tramontoL’esperienza pittorica per Franco Piavoli può considerarsi una sorta di sublime surrogato all’assenza della macchina-cinema dove la fortissima poetica, che già nei cortometraggi esplodeva nel bianco e nero della sua Paillard 8 mm, è rintracciabile fin dai primi disegni, acquerelli realizzati da ragazzo, per puro diletto, verso la fine degli anni Cinquanta. Il piccolo paesaggio autunnale Tramonto ad esempio, datato 1958, inaugura questi primi esperimenti di colore che si interrompono al profilarsi degli orizzonti offerti dalla pellicola e non è un caso che, a partire dall’inizio degli anni Settanta, Piavoli, dopo il dolore per un mancato lungometraggio dal titolo Cara Dalia, abbia ripreso in mano il disegno, avendo perso l’opportunità di fare film, preclusione che durerà per quasi due decenni.


Il sogno segreto di filmare la luce e il desiderio di comporre una sinfonia visiva sul giorno e la notte, sfocia così nel dipinto, nel colore di un pastello, nel concepimento di sequenze cinematografiche su carta. In attesa della tavolozza-macchina da presa, il regista sperimenta così per la prima volta i passaggi di tempo in un polittico, intriso di pura “santità naturale”, intitolato Alba – 1977, preludio all’anno cruciale 1978, quando finalmente comincerà la lavorazione del primo lungometraggio Il pianeta azzurro – dove il sacro risiede nei cambiamenti della luce, divisi in sei quadri posizionati in sequenza orizzontale, in cui Piavoli comincia ad affermarsi come sublime osservatore di cieli. Il cielo è il luogo più misterioso della natura, centro abitato da nuvole di leggerezza, di sconosciuta elevazione, casa della luna (topos insostituibile del suo cinema), ma soprattutto luogo dello spirito, catturato nella sua costante mutevolezza e dove, pur riflettendo la natura, l’imitazione lascia spazio al fantastico e all’emotivo, a un poetico rifacimento, come nel secondo montuoso polittico Nascita della luce. Nello sguardo di Piavoli nulla è secondario, tutto è ugualmente necessario, bello, divino e ai suoi occhi qualsiasi fenomeno nei micro e macrocosmi può divenire materia artistica, come nella contemplazione lunare Notte o nella solitudine metafisica di un albero nella Nebbia.



La varietà e la minuta elaborazione degli ambienti non sono soltanto simbolicamente luoghi dello spirito, ma di tutto quello che nell’uomo ha rapporto col divino e l’osservazione del reale, non si riduce mai a mera imitazione ma si configura come un complesso gioco di rimandi tra impressioni visive e riflessioni, un rapimento mentale che si trasforma in paesaggi interiori, in camere di risonanza psichica e filosofica nell’universo brulicante di relazioni. Lo sviluppo prospettico dello spazio, il contorno interno alla rappresentazione, le numerose velature che annullano l’elemento misurabile e il naturalismo dei colori locali delle sue colline moreniche sembrano far compiere a Piavoli un atto di osmosi con il mondo che lo circonda, una penetrazione in grado di diventare condanna del naturalismo e del realismo che si tramuta in una radicale affermazione di soggettività. I caratteri espressivi dei vari paesaggi si uniscono nell’impressione complessiva del ciclo in cui l’ordine del mondo è caratterizzato dal divenire e dal passare del tempo, pensiero già perfettamente incubato che negli anni successivi sarà il leitmotiv del suo cinema della “sineddoche”, dove ogni particolare tende all’universale, allergico alle parole, all’intreccio, attento a quello che la prosa della vita non è più capace di farci vedere. Il “personaggio-paesaggio” non contrappone mai Natura e Cultura, non vi è mai uno stacco fra il panorama e la condizione umana ed è così che alla scienza si sostituisce la contemplazione, il sentimento dei fenomeni all’osservazione dei fenomeni, la poesia della profondità alla fisionomia delle superfici. In queste “piccole” opere, considerate dal regista stesso come esercizi per i futuri lungometraggi, i colori lasciano spazio, una decina d’anni dopo, al bianco e nero dei carboncini preparatori, realizzati prima dell’epico viaggio di Nostos, film del 1989.

nostosL’essere umano, rappresentato qui per la prima volta nel corpus pittorico del regista, appare insieme a navi e ad antiche rovine, ma è sempre la natura a possedere la preminenza assoluta, sopra ogni altra forma o genere. L’essere “uomo” entra così nell’immensa armonia della natura e quasi la potenzia, con le sue microscopiche dimensioni, dando per contrappunto il senso della profondità e dell’eterno naturale di luoghi come Cala Luna, nel golfo di Orosei, il pozzo del Santuario nuragico di Santa Cristina a Paulilatino o l’antro della Sibilla a Cuma, in Campania, anche se fortemente stilizzati da un tratto veloce, geometrico, quasi antieroico. Si conclude qui, per il momento, con il viaggio di questo Ulisse senza nome, impegnato disperatamente a prendere parte al dialogo fra cielo, terra e mare, l’esplorazione di Franco Piavoli nelle terre della pittura dove qualsivoglia definizione di “paesaggio” scompare per fare posto a una rappresentazione della vita della terra capace, come in tutto il suo cinema, di compiere il miracolo irripetibile di “infinitizzare” il finito.


Filmografia di Franco Piavoli

Il pianeta azzurro (1982)

Nostos - Il ritorno (1989)