Raffaele Cavalluzzi

The MasterFreddie, il protagonista di The Master (di Thomas Anderson), sarebbe di regola un caso clinico: quello di un marinaio americano disturbato, reduce dalle battaglie delle isole orientali del secondo conflitto mondiale, che si rifiuta di essere curato da medici e psicanalisti. La sua adolescenza era stata alquanto torbida nella banalità del male (il padre morto ubriacone, la madre ricoverata in manicomio, una zia con cui condivideva un sesso precoce e incestuoso): e ora solo intrugli di liquori e droga lo accompagnano nell’oscuro viaggio intrapreso nel mondo ostile del dopoguerra. Rifugiatosi per caso su una piccola nave di crociera, qui incontra – ed è ben accetto – il capo di una curiosa setta religiosa, che predice una sorta di metempsicosi e di mistici rituali che travalicano le leggi della scienza e dei comuni comportamenti di accoglienti salotti borghesi. Il film diventa a questo punto un corpo a corpo tra Freddie e il “maestro” Lancaster Dobb, che si rivela capace di attrarli straordinariamente l’un l’altro. Quindi la loro è solo apparente differenza: alla paranoia anche violenta di Freddie corrisponde l’alienazione religiosa che sublima la smodata ambizione e l’avidità dell’altro.


Come per tutti – afferma Dobb – i loro corpi sono soltanto involucri provvisori che contengono spiriti che in realtà fluttuano nel tempo e nella memoria di ciò che in altre epoche essi sono stati. Per questo, in sostanza, loro due, in modo diverso, cercano la libertà. E Freddie sembra trovarla fuggendo un giorno, su una motocicletta in un deserto dell’Arizona, dalle ridicole aberrazioni della setta, e tornando a cercare Doris, la dolcissima adolescente, di cui un giorno si innamorò e la cui lettera giuntagli inattesa, all’epoca della guerra, su una nave in rotta sul Pacifico, per una volta – solo per una volta – lo aveva fatto piangere. Ma Doris è ormai altrove, lontano dal paesino del Massachuttes che li vide sfiorati dalla casta passione giovanile, e Freddie non potrà, se lo vuole, neppure più ritornare da Dobb che in Inghilterra dirige ormai un lussuoso college di formazione di rampolli di ricchi proseliti: nessuno si sottrae al dominio di un destino cieco, e loro due vissero insieme al di qua delle linee del fronte – il “maestro” gli rivela in un ultimo colloquio – solo all’epoca della guerra franco-prussiana come poetici addestratori di piccioni viaggiatori per i servizi segreti. Si tratta ora di viaggiare per il mare aperto e senza meta della vita, rinunziando al ogni cura e risanamento, se non, occasionalmente, nel caldo sesso che è stata l’ossessione sublimatrice di un’esistenza radicalmente frustrata.

Il film di Anderson, in questa complessità della vicenda narrata, non si sottrae dall’imbattersi in diversi grumi irrisolti di situazioni: una qualche banalità di luoghi comuni nell’indicazione delle cause lontane della follia, l’eccessiva rapidità di accenni ai risvolti sessuali delle pratiche religiose (persino quelle alluse dal falso puritanesimo della moglie del fondatore della setta – la bravissima Laura Dern – o da un tentativo di approccio della figlia ancora di lui, giovane sposa evidentemente inssoddisfatta), l’oscura consequenzialità di alcuni ellittici passaggi della sceneggiatura e del soggetto originale. Ma, giacché si parla molto, e a ragione, dell’eccezionale istrionismo da attore non protagonista di Philip Seymour Hoffman (il maestro), va detto che il film (con l’aiuto di una colonna musicale che turba e coinvolge sistematicamente) si incentra soprattutto su Freddie (Joaquin Phoenix), sui suoi insistiti primi piani, sul suo corpo rinsecchito dalla follia e dalla dipendenza e reso quasi goffo nelle sue forme contratte, nella mimica inarrivabile dei tratti tiratissimi del suo volto, quasi sempre inquadrato per scorcio in una sorta di disgusto famelico della vita.


Filmografia

The Master (Paul Thomas Anderson 2012)