altChe l’arco possa estendersi dai Lumière de L’innaffiatore innaffiato a Ciprì e Maresco è, per certi versi, secondario, parallelo. Non è infatti una storia del cinema comico, o non solo, e in fondo non potrebbe mai esserlo, perché il Comico al contempo precede il cinema e lo eccede, mostrandolo – probabilmente più di ogni altro genere, più di ogni forma, più di ogni sistema di segni – per quello che davvero è: un contenitore inadatto, fragile, insufficiente. Ontologia del corpo nel cinema comico di Alessandro Cappabianca, edito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, in questo senso è libro illuminante, è prima di tutto la scrittura, la messa in forma di questo dislivello, scrittura che non codifica (né decodifica) definitivamente il suo oggetto.
È, più in profondità, una sorta di radiografia sentimentale del Comico, di quell’universo, cioè, che può farsi rivelatore della «inconsistenza delle pretese del senso, in modo perfino più efficace di quanto possa fare l’elaborazione drammatica o tragica» (p. 11). Si verifica, e non è questione di poco conto, uno strano incontro con le pagine di questo volume: leggerle è un po’ come sostenerne la scrittura, il suo peso irreale, impossibile, o meglio ancora, è un po’ come riscriverle, reimmaginandone le domande stanti alla loro origine. Perché i corpi sanno anche essere fantasmi o possono rinascere o ancora diventare altro: il Comico è un luogo dove ciò può e sa avvenire.



Perché, ancora, il comico, ora da intendere come l’attore, l’anarchico, il sovvertitore, ha, o meglio è, un lavoro che – osserva Cappabianca – «è un po’ l’opposto di quello dell’architetto: non crea spazio ma prende gusto a distruggerlo. Oppure possiamo dire: il suo spazio è quello della distruzione per la distruzione» (ivi, pp. 34-35). Ma in realtà – continua l’autore – «la contestazione del comico non si esercita solo sullo spazio scenico, sugli arredi e sugli oggetti che ne fanno parte, investe la struttura stessa del film, tenderebbe (se lasciata libera) a polverizzarla, a frantumarla in una cascata di gag visivi o verbali. I comici, insomma, inoculano nella drammaturgia cinematografica il principio della sua distruzione, mentre lo sforzo dei registi, che è quello di dirigerli, o almeno, di “tenerli a freno”, consiste nel salvaguardare nei limiti del possibile, la coerenza e l’unità dell’“opera”, senza spegnere l’eccezionalità dei corpi alieni con i quali hanno a che fare» (ivi, p. 35).


Ecco, probabilmente il libro di Cappabianca, che oltre ad essere raffinato critico cinematografico è proprio un architetto, può essere visto altresì come l’opera “registica” che prova a mettere in narrazione il corpo comico, la sua sostanza politica, la sua ontologia, i suoi mille corpi, a partire dal cinema muto fino agli odierni resti del cinema; oppure è forse “soltanto” un’opera di fantasia, un gioco (ed è strano, allora, o all’opposto per niente, che Méliès sia, come dire, incidentale, quasi assente), perché c’è, deve esserci necessariamente troppo.

Allucinato Artaud sull’arte dei fratelli Marx; Kafka e Beckett nell’ottica di Adorno, incursioni tra Baudelaire e Pirandello, fondamentali Bergson e Deleuze; costellazioni d’immaginario disegnate dal movimento di «torte in faccia e bucce di banana» (ivi, p. 30) o da traiettorie e da cadute, dalle disavventure di Stanlio e Ollio, da Max Linder e il suo «cappello a cilindro», dal quale, rileva l’autore, «sono usciti quasi tutti i comici americani del cinema muto» (ivi, p. 35); un viaggio tra Charlie Chaplin e quell’«eterno argonauta del sogno» (ivi, p. 65) che è stato Buster Keaton; tra Harry Langdon, il rimosso Charley Chase e Harold Lloyd. Il Comico come territorio del conflitto ma anche luogo mobile, che transita, muta nella commedia (quella “sofisticata” sarà un temporaneo, ulteriore approdo), e allora da registi come Lubitsch si arriva a quelli come Billy Wilder e Blake Edwards, dal corpo di Jerry Lewis a quello di Jacques Tati e Peter Sellers. Vola, ancora, questo lavoro di Cappabianca, da Cary Grant a Peppino, a Totò e a Eduardo (per quest’ultimo un intero capitolo), fino ad Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Monica Vitti, Carla Valeri e Roberto Benigni; incontra i mondi di Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Sergio Citti, Nanni Moretti, traccia Mary Pickford e Clara Bow, Marion Davies e Titina de Filippo; si interroga sull’incontro tra “autori” (in questo caso, sottolinea Cappabianca, in Italia «l’unica eccezione è forse quella di Antonioni», p. 221), e comici: «il comico può celebrare con “l’autore”, magari proprio esagerando ed esasperando le proprie caratteristiche, l’epifania della sua stranezza, l’avvento della sua definitiva estraneità all’universo dei normali» (ivi, pp. 222-223).

C’è tanto, tantissimo cinema. Estrarre titoli esemplificativi da questo suadente, ricco oceano di film ora più noti, ora dimenticati o poco conosciuti, capolavori e non, sarebbe inutile. Perché, alla fine, anche se l’autore lo rimarca già nelle pagine iniziali, resta intatta, inscalfibile, una certezza: «Il meccanismo fisiologico della risata rimane misterioso, è come il solletico metafisico di un fantasma. Se Democrito ride, è per non piangere» (ivi, p. 11).


Bibliografia

Cappabianca A. (2014): Ontologia del corpo nel cinema comico, Fondazione Ente dello Spettacolo, Roma.


Filmografia

L’innaffiatore innaffiato (L'arroseur arrosé) (Louis Lumière 1895 )





Titolo: Ontologia del corpo nel cinema comico
Anno: 2014
Durata: 276 pagine
Genere: SAGGIO
Specifiche tecniche: 11,90 euro
Produzione: Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo

Regia: Alessandro Cappabianca

Progetto grafico: comevoi.com

Reperibilità