Raffaele Cavalluzzi

altDomani, e poi domani, e poi domani / il tempo striscia un giorno dopo l’altro / a piccoli passi, fino all’estrema sillaba / del discorso assegnato, e i nostri ieri / saran tutti serviti / a rischiarar la via verso la morte / ai folli. Breve candela, spegniti! / La vita è solo un’ombra che cammina, / un povero attorello sussiegoso / che si dimena sopra un palcoscenico / per il tempo assegnato alla sua parte, / e poi di lui nessuno udirà più nulla: / è un racconto narrato da un idiota, / pieno di grida, strepiti, furori, / senza significato alcun!
(Macbeth, atto V, scena V)


Questa mi pare la chiave interpretativa opportuna per Birdman: sono i versi che grida un ubriaco, per strada nella sera di Broadway, rivolto al frustrato protagonista di Alejandro G. Iñárritu. Del resto, un altro riferimento alla gamma di emozioni shakespeariane è nel (fallito) suicidio in scena di questi, che rimanda alla metateatrale “pantomima” di Amleto, il personaggio per eccellenza vittima della sua (auto)distruttrice follia narcisistica.

L’io di Riggan Thomson (un eccellente Michael Keaton), già interprete nel passato di straordinari blockbusters hollywoodiani delle imprese dell’uomo-uccello, è ora quello di un supereroe al tramonto (tra le divinità di Barthes precipitate nella pubblicità di detersivi e nei fumetti), e preda narcotizzata di una freudiana dicotomia che lo ha portato alla presunzione di affrontare il pubblico teatrale con una riduzione di un racconto di Raymond Carver (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?). La dicotomia narcisistica lo divide così tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, e prove di poteri speciali tra voli allucinatori ancora nella veste di Birdman in mezzo ai grattacieli di Manhattan e gesti di telecinesi, tra la dichiarazione di amore assoluto (come quello di un vecchio che muore di crepacuore tutto ingessato dopo un incidente e impedito a volgere lo sguardo alla sua amata compagna che gli è accanto nelle stesse condizioni) e un suicidio finale che non sopporta lo scacco della vita.

Il sottotitolo del film, peraltro, suona come «l’imprevedibile virtù dell’ignoranza». Riggan è uno che ignora, infatti, la potenza della comunicazione mediatica del presente contrapposta alla museale cultura del passato (Carver), e, di converso, l’universo del blockbuster è l’ambigua quintessenza della povertà e dell’alienazione culturale dell’oggi: sono imprevedibili comunque, per l’attore, le virtù che ne sortiscono. Solo che esse sono veicolate dalla follia narcisistica di un individuo fallito in quanto uomo, espropriato per sempre della sua idolatrata identità (e depotenziato anche della sua naturale virilità, giacché Laura l’attrice ora sua amante, non è vero che attende un suo figlio), lanciato verso un salto estremo e al tempo stesso autosacrificale e sublimatore.

Nell’ultima scena, infatti, quando Riggan si precipita nel vuoto del cielo in cui volteggiano, leggeri, uccelli metropolitani, il suo gesto riceve la comprensione, e perfino il riso di liberazione, dopo l’orrore, di Sam (Emma Stone, la figlia poco più che adolescente reduce da una terapia di disintossicazione dalla droga, che le ha aperto così la strada alla consapevolezza della dilagante ignoranza del mondo). A parte questa poeticissima conclusione, le forme esasperate del dramma narcisista sono accompagnate, nel corso della pellicola, dal materializzarsi del lutto e della malinconia attraverso il duro rullare di tamburo di una batteria (il musicista è il messicano Antonio Sanchez) ed evocazioni musicali lirico-cimiteriali (da Ravel, Mahler, Tchaikovski, Rachmaninov), ma soprattutto tramite la riproduzione del labirinto mentale della follia in virtù di un continuo (e virtuale) piano-sequenza per i corridoi, i camerini e insomma gli ambienti retrostanti il palcoscenico, più volte intervallato dai buchi neri del disturbo in atto (brevi trapassi che sostituiscono la dissolvenza).

Nel gioco obbligo/verità tra Sam e Mike (Edward Norton, lo sfrontato primattore che è una variante di Riggan), Sam dichiara testarda il no alla verità. Infatti, dati i livelli di autostima assai precari, il suicidio di Riggan dà un senso alla propria vita solo grazie all’immagine irreale, (divenuta poetica) ossimoricamente autolesionistica e libera dell’uomo-uccello.


Filmografia

Birdman – L’imprevedibile virtù dell’ignoranza (Birdman - The Unexpected Virtue of Ignorance) (Alejandro G. Iñárritu 2014)