Massimo Causo

altLa pesantezza del corpo, o meglio la sua gravità, il suo essere parte del Tempo, della Storia, incardinato nelle pietre, nei luoghi e nelle loro ombre, nei silenzi che scolorano tra il presente, qui ed ora, e l’arcana arcaicità dei gesti. Nel cinema di Marco Bellocchio la fisicità dell’essere è il richiamo indistinto di una morale deviata dell’esistere, una sorta di contraddizione rispetto all’ontologia di quel divenire quotidiano che è funzionale alla risposta di una morale storicizzata e dunque acquisita. Il corpo in Bellocchio sta tra l’astrazione ipotetica di una crisalide che giace immota, la furba sfuggevolezza della farfalla che irride la forza di gravità della sua stessa leggerezza, e la greve e immota definizione della carcassa, che giace nel suo grido ammutolito.


Sangue del mio sangue è, in questo senso, la configurazione ad un tempo teorica e arcana di una storia che appartiene a Bellocchio nella sua stessa fisicità («A me è parso che il motivo profondo sia stato di voler ritornare in modo indiretto e “trasfigurato” su una storia tragica che ha segnato la mia vita e cioè la morte del mio fratello gemello» [Marco Bellocchio, in “Note di regia”, Pressbook di Sangue del mio sangue, p. 7, ndr]), la risposta a una pulsione di infinito che si incarna nel vissuto familiare (nel senso del sangue e in quello dell’abitudine...) di un luogo che corrisponde alla sua stessa fisicità, alla sua incarnazione nel tempo di biografie note, ignote e scoperte, annalistica di pietre e sangue in cui far risuonare tutto il suo cinema (incredibile la sottovalutazione del film in cui sono inciampati in molti, come fosse un’opera minore nella filmografia bellocchiana!).

In Sangue del mio sangue risuona sin dal titolo l’idea di una incarnazione che è discendenza, dipendenza, appartenenza radicata nel più profondo delle ragioni storiche e carnali dell’esistere: questo è un film che oppone il potere al desiderio e lo fa nella sfera di una fisicità che è Tempo, Spazio, Vita, Storia. Il corpo di Benedetta è funzione e vittima del potere: esercita su Federico e su tutti gli astanti la purezza di un’attrazione carnale, secolare, che è desiderio ma anche idealizzazione assoluta nella sua fermezza, nella irremovibile ostentazione di sé. La sua insistenza sul presente, sul qui ed ora, silenziosa e intangibile per quanto manipolata possa essere, è quella di una bella addormentata che giace in se stessa, immota alla vita, separata dal tempo e dallo spazio. La sua passione, al contempo, è la passio di un corpo che sottostà al potere fisico, secolare, che inanemente cerca di possederla, forzarla, aprirla e dichiararla. Bellocchio intinge ogni frammento del suo film in questa dualità intrinseca che sta tra il sangue e il sangue, una disfunzione del presente che illude la Storia con le lusinghe di una impossibile appartenenza.

La verità più assoluta che viene fuori da questo film e si riversa su tutto il cinema di Bellocchio è proprio l’incapacità del Presente di appartenere alla Storia, che poi è l’urlo silenzioso su cui si chinano Buongiorno, notte, Vincere, La balia, L’ora di religione e infondo tutti i suoi film. Sangue del mio sangue è stretto nel dissidio interno di una dualità che azzera gli opposti e silenzia il Tempo, ponendolo di fronte alla sua inutile presunzione: Benedetta uscirà dal suo bozzolo calcareo così come il Conte svaporerà nel silenzio dell’alba di Bobbio, ma per arrivare a questo dovremo insistere sulla inutile verità che scaturisce dal loro confronto con quel presente cui (non) appartengono, da cui sono attratti e in cui sono astratti... Il loro essere punto di equilibrio della realtà in cui stanno, silenziosi e immoti, è la funzione di un disequilibrio che agita e confonde tutti attorno a loro, azzerando la morale, stremando le regole. Il gioco infinito dell’esistere è per loro lo specchio di una finitezza cui non appartengono, ma alla quale per inverso fanno riferimento nel momento in cui tengono per mano la verità di chi li circonda.

Bellocchio incide il suo film di questa sfuggente corazza semantica che dualizza, come in uno specchio, la fermezza di ogni elemento, la stabilità di ogni corpo, la verità di ogni atto. Sangue del mio sangue è un film che discende da se stesso e in se stesso si verifica, insistendo sulla volumetria esistenziale e biografica di uno spazio che è assoluto e implicito rispetto al suo cinema: quella Bobbio che resta punto di fuga e illimitata prospettiva della vita. La stessa pulsione d’ordine su cui il regista chiude il film, quella schiera di volanti della polizia che irrompe nello spazio astratto di Bobbio, è il lapsus cercato e voluto di un ridicolo potere inturgidito nella sua rilucente impotenza, lo sberleffo secolare che corrisponde alla patetica manipolazione del corpo di Benedetta da parte dei frati in cerca del virus del male...


Filmografia delle opere citate di Marco Bellocchio

La balia (1999)

L’ora di religione (Il sorriso di mia madre) (2002)

Buongiorno, notte (2003)

Sangue del mio sangue (2015)

Vincere (2009)