Giampiero Raganelli

lavReduce dall'entusiastica accoglienza a Cannes con il suo ultimo lavoro, Norte, the End of History, Lav Diaz si conferma come uno degli autori di punta del cinema mondiale. Lo abbiamo incontrato a Milano in occasione del festival “La Milanesiana”.
(a cura di Matteo Marelli)




Il tuo cinema inizia con Dostoevskij, con una frase citata da Delitto e castigo, usata come esergo nel tuo primo film, Serafin Geronimo: Criminal of Barrio Concepcion, in cui il personaggio di Serafin Geronimo incarna la figura di Raskolnikov. In Death in the Land of Encantos il protagonista espone un suo racconto, ispirato a una storia vera di un uomo condannato ingiustamente, che lui stesso definisce un apologo morale di stampo dostoevskiano. E ora, con il tuo ultimo lavoro, Norte, the End of History, riprendi fortemente temi dostoevskiani. Precisamente nella figura di Fabian, un altro studente di legge, un altro omicida impunito, un altro Raskolnikov. Puoi dirci qual è il tuo rapporto con il grande romanziere russo e qual è l'importanza che riveste per il tuo lavoro?


Sono cresciuto leggendo Dostoevskij perché mio padre è un intellettuale e ama molto gli scrittori russi, e, crescendo, vedevo questi libri nelle biblioteche di casa e una volta cresciuto, all'epoca del liceo e dell'università, ho anche iniziato a leggerli. Dostoevskij, Tolstoj. Il retaggio che si trova nei miei film infatti è uno svolgimento molto letterario, da romanzo.

La fotografia di esterni, nei tuoi film sembra rifuggire alla regola che vuole, per esempio, una luminosità uniforme. Spesso ci sono squarci di luce o di ombre improvvisi nei lunghi piani sequenza. Allo stesso modo il suono appare spesso “sporco”, con i rumori che dovrebbero essere di sottofondo, che al contrario, interferiscono con i dialoghi principali. Quale concezione di cinema è sottesa a tali scelte?

Una buona parte dei miei film è quello che senti e anche quello che vedi; cerco di ricorrere il meno possibile alla manipolazione, a suoni aggiunti. Nei miei film manovro di persona la mdp. Il mio primo film, Serafin Geronimo: Criminal of Barrio Concepcion, è quello più convenzionale, ha una durata canonica, e molte delle sfumature che volevo per quel film nel montaggio finale si sono perse, per imposizione dei produttori. Dal film successivo sono riuscito ad avere più controllo sul lavoro finito e l'ho fatto a modo mio, inserendoci la mia ideologia, ecc.

Perché per Norte, the End of History sei tornato alla fotografia a colori?

È un'idea che mi è venuta durante i sopralluoghi per le location. In quella fase avevo anche deciso di mettere da parte lo script che era già pronto per il film, la decisione per il colore l'ho presa perché avevo scelto di girare al Nord, dove i colori sono molto belli e cambiano molto, dove il sole è molto forte. È una luce che cambia spesso, dall'alba al tramonto, e cambiando cambia il modo di vedere le cose. Questa luce dice molto anche dell'aspetto psicologico del posto, dato che è il luogo di nascita di Marcos, il fottuto dittatore fascista.

Ma è vero che anche i film in bianco e nero sono girati a colori e poi virati in scala di grigi in fase di post-produzione?

Sì, è vero, gli ultimi film sono stati passati al monocromo in post-produzione, questo è dovuto all'uso della luce che volevo fare.

La fine dei tuoi film spesso non coincide con la fine della narrazione, almeno di una narrazione di tipo classico, occidentale, che prevede una chiusura della vicenda raccontata. In Heremias ci si aspetta la risoluzione del whodunit, cioè di sapere chi è il responsabile del furto del carro. In Butterflies Have No Memories il film sembra fermarsi, scemare alla comparsa delle farfalle.

Con Butterflies Have No Memories, che è molto corto, volevo mantenere il mistero su cosa sarebbe davvero successo, e ho deciso di sospenderlo al battito d'ali delle farfalle. Ci possono essere varie interpretazioni, tu puoi avere la tua, è un qualcosa di legato al mito, che ho fatto anche in Norte, the End of History, la distruzione della storia, in cui c'è una situazione di disordine molto mitico, il protagonista che cammina sollevato, che si potrebbe interpretare allo stesso modo di Butterflies Have No Memories… Per essere più profondi, la gente non dovrebbe chiedersi cosa sta per succedere, ma dare la propria interpretazione. È una specie di dialogo con il cosiddetto pubblico, sei d'accordo? Il mio atteggiamento quando faccio un film è che una volta che l'ho finito, diventa il tuo film.

I tuoi film sono strutturati con una stratificazione e moltiplicazioni dei punti di vista interni. Ci sono tanti personaggi, artisti, poeti, giornalisti, filmmaker, che osservano e registrano e raccontano per mezzo di un loro ruolo peculiare.

È una cosa molto personale, il discorso che c'è nel film su artisti e intellettuali. Sono parte di me, un'articolazione della mia personalità. Ed è una mia osservazione su come le persone si esprimono, discutono e si interrompono, sulle diverse mentalità delle persone. A volte le persone usano il dialogo, ma si vede bene che è qualcosa di forzato, mentre vorrei che fossero i più reali possibili.

Centrale nel tuo cinema è anche il ruolo che riveste la figura dell'intellettuale e dell'artista nella società. Molti dei tuoi personaggi sono intellettuali scomodi, come Benjamin di Death in the Land of Encantos, altri, come Julian nella parte finale di Melancholia, o Padre Tiburcio di Century of Birthing, un ex uomo di teatro diventato capo di una setta religiosa, sembrano artisti degenerati.

Sì, penso che molte persone diventino così, degenerino in questo, diventando dei manipolatori, degli egotisti. Da creativi come dovrebbero essere in quanto artisti, diventano distruttivi per la rabbia che esprimono. Invece di aiutare l'umanità, si sentono più grandi di questa e lavorano per distruggerla. Julian ha creato il suo metodo artistico, ha creato questo gruppo, che sono persone che credono in lui. Il loro esercizio è quello di entrare in un'altra persona, per la malinconia. Questo stesso esercizio alla fine diventa qualcosa di molto distruttivo, una donna che si suicida. Julian arriva all'insanità, la sua è una cultura degenerata, che acquista un carattere messianico.

Possiamo dire che Julian sia il principio di Padre Tiburcio?

Assolutamente, il secondo è un'estensione del primo. Nella mia opera c'è una continuità. Ogni artista serio dovrebbe avere una certa continuità nelle sue opere, un filo conduttore che si estende attraverso opere e personaggi diversi. Così la mia filmografia è apprezzabile vedendola in ordine cronologico.

È molto importante nel tuo cinema la narrazione orale, i racconti che vengono fatti da molti personaggi.

Ho un background letterario, specialmente legato alla poesia. Io stesso scrivo racconti, oltre a suonare. Sono estensioni della mia attività artistica. Questo spiega l'elemento letterario del mio cinema, che è un discorso in continuità con le altre mie modalità espressive. Questo è quello che accade quando vedo un grande film, come mi è successo con Lo specchio di Tarkovsky, e ogni volta che lo rivedo scopro un aspetto nuovo. Questa è la legge dell'arte, che deve essere in continuità con la vita e non limitarsi alla singola espressione artistica. Quando vedi un film o un'opera d'arte dovresti uscire dal cinema trasformato, rigenerato in nuovo essere.

Nel tuo cinema ricorrono elementi folkloristici, leggendari come i moriones di Butterflies Have No Memories o i giganti di Florentina Hubaldo, CTE. Puoi spiegarci questo tuo interesse?

I moriones sono una tradizione cominciata con gli spagnoli, sono gli assassini di Cristo. Ogni settimana santa celebriamo con la commemorazione della morte di Cristo, le strade sono piene di persone vestite da soldati romani. A dir la verità tutto questo serviva soprattutto a spaventare i bambini, poi è diventata una tradizione molto importante e parte della vita locale. Ci sono persone che interpretano la parte dei moriones ogni anno, e la settimana santa si conclude con la crocefissione di Cristo. I giganti sono una tradizione in due città, una è quella dove ho ambientato Florentina Hubaldo, CTE, una città che si chiama Antipolo, in un'altra che si chiama Angono. Per tutta la vita ho pensato che si trattasse di un'antica tradizione filippina, ma poi uno spagnolo mi ha detto che anche questa è spagnola. Io invece pensavo che fosse qualcosa di origine tribale.

Puoi dirci qualcosa sulle enigmatiche sequenze di Zagabria di Death in the Land of Encantos?

È una connessione con la Russia. Il protagonista aveva vissuto in Russia e avevo l'opportunità di farci stare anche questo. Ho girato mentre ero a un festival a Zagabria, soprattutto di notte, e l’ho incorporato. È parte della storia e ha senso nel suo contesto.

Nel film c'è traccia in effetti di un parallelismo tra l'identità nazionale russa, metà europea e metà asiatica, e quella filippina, con lo stesso dualismo a causa dell'impronta lasciata dalla lunga dominazione spagnola.

Sì, è anche un parallelismo artistico sulla creatività che hanno saputo esprimere questi due popoli, nell'arte, nella letteratura. Ma non i russi come Putin. Perché pensi che abbiano ancora Putin? È uno stronzo, i russi stanno soffrendo per colpa sua. È un fascista e dovrebbero fare qualcosa. Non dovrebbe esserci più spazio per il fascismo nel mondo. È il ventunesimo secolo, perché permettiamo ancora che succeda? Perché tolleriamo queste cose, che la gente soffra per questi personaggi, per questi dittatori?

Com'è invece la situazione nelle Filippine?

Il nuovo presidente Benigno Aquino III è abbastanza a posto, però le persone corrotte sono ancora parte del sistema, per cui, non so se riusciremo veramente a cambiare. Ci mancano ancora tre anni, speriamo che il nuovo presidente possa cambiare le cose. È il figlio di un nostro eroe nazionale, Ninoy Aquino, e anche della prima donna presidente, Cory Aquino. È molto trasparente ma allo stesso tempo è anche un po' debole, non ha coraggio e si piega, per esempio non riesce a contrastare i corrotti. È una persona con delle contraddizioni, spero che faccia più riforme, perché ne abbiamo bisogno. È un suo dovere, c'è ancora un largo strato della popolazione che è povero, ci sono ancora persone che soffrono la fame.

Dal tuo cinema le Filippine emergono come un paese particolarmente sofferente, oltre che per le dittature, anche per le tante catastrofi naturali, come le eruzioni vulcaniche.

Sì, siamo il paese al mondo che ha il maggior numero di tifoni. Ai filippini i tifoni addirittura piacciono, sono parte della nostra natura, della nostra cultura. Ci preoccupiamo quando non ci sono tifoni per un po' di tempo. I filippini sono anche molto religiosi. Abbiamo molte religioni, sette e culti.

È il tema di un classico film filippino, Himala, che citi anche nel tuo film Batang West Side, che parla di una presunta apparizione mariana.

Sì, crediamo molto nei messia, nei falsi re. Ci sono molte superstizioni.

Negli anni Settanta erano molto popolari i guaritori filippini.

Sì, ma non è magia, è una frode. Ora è una cosa che è finita. Putin, lui sì che avrebbe bisogno di un guaritore. Come si chiama l'ex presidente italiano? Anche lui ha bisogno di essere curato.