIGONE: Dicono che vuole farci tornare. Si dice che nuovi passaporti sono a nostra disposizione nel consolato

EDIPO: Dove si trova il consolato?

ANTIGONE: Di fronte, a lato del municipio

EDIPO: Qui niente è lontano

ANTIGONE: Niente, realmente niente

EDIPO: Non dobbiamo far altro che andare

ANTIGONE: Si

EDIPO: Per fare che?

ANTIGONE: Dato che vuoi ritornare…

EDIPO: Dove?

ANTIGONE: Nel nostro paese

EDIPO: Giammai. Che idea

ANTIGONE: Però lo hai appena detto

EDIPO: Ah sì? Non sono stato io

ANTIGONE: Sei stato tu

EDIPO: Non mi ricordo

ANTIGONE: Vedi? Vedi? Vedi?

EDIPO: Che dici?

ANTIGONE: Dico, hai visto?

EDIPO: Hai detto questo? L’ho già dimenticato

ANTIGONE: Che ti succede?

EDIPO: Lasciami pensare. Dici che ho detto di voler tornare in questo paese di merda?

ANTIGONE: Si

EDIPO: È evidente che non possa aver detto una cosa così. Quindi deve essere stato qualcun altro

ANTIGONE: Però chi?

EDIPO: Dove siamo?

ANTIGONE: In un cinema. Già lo sai

EDIPO: Lo avevo dimenticato. Così questo è quello che chiamano un cinema. Però aspetta. È un cinema o un teatro?

ANTIGONE: Entrambi

EDIPO: Ah. E dove si trova la buca del suggeritore?

ANTIGONE: La vedo lì

EDIPO: Dai, bussa. Dai, dai, rapido. C’è qualcuno che suggerisce, ne sono sicuro!

ANTIGONE: C’è qualcuno lì?

CREONTE: Si

ANTIGONE: Chi è?

CREONTE: Il suggeritore

EDIPO: Abbia la gentilezza di avvicinarsi. Io verrei con piacere, però, come può vedere, sono cieco. Anti, che dice?

ANTIGONE: Nulla

EDIPO: Finalmente ci troviamo faccia a faccia. Questo non mi disgusta. Dopo tanti anni. L’immagine del nemico nasconde l’umanità dell’uomo. Diciamo quindi che io dimentico il nemico e che mi avvicino all’uomo

ANTIGONE: Vuoi perdonare Creonte?

EDIPO: Si e no

ANTIGONE: Non sei più mio padre

EDIPO: Perché?

ANTIGONE: Per quello che hai appena detto

EDIPO: Che ho detto?

ANTIGONE: Hai detto che perdonavi Creonte

EDIPO: Io perdonarlo? Giammai!

ANTIGONE: Lo hai appena detto!

EDIPO: L’ho dimenticato. Però aspetta. Dove siamo?

ANTIGONE: In un cinema e in un teatro.

EDIPO: Dai, bussa alla buca del suggeritore. Chiedigli perché mi suggerisce queste dichiarazioni.

CREONTE: Io suggerisco quello che sta scritto

EDIPO: Ah sì? Interessante

CREONTE: Interessante. A proposito, è lei o sono io colui che pensa quello che sto suggerendo?

EDIPO: Interessante. È lei o sono io colui che pensa quello che sto suggerendo?

CREONTE: Interessante. Mi trovo qui per forzarti a far ritorno con i tuoi concittadini

EDIPO: Chi ha suggerito questo?

CREONTE: Tu! Io non avrei mai detto una cosa così. A me piacciono i periodi lunghi.

EDIPO: Non tornerò mai

CREONTE: Ah, questo l’ho suggerito io

EDIPO: Perché hai già preparato un’operazione di largo respiro. Ritornerai dicendo che non voglio tornare per volontà propria e che devi forzarmi

CREONTE: È lei che lo dice

(Exit Creonte)

EDIPO: Creonte! Dove sei? Questo sta dappertutto

ANTIGONE: Se n’è andato senza nessuna parola di commiato. Questo significa che passerà all’azione, lo conosco bene. In un altro tempo, lo amavo. Quando vinse il premio di equitazione, collezionai per molto tempo tutti i ritagli di giornale che parlavano di lui. Mi piacevano i suoi capelli. Era l’uomo che faceva tutto: cantava, ballava, il suo colpo di tacco nel tip tap era adorabile. La prima volta che lo vidi ballare…

Ah! Ti ricordi? Stavamo insieme. Lui ballava freneticamente, colpendo il suolo freneticamente con le scarpe che avevano conservato il pallore del volto di mia madre. Questa notte fu proclamato re del tip tap. Solo dopo comprendemmo che i suoi piedi stavano trasmettendo un messaggio in morse. Già preparava il golpe di stato.

EDIPO: È ancora così bello?

ANTIGONE: Si, lo è ancora

EDIPO: Lo ami, vero?

ANTIGONE: (Ride). Chiedilo piuttosto a Ismene

EDIPO: Perché? Perché lei e lui…?

ANTIGONE: Lo sanno tutti

EDIPO: Non è possibile

ANTIGONE: Io stessa li ho visti

EDIPO: Questo non può essere vero. No, giammai!

ANTIGONE: Io li ho visti!

EDIPO: Raccontami che facevano

ANTIGONE: (Pausa drammatica) Assegni. Assegni orribili

EDIPO: Erano buoni dello stato?

ANTIGONE: No, oggi tutto è privato. Inoltre ridevano

EDIPO: Allora non è così grave. Erano assegni senza fondo

ANTIGONE: Sei ingenuo

EDIPO: Si è vero. È tipico della cecità

ANTIGONE: Pensi molto alla cecità?

EDIPO: Si, e di che forma! I miei occhi, i miei preziosi occhi. Uno cane, l’altro gatto. Uno incontrava sempre la sua carne nella bocca dell’altro. Uno innesto, l’altro incisore di ricordi. Uno notturno, l’altro tropicale. Uno forestale, l’altro famoso. Uno fertile, l’altro fervente. Uno visionario, l’altro veggente. Entrambi grandi, aperti. Ah, i miei occhi amati! Che coppia di bugiardi! Adesso vedo con chiarezza. Mia figlia, le mie figlie. E tuttavia la loro madre diceva: una puttana in famiglia è più che sufficiente

ANTIGONE: Quindi tu sapevi…

EDIPO: Si e no. Sai, vivo in una vasta dimora. È per questo che tutti gli imperi girano intorno a un cieco nascosto. Se no, perché credi che mi cercano. Dovunque vada, lì si muove il centro del mondo

ANTIGONE: Quindi sapevi

EDIPO: Ho sfiorato la verità un paio di volte. Le altre solo stavo nutrendo pascoli. Mammelle invertite, i miei crateri fumano la bianca menzogna che succhiano i grandi. Ovunque io vada, percuotono le eruzioni (Ride). Io sono la peste! Ovviamente sto esagerando, è inutile dirlo

ANTIGONE: Si. È perché ti spingi troppo oltre. Questo logora.

EDIPO: Quindi si nota?

ANTIGONE: Chiaro come il sole

EDIPO: Fortunatamente, per un attimo ho pensato che avresti detto come in un film

TESEO: Film, chi sei?

ANTIGONE: Il re è tornato

EDIPO: Signore, perché mi chiami in questo modo?

TESEO: So tutto sul tuo film

EDIPO: Fu Creonte che te lo raccontò

TESEO: Si

EDIPO: Bene, era la verità

TESEO: Dov’è?

EDIPO: Con me

TESEO: Mostrala

EDIPO: Anti, prendi la pellicola

ANTIGONE: Avevi detto che non la avresti mostrata a nessuno

EDIPO: Giustamente

ANTIGONE: Eccola

EDIPO: È bella, non è vero?

TESEO: Perché è pelosa?

EDIPO: Ma, mio signore. Non è una pellicola qualunque. È fatta con la pelle del petto di mio padre. La metta sopra la faccia. Agganci i capezzoli con le orecchie. Adesso ascolti.

TESEO: Allora è vero

EDIPO: Si signore. Adesso si copra il sesso con essa

TESEO: Allora era questo

EDIPO: Si, mio signore. Adesso la utilizzi come se fosse un guanto

TESEO: Allora è adesso

EDIPO: Si mio signore. Adesso si copra il petto con essa

TESEO: Ahi, ahi, non voglio la tua pelle. Vattene da qui. Ti farò deportare in un paese a tua scelta

EDIPO: Portogallo.

TESEO: Partite, rapidi. Tornerò qui a mezzogiorno e spero incontrare la sala vuota. Addio, vecchio stregone!

[…]

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Juan Carreño


Alcuni vicini approfittano dell’estate per riparare le proprie case

 

[…] È giunto il momento: si prova a riposare e sembra che la gente galleggi, e che all’improvviso già non ci troviamo qui, ma nella Alerce Norte di Puerto Montt o a Calama, Quillota: estate piena: pascoli asciutti, uomo in triciclo verde cloro, una famiglia seminuda sopra un pavimento incerato, mangiando anguria, la tele sempre accesa e le piscine di plastica nei cortili sul retro, nei giardinetti, nei camminamenti, sui marciapiedi, in dubbiose aree verdi, fuori dai blocks! un parco acquatico, un alveare di occhietti di acqua plastificati, terme popolari dove può entrare una piscina dove le acque a quest’ora sono un brodo di umani, ogni persona che si mette nell’acqua lascia la sua impronta: sudore e saliva, per lo meno. un turchese torbido che si arricchisce nell’acqua. quando gli umani smettono di rigirarsi nell’acqua, lasciando lì i propri fluidi, la piscina è abbandonata per un paio di giorni e l’acqua si calma e diventa verdognola, odora di carattere, ed è un regno a parte che inizia ad assorbire le acque stagnanti in progresso, minacciando le flore intime dei vicini. però ai vicini non importa. è come se a quest’ora niente importi, fa caldo, si possono ascoltare i tetti comprimersi, guardare come le formiche risalgono una buccia di anguria, fumare e provare vertigine, sentire nella gola una Dorada, pensare di comprare un’amaca: pensare nei droni che escono dal commissariato, in quante videocamere di sorveglianza ci sono, chi starà osservando adesso il paesaggio vuoto, vigilando una población, che a volte, come a quest’ora dell’estate, post-pranzo, si pixelizza, mentre cade il segnale.

 

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Catalina Soto Caballero

La simbologia dell'acqua è stata associata più e più volte al femminile, alle donne e all'emotività dai più diversi saperi ancestrali. Da questa idea nacque, un paio di anni fa, l'interesse per le potenzialità poetiche di questo rapporto sociale e storicamente determinato tra donne e acqua (Salinas e Becker 2022 pp 7-8): avevo bisogno di sapere quali fossero le relazioni che intuivo potessero esistere tra le questioni di genere e il recupero delle acque, azione che nel contesto cileno di un neoestrattivismo esacerbato (Svampa 2019 p 38), assume particolare rilevanza. Nello stesso tempo, mi ero resa conto di una certa tendenza presente nelle pubblicazioni poetiche di donne cilene, dove ho trovato una predominanza di immagini acquatiche legate agli affetti del corpo e dove si univano i significati materiali dell'elemento acqua con la dimensione simbolica legata all'emozione.

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Ileana Dell'Unti, Livia Flores, Alessandra Merlo, Alessandro Focareta, Eduardo A. Russo, Giovanni Festa, Alessandro Gagliardo, Alejandra Bottinelli Wolleter


Piccolo Atlas della fine del mondo

A volte le idee e la loro forza possono portare fino alla fine del mondo. A novembre dell’anno scorso insieme ad autori che i lettori di Uzak conoscono bene (Eduardo A. Russo, Gustavo Celedón, Marina de Angelis) abbiamo organizzato un congresso, che presto è divenuto un festival di parole e visioni, nella città più a sud del mondo, Ushuaia. Partecipavano studiose e studiosi, artisti e artiste, cineasti (fra gli altri, Julio Bressane, Giovanni Cioni, Alessandro Gagliardo, Andrea Fogli) cileni, italiani, colombiani, argentini, brasiliani, portoghesi, che, dal vivo o a distanza, hanno tessuto i loro discorsi o proiettato virtualmente le immagini delle loro opere verso quei ghiacci eterni dove si era perduto Gordon Pym.

Ho chiesto loro di scattare una foto di quel mondo agli antipodi e corredare l’immagine con un breve testo. Alcuni hanno accettato l’invito.


Congreso Internacional Fronteras | Área de Antropología Visual (antropologiavisual.com.ar)
 g.f.

Luigi Abiusi

Se la Terra del Fuoco è il margine più estremo del mondo (terso, gelido, quasi evanescente all'orizzonte, come un miraggio fatto, sfatto d'aria glaciale, congelante, anziché da quella incandescente del deserto: da lì, dal Congreso International Fronteras, dalla città più a sud del mondo, Ushuaia, Giovanni Festa con il suo manipolo di detective selvaggi, scrittori sudamericani, pionieri della parola e dell'immagine, ha trasmesso la manciata di fotografie e testi nati dal limite ultimo, come una faglia, una ferita aperta nel suolo da cui esalino gli umori, i fondigli immaginali), magari la provincia italiana, nel pieno dell'occidente, ne è un qualche inizio (benché corrotto dal progresso, dalla selvaggia economizzazione delle esistenze), almeno dal mio punto di vista, il territorio che ho intorno; o altrimenti l'intermezzo, l'estremo intermezzo in cui, in mezzo alla turpe spoliazione del simbolico intrinseco alle cose da parte della “cultura” contemporanea, sopravvivono retaggi di un altro tempo, di epoche rurali, forse anche ancestrali, appunto la materia del simbolo.

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Luigi Abiusi

Certo, questa invasione delle prenotazioni telematiche (che ti mettono in uno stato parossistico d'ansia già mesi prima della Mostra); la nuova prassi delle file virtuali; la coartazione a stilare un programma di visioni giorni e giorni prima delle proiezioni, senza la possibilità di improvvisare, cambiare idea all'ultimo momento, lasciarsi sorprendere da un film inatteso, impensato ecc.; il disappunto di fronte al messaggio uno e trino sul telefonino, di sale esaurite - ma poi... arrivi in una sala data per gremita e ti accorgi che è quasi vuota (ad esempio non sono riuscito a vedere un solo film della SIC quest'anno: erano proiezioni inaccessiabili, ma anche lì, dice: molti posti vuoti) -; insomma tutto questo incrina l'idea che si aveva dei festival cinematografici fino a tre anni fa.

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Cristina Piccino

La Mostra è finita, oggi si scopriranno i Leoni di questa edizione 80 caratterizzata dallo sciopero a Hollywood che ha tenuto lontane dal Lido e dal suo Red carpet le tante star presenti sullo schermo, americane e non solo. Eppure le cose sono andate benissimo, il pubblico è risultato in aumento, e quello che fa davvero piacere è scoprirlo giovane e appassionato. Sul Lido dove splende un sole estivo è iniziato già da qualche giorno il rumore di valigie, il giardino del Quattro Fontane, luogo di incontro dell’Industry di produttori e tv si è svuotato, sui canali i barchini dei ragazzini di qui pompano musica techno comunque vada migliore della colonna sonora di fronte al Palazzo del cinema che ha accompagnato i pomeriggi di questi giorni.

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Luigi Abiusi

Espressionismo e Neorealismo, un Neorealismo posteriore: lo stridore, l’urto derivanti dallo scontro di placche immaginifiche, figure a contrasto, secche soluzioni cromatiche, secrezioni d’audio che lasciano sul terreno dello scontro (sulla superficie del piano) lamiere taglienti, grondanti di iconoplasma, sagome tranciate di netto, fracasso di ferraglia; e la pietas di un cinema nudo, "povero", rastremato fino all’osso dell’esistere, fino a un’urgente essenzialità del segno; questo pare essere lo statuto proprio di Hokage (Shadow of Fire) di Shinya Tsukamoto, presentato nella sezione «Orizzonti» della Mostra di Venezia appena terminata.

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Esteban Luciano Juárez

(Trad. Giovanni Festa)

Il lucchetto viene rotto con un spranga, il legno che copriva la porta viene rimosso e il fienile si apre lentamente. Pochi secondi dopo la luce raggiunge il primo zombie, un contadino in tuta blu che ruggisce come un animale mentre fissa lo sguardo su quelli che aspettano fuori, e molti altri emergono dall'oscurità. Uno dopo l'altro, i mostri vengono abbattuti dagli spari degli umani. L'uccisione, se così si può chiamare, continua con totale normalità e termina in pochi secondi.

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Giovanni Festa

Una coppia viaggia in una jeep scoperta, nel mezzo della selva. Chiacchierano. Il meccanismo del campo e controcampo mi fa pensare a Marlowe-Bogart e Vivian-Bacall, anche loro in auto, nel Grande Sonno (1946) di Hawks. Ma la nostra coppia, che viaggia sulla strada malmessa di un'isola tropicale, sembra in cattive acque: dopo aver trovato la loro personale Key Largo nelle Filippine, è impegnata a fuggire da tutti quelli che dal "grande sonno" si sono appena svegliati: i morti viventi.

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Davide Di Giorgio

Il cinema, da sempre, è affascinato dall'apocalisse: non tanto come concetto che induce a un confronto con la fine – essenziale nella dialettica vita/morte, prima/dopo che si viene a instaurare con un dispositivo che registra immagini già “passate” nell'atto di essere filmate e quindi da riportare alla vita – quanto per la sua implicita capacità di farsi fonte di visioni.

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Gustavo Celedón Bórquez

(Trad. Giovanni Festa)

L'Occidente ha voluto liberarsi dei rifiuti e solo uno scarto poteva sostenere l'Occidente. Non diciamo l'umanità, ben lo sapeva Foucault, questa è un'invenzione kantiana, liberale, cioè occidentale. Non è nemmeno un chip, come lo conosciamo ora, è un maledetto rifiuto, una spazzatura spaziale, piccola, condensata, rugosa come una carta dentro la mano. Ti ricordi cos'era una carta? Perché so che a malapena ricordi cos'è una mano. È un rifiuto del quale si assicurarono che, perso nello spazio, almeno il suo percorso errante girasse a vuoto su un asse fittizio. Erra in loop, per la felicità dei suoi antenati.

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Alessandro Focareta


«L'orrore è un sentimento assai energico; il corpo è in uno stato di estrema tensione,

quando pure non sia snervato dalla paura.»

(Sir C.Bell, Anatomy of Expression)

 

«Vidi un fabbro, ritto, colla bocca aperta, che divorava avidamente le storie d'un sarto»

(Shakespeare, Re Giovanni - atto IV, scena II)



Se per Ortega y Gasset «La biografia è un sistema nel quale le contraddizioni della vita umana trovano la loro unità» il documentario David Lynch the Art of Life (1) (2016) è la diretta manifestazione di questa citazione. Di fatto nel film il regista di Velluto Blu ricostruisce a braccio le diverse tappe della sua vita pre artistica.

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Marika Consoli

HERVÉ GUIBERT/TABLE DE TRAVAIL "FANTÔMES", RUE DU MOULIN-VERTN.D.


«Wir sind Fantome»

(Carl Einstein)


Connettere parola e immagine, su cui teorizzava Hervé Guibert caricando di segni quel luogo intermedio di gestazione dell’opera che si identifica, nonostante il vuoto, con il “traghettamento” tra essa e la scrittura, si lega alla percezione di un attraversamento del buio, di quello che Emanuele Trevi nell’introduzione a L’immagine fantasma definisce «spazio narrativo» mentre cita, oltre Nadja di André Breton, La camera chiara di Roland Barthes.

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Luigi Abiusi

Ci sono dei temi e delle forme cinematografici (forme e temi strettamente connessi tra di loro) che negli ultimi tempi percorrono, spazzano l'Europa dalla Germania al Portogallo alla Danimarca, all'Italia, lasciando la loro scia eccentrica, fosforica, come un'incrinatura nella concezione narratologica del cinema.

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Giovanni Festa

Alessandro Saturno, Piccola nuvola - 2021, acrilico e olio su tela, 30x50cm

Il testo è apparso nel catalogo della mostra monografica “Alessandro Saturno. Forme dell'Assenza”, a cura di Don Gianni Citro ed edito per le Edizioni C.R.E.A. La mostra è in corso fino al 9 settembre nel Palazzo Santa Maria, a Camerota, un borgo medioevale nel cuore del Cilento. Abbiamo pensato di aggiungerlo alla fine di un Dossier su Presenze e Morti che ritornano, come se le opere di Alessandro Saturno formassero gli ultimi frame, in dissolvenza continua, di questa nostra breve “storia di fantasmi per adulti”.


A volte, per cercare di avvicinarci a qualcosa di complesso, è utile cominciare servendosi di un'immagine semplice. A tutti noi sarà capitato di fare una gita in barca in una baia e, durante il tragitto, di sporgerci dal parapetto per scrutare il mare. All'inizio non vediamo altra cosa che il riflesso screziato dell'acqua, le venature verdi, blu scuro, gialle, che attraversano la superficie azzurra dove si deposita anche lo scuro bituminoso delle ombre. Poi, come un'immagine che si definisce nella lontananza, o nel ricordo, ecco apparire il nostro volto. Ma non come lo vediamo in uno specchio (conservando l'accezione "difettosa" della Lettera paolina): al contrario, i suoi contorni sono instabili, i tratti liquidi, i colori diversi, il volume diventa diafana trasparenza.

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Giovanni Festa

Un uomo anziano, un po’ curvo, esce dalla casa dove vive, un piccolo alloggio prefabbricato di una periferia americana qualsiasi: lo vediamo in abiti da città, con cappello e cappotto, e immaginiamo stia uscendo per sbrigare qualche faccenda (e, dato il sole, che sia “freddoloso”). L’uomo cammina lentamente, sembra scosso, e fa qualcosa che non ci aspettavamo: si blocca all’improvviso (e la macchina da presa, in maniera involontariamente poetica, indugia un istante prima di mostrarci il motivo della sosta). L’anziano si è fermato ad osservare il cespuglio di rose nel portico e si china per coglierne e odorarne una, avvicinandola al volto, mentre la voce over racconta che i fiori furono piantati dall’amata moglie morta.

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