Vanna Carlucci

Parafrasando Berger, l'uomo che guarda è costantemente soggetto ad una tentazione, a quell’attrazione che lo porta a provare il sentimento di una caduta, di immaginare, di concepire l’altezza da cui l’evento accade. Il filo teso è il taglio netto, orizzonte che separa i due mondi e tra un lassù e un quaggiù qualcosa si compie.

Si diventa dimentichi di noi stessi - vorrebbe dire papà Rudy - quando, a testa in su (a sguardo in su) lo spettacolo incomincia. Così come il funambolo ne ipotizza continuamente la possibilità, anche chi guarda è preso da una specie di shock emotivo per cui la mente improvvisa forme: la maglia di Petit cade nel vuoto e tutti ne sono terrorizzati, chi sta precipitando? Cade la forma, cade l’ipotesi di un’immagine, non  Petit. Sonnambuli e funamboli  toccano entrambi il filo, si tengono in equilibrio, giocano a mosca cieca, guardano nel vuoto (dall’alto e dal basso), ci credono tanto da inghiottirlo, ne ipotizzano un’estensione, una massa, l’indefinibile profondità o altezza in un movimento che dialoga con la gravità: sembrerebbe di entrare in contraddizione ed è così se si pensa che, se dall’alto il funambolo afferra l’abisso nei suoi piedi, lo fa suo e, da questa superficie vertiginosa, ne ipotizza voli e salite cercando di toccare il cielo pur non toccandolo mai, chi osserva è in estasi quando qualcosa di straordinario sta finalmente per (ac)cadere. Non esiste spettacolo senza spettatori - ripete papà Rudy a Petit - non c’è opera che possa realizzarsi per davvero senza colui che ci posa lo sguardo sopra come, daltronde, è sempre e solo un tentativo, l’arte: di avvicinarsi il più possibile alla vertigine, all’infinito aereo.

Il fatto stesso di decidere di tendere il filo di notte quando il mondo ancora dorme, incosciente della vita fuori, dell’incoscienza della vita, il funambolo si muove nell’oscurità e crea. All’alba, in questo momento particolare del giorno (o della notte), nel dormiveglia dell’uomo, il sogno prende forma, un sogno mistico in cui l’anima può perdersi su questo andirivieni del filo onirico. Giocoliere del cielo, Petit costruisce il varco che conduce al di là, come quando a luci spente si entra nel buio e dentro un cinema si aspetta che qualcosa accada o che una luce fantasma cada nel vuoto, oltre bordo, dentro e fuori lo schermo e ti porti via con sé, nel sogno. Zemeckis con l’abilità di un prestigiatore inventa l’aria, disegna linee, crea la leggerezza dei corpi, insegna il volo e la caduta, dirige il cielo e le sue continue metamorfosi: è il funambolo bambino, colui che sogna di tenersi in piedi controvento e di afferrare, nella carezza bianca di una piuma, l’immagine distante del cielo (Forrest Gump), quella sindone catturata nel disegno di un’impronta, nella rotondità di una forma che è diventato volto e che è sangue umano (Cast Away); un volto che, direbbe Florenskij, non avrebbe altro significato se non quello di cercare di svelarci continuamente l’immagine  di Dio e ritornante, poi, nel presagio della fine mentre un aereo cade a precipizio nel vuoto (Flight) e di vederla ancora l’altra faccia della vita e della morte in questo desiderio pulsante del gioco, del sapersi liberi di perdersi nell’impossibilità della visione, in questa cecità del nulla. Un passo alla volta, il funambolo apre le sue braccia al cielo, scivola sul filo che vibra, s’inginocchia, gli rende omaggio, si sdraia capovolgendo lo sguardo, capovolgendo il tempo, così come in Flight si vira precipitando con gli occhi al cielo.

Zemeckis come Petit sono alieni che non riconoscono né terra né patria: non è Parigi, non è New York, è nello spazio deserto dell’aria, il “campo d’atterraggio per vascelli extraterrestri” e un passo in più sul filo diventa sguardo che si allontana dal visibile, i contorni delle torri si perdono, la città scompare per entrare nell’immaginario. Petit è Zemeckis come Zemeckis è Petit in questo concepire «nella creazione artistica l’anima sollevata dal mondo terreno [che] entra nel mondo celeste[...]» (Florenskij, p. 34): «l’arte è un sogno sostenuto» e la fune come il cinema (come la zattera, l’aereo o la DeLorean) diventa luogo di frontiera, punto di contatto per nuove visioni.


Bibliografia

Berger J.(2010): Presentarsi all'appuntamento. Narrare le immagini, Libri Scheiwiller, Milano.

Florenskij P. (2014): Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano.


Filmografia delle opere citate di Robert Zemeckis

Forrest Gump (1994)

Cast Away (2000)

Flight (2012)

The Walk (2015)