Leonardo Gregorio

altUn alito di vento, una bufera. Paul Vecchiali ha portato il suo cinema caldo e freddo, ossimorico, ostinato e libero alla ventesima edizione del "MedFilm Festival" di Roma, che lo ha celebrato conferendogli il Premio alla Carriera. Qui ha presentato in anteprima,  nella sezione “Le Regard des Autres”, il corto La cérémonie e il lungometraggio Faux accords, oltre a riproporre il suo bellissimo Corps à coeur (Corpo a cuore, 1979). Un film che, insieme a Rosa la rose, fille publique (Una donna per tutti, 1986)  e a Encore – Once more (Once more – Ancora, 1988), forma un ristrettissimo gruppo di titoli riusciti a varcare, con la distribuzione, le sale italiane.


Tasselli di un cinema radicale e potente, quello di Vecchiali, nato ad Ajaccio 84 anni fa, al debutto dietro la macchina da presa nel 1961 con Le petits drames (1961), dopo le esperienze da insegnante e da aiuto regista. Tasselli di un cinema indipendente, dolce e violento insieme, che ha saputo inventare L’etrangleur (1970), Femmes, femmes (1974), La machine (1977), Trous de mémoire (1985), Le café des Jules (1989), Wonder Boy – De suer et de sang (1994), Zone franche (1996), À vot’ bon coeur (2004), Les gens d’en-bas (2010). Vecchiali, cineasta del melodramma, soprattutto. E di convergenze da camera, tragiche, noir, fantastiche, comiche, erotiche, oniriche. Faux accords sono gli scarti – «il titolo gioca con i falsi accordi e falsi raccordi, spiega il regista – che scivolano su più livelli: fra le parole, fra i corpi dei personaggi e gli spazi, fra l’assenza e la presenza, fra la verità e la bugia. Fra la vita e la morte, e l’immaginazione, un lutto (di un uomo interpretato dallo stesso Vecchiali) da elaborare per la perdita del compagno e la scoperta, attraverso un computer, delle sue fughe “virtuali” dalla coppia; il resto sono frammenti di dialogo amoroso che diventano corpi. Ne La cérémonie, invece, l’uomo e la donna sono due Ipotesi, la 1 e la 2, che scorrono, che vivono. Ripetizioni e variazioni. In quel cinema dell’autore corso che – come scrive Edoardo Bruno – è «uno spazio chiuso, nella claustrofobia in un’esasperata frontiera del dentro e, al tempo stesso, nella intimità, aperta alle improvvise amicizie, agli incontri, ai contatti». Il cinema, ancora. Ancora la vita.

Paul Vecchiali, cominciamo dalla fine, dalla scena che chiude il suo nuovo film, Faux accords: dopo tante parole immaginate, “virtuali”, c’è la materializzazione di una fisicità, di un contatto reale, il protagonista si riappropria del suo compagno, nella sua unica sostanza ormai possibile, si copre il petto con le sue ceneri.

Come indica l’inizio del film, si tratta di un rebus cinematografico, dunque è lo spettatore che sceglie. Per me, quel gesto equivale a una sorta di atto di perdono, ma sono possibili molte interpretazioni diverse.

Anche il finale di Corps à coeur, in un certo senso, è simile: un’altra riappropriazione ma in una dimensione diversa, “onirica”. Dopo la morte della donna, c’è questo “ritrovarsi” dei due amanti, c’è lei che corre incontro a lui.

Sì, è vero, ma la scena di Corps à coeur è meno “aperta”, è più immediata, più chiara: lui non accetta la morte di lei, ed è come se la facesse “rinascere”. La fa tornare. In Giappone si dice che quando i morti tornano a vivere, arrivano di spalle. Anche noi all’inizio vediamo la donna di spalle. In Faux accords, invece, non c’è un vero e proprio senso nel gesto del protagonista, né viene spiegato. Il senso più diretto, però, se vogliamo, è che quest’uomo, dopo aver scoperto le evasioni “virtuali” del suo compagno, è come se gli dicesse: ho capito e va bene tutto, sei ancora il mio amore.

Cosa significa la dicitura «Antidogma 9» che apre Faux accords?

altÈ qualcosa che nasce da À vot’ bon coeur. Mi dà fastidio il Dogma, che è un trucco, una cosa orribile, una bugia, il Dogma di Lars von Trier è una menzogna. Ma, tralasciando questo, per me Antidogma vuol dire prima di tutto libertà assoluta. Mi ricordo che negli anni Settanta Jean Eustache diceva che non si potevano più fare i carrelli indietro, ma solo carrelli laterali. Però anche un’inquadratura fissa è, sempre, comunque, un effetto cinematografico. Alla fine, allora, ha ragione Godard quando dice che a essere fondamentali sono il quando, il come e il perché di una scelta, di una soluzione formale. Ma si può fare tutto, non dev’esserci nessun divieto prestabilito.

E ha girato Faux accords con l’iPhone, questo mi ha fatto pensare a Roger Odin quando scrive: «Con il videofonino è giunta l’era del linguaggio cinematografico». Questo non cambia, aggiunge, la natura del cinema ma il suo statuto. Cosa ne pensa e cosa ha prodotto linguisticamente, per lei, girare con l’iPhone? Qual è stato il suo approccio a questo mezzo?

Non lo conosco, chi è Roger Odin?

Un teorico francese…

Perché, esistono ancora?

Qualcuno sì.

Ah, va bene. In realtà è stato il mio direttore della fotografia (Philippe Bottiglione, ndr) a propormi questa scelta. Inizialmente ero poco convinto, anzi contrario, poi ho pensato che poteva essere, all’opposto, una buona idea. Tutta la prima parte del film e le immagini del mare sono state girate con l’iPhone;  la seconda parte, quella che ci porta nell’immaginario del protagonista, è stata girata con una Canon 5D senza obiettivi cinematografici, adoperati invece in Nuits blanches sur la jetée, che presenterò al festival di Locarno. Lì, il giorno è girato con l’iPhone, mentre la notte con la 5D con obiettivi cinematografici. Sono Le notti bianche di Dostoevskij, ovviamente, e trovo che i film che ne hanno tratto Visconti (Le notti bianche, 1957, ndr) e Bresson (Quattro notti di un sognatore, 1971, ndr) siano straordinari. Ho riletto non solo il romanzo, ma praticamente tutto Dostoevskij e ho scoperto che, in quei due film, Visconti e Bresson hanno apportato anche parole di altri romanzi e racconti dell’autore. Per quanto mi riguarda, in Nuits blanches sur la jetée, ho cercato di realizzare un ritratto di Dostoevskij; il protagonista si chiama, infatti, Fëdor. È qualcosa di diverso, insomma, rispetto a ciò che hanno fatto Visconti e Bresson (grandissimi film, ripeto). Ma non mi va proprio di mettermi in “concorrenza”, né vanno cercati paragoni, sarebbe un esercizio inutile, ingenuo.

Con Faux accords ha presentato anche il corto La cérémonie, che tra l’altro condivide in parte gli stessi attori del lungometraggio. I due lavori sono,  in qualche modo, complementari? Li ha girati insieme?

No, ho girato contemporaneamente La cérémonie e Nuits blanches sur la jetée, che condividono anche gli stessi protagonisti, Pascal Cervo e Astrid Adverbe. La troupe è in sostanza la stessa, naturalmente più ridotta nel cortometraggio. Giravamo di notte e di giorno, ma non è la prima volta che mi capita di girare contemporaneamente un lungo e un corto, qualche volta è successo anche di girare due lungometraggi nello stesso momento. Ho immaginato la storia di La cérémonie molti anni fa, per Jean-Christophe Bouvet che ha recitato in molti miei film. Poi, e non ricordo neanche più perché, non se n’è fatto niente. È passato molto tempo e ho ritrovato un pezzo di carta, con poche parole, e mi sono detto che avrei dovuto farne qualcosa, sviluppare quelle poche idee sommarie. Allora ho scritto la prima Ipotesi, quella dell’Uomo, e ho mandato il materiale agli attori che avevo scelto. Astrid, a cui avevo pensato inizialmente solo per la donna che l’uomo incontra nella prima Ipotesi, mi ha chiesto: «Perché non ne giri un’altra, al femminile, con me?». Insomma, desiderava soprattutto una scena insieme a me, che interpreto la figura del padre. Mi ha convinto subito. La cérémonie da quel pezzo di carta è diventato qualcosa. In questo periodo sto scrivendo una mia autobiografia e il capitolo finale si chiamerà "Sogni in movimento": comprenderà tutti i miei progetti rimasti irrealizzati.

E qualche anno fa ha dedicato anche un volume al cinema francese degli anni Trenta (L’Encinéclopédie. Cinéastes "français" des années 1930 et leur œuvre, ndr). Cosa c’è dentro?

altCi sono i sentimenti, i personaggi, gli universi di quei film. È un po’ come se io fossi nato dentro quel cinema e quello della Nouvelle Vague. Un critico italiano ha scritto che il mio cinema ha colmato lo spazio tra Jean Renoir e Godard. Certo, amo Renoir, film come Partie de campagne (La scampagnata, 1936, ndr), e La Marseillaise (La Marsigliese, 1938, ndr) sono capolavori, ma penso ad esempio che Le carrosse d'or (La carrozza d’oro, 1952, ndr) sia un film bruttissimo. Ecco, quando vedo Occupe-toi d’Amélie..! (1949, ndr) di Claude Autant-Lara, con Danielle Darrieux e Jean Desailly, mi sembra molto superiore al film di Renoir sullo stesso soggetto: il teatro e il cinema. Il film di Renoir è molto banale e stupido, nonostante la Magnani, attrice che amo molto ma che trovo inadatta per quel film. Lei per me è straordinaria in un altro film, di Claude Autant-Lara, ancora, Le magot de Josefa (La pila della Peppa, 1963, ndr). Mi viene in mente il Truffaut critico cinematografico che se la prende col cinema del passato, condannando gli Autant-Lara ed altri (il suo era una sorta di “toglietevi e fatemi spazio”), ma difendendo allo stesso tempo i Renoir… Ho davvero amato Truffaut come uomo, molto meno come cineasta: i suoi film, in buona parte, sono peggiori di quelli che ha attaccato.

Ci sono registi del presente che lei considera fondamentali?

Sì, Laurent Achard.

A cui Faux accords è dedicato…

Esatto, è il migliore della sua generazione. Lui, oggi, è fra i registi fondamentali, insieme a Godard, ovviamente, e a Marie-Claude Treilhou. Avrei detto anche Alain Guiraudie, ma L’inconnu du lac (Lo sconosciuto del lago, 2013, ndr) è un orrore. Un orrore e un errore.

Proviamo allora a tornare a Faux accords e a La cérémonie. Ha sempre sostenuto quanto sia per lei fondamentale la musica nei suoi film, ma mi sembra che anche il suono abbia un ruolo centrale.

Sì, soprattutto in Faux accords è così, perché il montaggio è costruito sul suono, non sulle immagini. È tutto suono in diretta: per me era importante realizzare qualcosa che fosse molto reale in quella che diventa una trasfigurazione della vita. Io non sono mai alla macchina da presa, sono vicino, ciò significa che lavoro nello spazio, non nella inquadratura. Perché gli attori vivono nello spazio, che è anche uno spazio sonoro. Nella prima parte del film ci sono dei suoni molto precisi,  come il cucchiaio che batte sulla porcellana, il rumore del coltello che taglia la patata. Si tratta in questo caso di un suono molto pulito, puro. Quando invece si entra nell’immaginazione del personaggio, nella seconda parte del film, il rumore diventa molto presente. Che so, passava un’auto? Io continuavo a girare, registravo tutto. Falsi accordi, la realtà e la sua trasfigurazione.

Anche in La cérémonie, però, il suono è importante. Penso soprattutto ai finali dei due episodi, delle due Ipotesi, c’è quasi una danza sonora, quella del vento, che assume una dimensione, per così dire, totalizzante.

Certo, è quella la musica del film.

È interessante il suo mettersi in scena come attore in alcuni suoi film. Accade ne La cérémonie, ma soprattutto, da protagonista, in Faux accords.

altBeh, sì, significa prima di tutto che c’è una persona in meno da pagare, no? In realtà, quando mi sono visto in À vot’ bon coeur ho pensato di essere un attore bruttissimo, pessimo. Secondo Godard, invece, ero perfetto e quel film era un miracolo. Pian piano sono migliorato sempre di più: in Ritorno a Mayerling (2011, ndr), ad esempio, credo di essere stato bravissimo. Ecco, non sono un grande attore ma un attore vero. E infatti recito anche in Nuits blanches sur la jetée.

Mi piacerebbe tornare per un momento a Corps à coeur. Com’è cambiato nel tempo per lei questo film?

È cambiato molto, c’è molta morte oggi in Corps à coeur per me, è difficile rivederlo. Penso soprattutto a Hélène Surgère, che qualche tempo prima di morire ha fatto il suo ultimo film con me, Les gens d’en bas, nel 2010: ricordo le sue ultime parole in quel film, le sue ultime parole al cinema: «Forse sono un fantasma». Se pensiamo alle mode e ai gusti, Corps à coeur non è un film della sua epoca, come tutti i miei film, del resto. Certamente Corps à coeur riflette un’epoca, un contesto determinato. È solo questo che cambia un film nel tempo, credo, non il cinema che esprime.

Edoardo Bruno, a proposito del suo cinema, ha scritto: «Il melodramma costituisce per Vecchiali quello che per Genet era la drammaturgia del circo». È d’accordo?

Adoro Genet, uno dei più grandi autori francesi, è meglio di Proust. Genet è irriproducibile e credo che anche il mio cinema lo sia.

Un cinema che di certo vive in «un universo chiuso» ma, al contempo, è anche fatto di sconfinamenti, tra la vita e il cinema, il melodramma e altri generi, sconfinamenti fluidi che diventano coesistenze.

È così, ma non so spiegarlo, è qualcosa che è in me. Mi è impossibile, ad esempio, ripetere lo stesso film. Subito dopo Rosa la rose, fille publique, ho ricevuto quasi quaranta script, e ho sempre dovuto rispondere: no, grazie, l’ho già fatto. Il mio immaginario è sempre in attività, è qualcosa legato alla vita, a ciò che vivo, che sento. Qualcosa che poi diventa un film e a volte sorprende anche me.

E cos’è per lei il cinema, oggi?

Niente di diverso rispetto a quando ho iniziato: non posso vivere senza il cinema.


*Ringrazio Giulio Casadei e Antonio Pettinelli  per il loro determinante contributo.


Bibliografia

Bruno E. (2006): Ritratti autoritratti, Bulzoni, Roma.

Odin R. (2010): È giunta l'era del linguaggio cinematografico, in «Bianco e nero», 568, Carocci editore, Roma.

Vecchiali P. (2010): L’Encinéclopédie. Cinéastes "français" des années 1930 et leur œuvre, Editions de l’Oeil, Montreuil.


Filmografia di Paul Vecchiali

Le petits drames (1961)

L’etrangleur (1970)

Femmes, femmes (1974)

La machine (1977)

Corpo a cuore (Corps à coeur) (1979)

Trous de mémoire (1985)

Una donna per tutti (Rosa la rose, fille publique) (1986)

Once more – Ancora (Encore – Once more) (1988)

Le café des Jules (1989)

Wonder Boy – De suer et de sang (1994)

Zone franche (1996)

À vot’ bon coeur (2004)

Les gens d’en-bas (2010)

Ritorno a Mayerling (2011)

Faux accords (2013)

La cérémonie (2014)

Nuits blanches sur la jetée (2014)


Filmografia degli altri registi

La carrozza d’oro (Le carrosse d'or) (Jean Renoir 1952)

La Marsigliese (La Marseillaise) (Jean Renoir 1938)

La pila della Peppa (Le magot de Josefa) (Claude Autant-Lara 1963)

La scampagnata (Partie de campagne) (Jean Renoir 1936)

Le notti bianche (Luchino Visconti 1957)

Lo sconosciuto del lago (L’inconnu du lac) (Alain Guiraudie 2013)

Occupe-toi d’Amélie..! (Claude Autant-Lara 1949)

Quattro notti di un sognatore (Quatre nuits d'un rêveur) (Robert Bresson 1971)