faust_420Una questione privata

Questo studio è la conseguenza d’un appuntamento mancato. Quello tra UZAK e Aleksander Sokurov.
Una volta saputo della partecipazione del regista russo alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il Faust, e scoperto l’acquisto dei diritti di distribuzione in Italia da parte dell’Archibald Film, contattammo immediatamente la responsabile dell’ufficio stampa, Paola Papi, per cercare di fissare un incontro durante le giornate lidensi.
Non avemmo risposta.


Poi, il 7 settembre, giorno prima della presentazione del film, una mail telegrafica ci informava che l’indomani, alle 11.30 presso lo spazio Movie Lounge, al 3° piano del Gran Hotel Excelsior, avremmo potuto incontrare il regista. Totalmente impreparati, perché ormai sicuri che l’occasione fosse sfumata, alla sola idea del faccia a faccia ci sentimmo come le scimmie di
2001 al cospetto del monolito. Schiacciati da un terrore maestoso a livello spinale.
Seppur sperata, come riuscire a gestire un’intervista con una tra le figure autoriali più radicali nel ripensare e rielaborare l’esperienza filmica nell’ultimo decennio; creatore di un’opera dal rigore estetico granitico per l’acutezza e il vigore dello sguardo? Certi dell’impossibilità di poter, anche solo per un attimo, tener testa a questo artista-intellettuale preparammo le nostre domande con timore reverenziale.

Queste però sono rimaste senza risposta. Perché il giorno seguente, nonostante l’anticipo con cui ci presentammo all’appuntamento, non riuscimmo ad incontrare il regista. L’incompetenza di chi preposto a svolgere servizio di sicurezza e a dare le adeguate informazioni una volta arrivati al luogo pattuito, perché troppo concentrato a far mostra di sé nella sua nera divisa, ci ha impedito di conoscere ed intervistare Sokurov.
Tra le cose che avremmo desiderato sapere, volevamo chiedere se era possibile rileggere l’intera Tetralogia del potere, di cui Faust è il capitolo conclusivo, nei termini della fiaba.
C’è sembrato di rintracciare in queste quattro opere un’operazione interessante che mette in contrapposizione il reale raccontato attraverso il registro mitico-favolistico, mentre il letterario diviene ricostruzione storica.
Sokurov analizza il rapporto tra l’uomo e il potere mettendo in scena nelle prime tre pellicole i personaggi della Storia lasciando intravedere una certa struttura ripetitiva quasi letteraria, mentre utilizza Faust in chiave realistica trasformandolo in uomo del tempo e uomo di ogni tempo.
Hitler, Lenin e Hiroito sono i protagonisti, gli eroi in negativo, di fiabe contemporanee che raccontano del mondo attraverso gli archetipi che ci riconducono all’indagine e all’analisi di studiosi come Vladimir Jakolevič Propp. Il dottor Faust invece viene liberato dal legame con la parola scritta in un’operazione di ribaltamento voluto che lo rende lo specchio della realtà.

Non trovando, fino ad ora, risposta a questa curiosità ci abbiamo provato noi, riavvolgendo il nastro della tetralogia: partiamo proprio dal punto di approdo, il Faust, poi verso Il Sole fino ad affrontare Taurus e il mostro di Moloch (e chissà se, come Faust, insoddisfatti di qualsiasi meta, azzarderemo ad andare oltre). Il 2012 sarà quindi consacrato a Sokurov, ogni numero di UZAK di quest’anno conterrà almeno un saggio a lui dedicato. E avremo come nume tutelare Italo Calvino, che nell’introduzione all’opera Fiabe Italiane scrive «È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell’unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere» (Calvino, Sulla fiaba, Mondadori, Milano 2011, p. 39).

(M. M. - S. T.)


Faust

Discesa
Dalla lontana e fredda atmosfera di un giorno qualsiasi, lassù, in un cielo macchiato dalle nuvole ci imbattiamo in uno specchio o cornice magrittiana. La gravità non esiste ma sappiamo che una forza elementare ci sta portando a terra o forse ancora più giù, nella profondità delle viscere del mondo, nella profondità dell’assenza dell’anima dell’uomo.
In un movimento di macchina che insegna il Cinema senza la necessità di una stampella vocale a introduzione del viaggio, lo spettatore cade come Alice nel paese delle meraviglie in un mondo nuovo, famigliare e allo stesso tempo terribile nella sua pulsante e decadente corporalità.
L’incipit del Faust di Sokurov è la premessa esplicita al percorso di chiusura della tetralogia del potere. Se Moloch, Taurus e Il Sole sono stati la ricognizione nel ritratto nascosto di Dorian Gray, delineando l’umanità come limite della reale conquista del potere  e sottolineandone l’impossibilità di gestirlo, in Faust si va oltre rincorrendo l’idea di superamento del limite per ricominciare a cercare ciò che inevitabilmente non può che sfuggire alla comprensione della mente umana.
I luoghi che Faust e Mefistofele attraversano senza una reale meta da raggiungere sono spazi angusti, sporcati dalla vita che li percorre ogni giorno che lascia sulla pietra e sul legno l’odore (e la puzza) dei corpi, del cibo, delle secrezioni fisiche. La discesa continua frenetica e le regole della prospettiva vengono meno, ma coloro che partecipano alla corsa verso l’oltre non se ne accorgono, quasi il percorso fosse semplicemente un sogno. Tutto è permesso e nessun oltraggio alla vita, al sacro, alla morale viene punito.
Sokurov sceglie la collaborazione di Bruno Delbonnel per la direzione della fotografia e utilizza le caratteristiche stilistiche di quest’ultimo per virare i colori, deformare l’immagine otticamente e fare deflagrare la logica rigidità del piano prospettico con l’intenzione di dare parola all’immagine. In questo modo i luoghi non sono la tappezzeria del viaggio ma un personaggio vivo e attivo che interagisce con coloro che li abitano o li attraversano. Il paese, le case, la foresta, il lavatoio non hanno un’esatta collocazione geografica ma sono esseri pulsanti e a volte pericolosi.
Sokurov descrive i luoghi con la stessa cura con cui mette in scena i personaggi. Gli ambienti affondano nell’immaginario della pittura europea (spesso in quella tedesca) dell’Ottocento rimandando in alcuni casi alla composizione dell’immagine della pittura fiamminga di fine Quattrocento e del Cinquecento di Bosh e Brueghel. La scelta di una ricostruzione così fedele dei colori e degli oggetti di scena permette agli ambienti di raccontare e raccontarsi allo spettatore tanto quanto i personaggi lo fanno tra di loro.
La discesa continua ininterrotta anche quando sullo schermo Faust e Mefistofele salgono verso l’altro modo, che ha il volto delle rocce vulcaniche e dei geyser dell’Islanda.
Il mondo si è capovolto lasciando solo la terribile bellezza della natura a prendere la scena, a inghiottire Faust nella sua corsa verso il potere assoluto (che non raggiungerà mai), quello della conoscenza.

Corpo e carne
Il dottor Faust non crede nell’anima perché nelle sue ricerche che troppo spesso somigliano a torture sui vivi e macelleria sui cadaveri non ne ha trovata alcuna traccia.
L’ossessione della conoscenza, della ricerca ad ogni costo e della scoperta che può andare al di là dell’umano lo portano a iniziare la sua peregrinazione senza meta alcuna accompagnato da Mefistofele. Nonostante ciò che vede, sperimenta e decide di fare vadano contro la morale, il personaggio continua a camminare e a farsi guidare, cieco di fronte al declino del suo essere civile e umano. Non è l’amore o qualsiasi altro sentimento profondo che lo spinge a superare i limiti ma il possesso. Anche in questo caso e soprattutto in questa pellicola Sokurov mostra quanto il potere sia impossibile da ottenere realmente dall’uomo che lo confonde con il cibo, il sesso, il denaro, rendendo un concetto astratto in una funzione corporale che provoca benessere.
Nei tre capitoli precedenti della tetralogia i personaggi storici messi in scena apparivano sullo schermo come immagine riconoscibile del potere e della sua aberrazione. I corpi erano un pretesto, un supporto tangibile per la parola.
In Faust Sokurov cambia rotta nettamente. Prende un personaggio della letteratura, lo muta in funzione dell’immagine dell’uomo che vuole dare allo spettatore (un quarantenne massiccio in continuo movimento) e gli fornisce tutti gli elementi necessari per apparire come reale. Faust è dunque un uomo in carne, pulsioni e ossa e tutti coloro che entrano in collisione con lui sono ugualmente vitali. Lo stesso Mefistofele è un usuraio dal corpo deforme, ignorante, sporco, sciattamente vestito, flatulente e volgare. Un angelo caduto e abbandonato sulla terra che presta denaro, potere, conoscenza, in cambio dell’anima. In lui non c’è l’aura del potere demoniaco, della potenza del male, ma solo la bruttura del mondo che lo circonda. Il Mefistofele di Sokurov è l’assenza della bellezza del male supremo, la mancanza di tutti gli stilemi del diavolo che si bilancia con la mancanza della divinità.
Non c’è spazio per la sacralità del corpo, per l’innalzamento della bellezza a simbolo divino e Margarete ne è l’esempio. La ragazza è di una bellezza ultraterrena e fanciullesca che ricorda l’Ofelia di Millais e come nell’opera preraffaellita è un corpo morto e cristallizzato nell’attimo della dipartita. Lei è l’oggetto del desiderio sessuale e non sensuale e si lascia sporcare dagli eventi, mancando di reazione e indignazione. La giusta complice passiva, la donna ideale per il bramoso di potere che vuole accanto a sé, un trofeo con cui giocare e non una presenza angelica da tutelare e proteggere. Margarete è un corpo da conquistare che priva Faust della catarsi.
Ogni scena è sovraccaricata dal brulicare della vita e più gli spazi sono angusti e opprimenti più le pulsioni, gli odori e la mostruosità dell’essere umano emergono. La vecchia Europa si specchia e si confonde nella cornice magrittiana con l’Europa contemporanea che si è sbarazzata dell’anima per soddisfare il proprio ego.

Verso l’oltre
La messinscena è terminata. Faust deve seguire Mefistofele e pagare come pattuito. L’anima non esiste e al suo posto è lo stesso uomo che viene condotto in esilio in un luogo dal quale non potrà mai più fuggire. La frustrazione dell’immortalità lo porta a tentare di seppellire Mefistofele tra le rocce, sapendo che questa soluzione non può essere definitiva, ma gli permetterà di vagare in silenzio almeno per un periodo.
La scelta della parola come elemento continuo e di schiacciante presenza permette a Sokurov di mettere sotto la lente d’ingrandimento l’infelicità umana che essa crea quando si deforma da elemento comunicativo a dogma. I dialoghi serrati e l’estenuante necessità di enunciare, dichiarare e rispondere dei personaggi sminuisce l’importanza della parola che si inflaziona diventando rumore di sottofondo. Certo, i dialoghi sono importanti ma l’uso così opprimente delle parole confonde e allo stesso tempo diventa esercizio di ascolto selettivo. Spesso i dialoghi vengono utilizzati per riempire gli ambienti ma non sono necessari alla visione. È interessante notare come il regista riesca a svuotare l’atto comunicativo costruendo una struttura sovraccarica che implode all’interno delle immagini, dei colori e delle collisioni visive che scorrono sullo schermo. Una lezione di cinema su ciò che il Cinema diventa nelle mani di colui che lo utilizza come mezzo artistico e di comunicazione proprio. Non come un personale atto di autoesaltazione bensì come presa di posizione culturale e politica.
Faust si incammina solitario verso l’oltre che tanto agogna, consapevole che anche questo viaggio non lo condurrà in nessun luogo e non gli permetterà la  tanto attesa pace. Condannato a cercare e a rincorrere la conoscenza  -l’elemento di potere supremo - in eterno non placherà mai la sua sete.

L’anima
La figura di Mefistofele è stata privata di tutto il fascino e la forza che il nostro immaginario gli ha sempre attribuito. Il diavolo che contratta per le anime dei mortali si è indebolito ed è diventato patetico e fragile. Ma se pensiamo a quanto l’essere umano nella Storia abbia saputo essere malvagio e insensibile a ciò che non lo riguardava da vicino, a quanto sia stato (e sia ancora oggi) capace di infliggere ai suoi simili per fini atti a soddisfare il proprio ego e a quanto nella contemporaneità neghi il suo essere diventato mostruoso nascondendosi dietro a ideologie e religioni, quale dovrebbe essere la funzione di Mefistofele?
Le anime sono merce di scambio inflazionata e di poco conto ormai e all’angelo caduto resta solo l’illusione di essere stato l’immagine in negativo del divino. La dannazione è propria del mondo contemporaneo che ha dato in pegno la propria umanità in cambio di un surrogato del potere.

(S. T.)


Filmografia

Faust (Aleksandr Sokurov 2011)

Il Sole (Solntse) (Aleksandr Sokurov 2005)

Moloch (Aleksandr Sokurov 1999)

Toro (Telets) (Aleksandr Sokurov 2001)

 


(continua)