Stefania Rimini

altLa sfida è riuscire a far muovere una macchina senza benzina ma con del carburante ardente e alternativo. Perché non tentare di utilizzare il tempo di una rappresentazione teatrale per agire sulla carica visionaria ed energetica che proprio l’arte scenica porta inscritta? Perché non provare a trasformare il contratto teatrale in una formula aperta di reciproco scambio, andando a destrutturare lentamente, dall’interno, la prossemica della relazione tra chi agisce e chi guarda? Attuare degli spostamenti progressivi, dentro alla geografia dello spazio scenico, ma, sia ben chiaro, senza alcun coinvolgimento forzato dello spettatore. (Nella tempesta. Motus)

Il manifesto programmatico di Motus, intitolato emblematicamente 2011>2068 Animalepoliticoproject, pone subito al centro del ‘fare’ una forte carica retorica, giocata sulla riscrittura del “contratto teatrale” fra autore-attore e spettatore, implicati in un rapporto di reciproca influenza, mai vessatoria, ma certamente indispensabile perché scaturisca un cambiamento, uno scarto, rispetto alla logica consueta delle relazioni sociali e artistiche. L’ultimo approdo della ormai più che ventennale ricerca del gruppo riminese si muove dentro un doppio asse, dell’utopia e del reale, intrecciando le parole shakespeariane della Tempesta con le destabilizzanti derive del presente, in un fitto gioco di richiami intertestuali, di visioni, di oggetti, di movimenti, capaci di dar corpo alla fantasmagoria di una rivoluzione possibile (e necessaria). Le tappe di questo nuovo itinerario di sperimentazione drammaturgica sono una serie di Atti Pubblici, dal formato inusuale, affidati alla carica performativa di Silvia Calderoni e votati «a immaginare senza limiti e freni inibitori, altre forme possibili di esistenza, resistenza, sussistenza, risonanza, comunanza, comunicazione, cooperazione, abitazione... e, of course, rivoluzione!» (Motusonline – A).

Non si tratta di una svolta improvvisa, ma della sublimazione “eroica” di un’idea di teatro che fin dagli esordi (gli anni Novanta) si propone di «disintegrare lo spettacolo teatrale» (Casagrande – Nicolò 2010b, p. 13), votandosi a una «Nuova erranza senza tregua» (Nicolò 2010, p. 12), in scia con il pensiero selvaggio di Artaud. In un intervento del 1999, Il teatro di domani, Casagrande riassume «il disegno  teorico concettuale» (Casagrande 2010a, p. 36) del gruppo convocando la lezione beckettiana e il fantasma ‘angelico’ della poesia di Rilke, indispensabili riferimenti della prima stagione, necessari a tradurre in scena la ambigua, contraddittoria, volubile consistenza dell’«esserci» (Ibidem). La questione dello sguardo e la dimensione del tempo sono i nodi cruciali della riflessione estetica di Casagrande: la metafora beckettiana dell’occhio belva sintetizza l’ossessione più grande, quella del possedere e dell’imparare a vedere. Fin dai primi lavori è in gioco la tensione fra autenticità e inganno, fra reale e simulacro, nel segno di una fervida critica ai bagliori della società dello spettacolo. Sotto le insegne del pop (cfr. Acca 2011), Motus porta avanti un discorso rivolto all’esplorazione dei nessi, degli interstizi fra «apparixione, exposizione, exibizione, scomparsa» (Casagrande 2010b, p. 45). La dialettica fra monumentalità e transitorietà non è solo una prerogativa dello sguardo rilkiano, ma penetra nel tessuto scenico di Motus, imponendo nuove forme di racconto e di messa in quadro dei corpi. Si delinea, già a questa altezza, un fitto intreccio di voci, immagini, interferenze, destinato a ulteriori diramazioni, ma quel che più stupisce è la consapevolezza dell’agire, la determinazione della ricerca, la capacità di pre-vedere le direzioni a venire.

Perché ciò che ci interessa è tradurre i nostri tumulti di sentimento, le nostre tempeste di entusiasmo in:
ATTI PUBBLICI
ATTI POETICI
ATTI D’AMORE
ATTI POLITICI
ATTI EROICI
ATTI VITALI
ATTI

«Bisogna continuare, non posso continuare, e io continuo»
(Casagrande 2010a, pp. 38-39)

Questo passaggio racchiude il senso dell’intero percorso di Motus, ma vale soprattutto a ribadire i sentieri dell’oggi, le "trame" di una resistenza culturale che intende dar voce ai rumori di fondo della società. La formula dell’ "atto" racchiude in sé una straordinaria carica eversiva perché richiama immediatamente l’urgenza e la responsabilità del "fare", di un’azione concreta, misurabile, contagiosa. Il virus del qui e ora è ancora in circolo, si propaga grazie a una rete di contatti nazionali e internazionali che certifica la capacità del gruppo di spostarsi e attraversare i territori del contemporaneo, al di là di stanche logiche di produzione. «Organizzare in movimento – significa – pensare a un teatro che si può fare comunque fuori dal teatro […], essere aperti a repentini cambi di rotta» (Angelini 2011, p. 18).
Da questa innata disposizione verso il cambiamento trae spunto il progetto Syrma Antigònes, dedicato a una spiazzante riflessione intorno al mito di Antigone. Alle radici di questa rilettura c’è in fondo l’eco del Living Theatre, il battito segreto di un’arte totale, vissuta con responsabilità ed entusiasmo.

Quel “Non ho scelto di lavorare nel teatro, ma nel mondo” di Julian Beck non si cancella, e tutto il tempo che passiamo in sala prove per creare un nuovo spettacolo non vuole essere un tempo speso a crogiolarci nel nostro egocentrismo e compiacimento artistico: il desiderio di riuscire a scuotere qualcosa in chi ci guarda, a lasciare un segno e perché no, a voler provare a cambiare le cose da un punto di vista diverso, continuiamo ad averlo. Ora è facile essere retorici, forse lo siamo, non ce ne frega. (Nicolò 2011, p. 19)

Accogliendo la suggestione lacaniana per cui Antigone è immagine «impossibile da dimenticare», Casagrande e Nicolò individuano nel corpo ribelle della figlia di Edipo il modello di un eroismo praticabile, di un desiderio fuori misura in grado di infiammare i cuori dei giovani e di condurli a una ritrovata coscienza del mondo. Basta leggere le note di presentazione del progetto per cogliere l’efficace anomalia di questo ritorno al classico e alla tragedia.

La scelta di lavorare sulla figura di Antigone si colloca in continuità con tutto il processo precedente e ci pare incarni, da un’altra angolazione, uno dei temi chiave del progetto Ics(x) Racconti crudeli della giovinezza (2007-2008), ovvero il rapporto/conflitto fra generazioni. “No, bisogna trovare qualcos’altro, una ragione migliore, per non fermarsi, un’altra parola, un’idea migliore, da mettere al negativo, un nuovo no”. Così recita uno degli ultimi testi del “movimento terzo” dei Racconti crudeli che ha debuttato il 26 giugno a “Theater der Welt Festival” di Halle, nella ex-Ddr... e sulla scia di queste parole proviamo, in altra forma e dinamica, a continuare la ricerca sulle relazioni/conflitti fra generazioni, sull’amore fra coetanei e fratelli e i tentativi di civile insurrezione... È il momento di parlare di questo ora: come reagire ai tanti cadaveri nascosti che calpestiamo ogni giorno e che tutti fingono di non vedere come nell’allucinato film I cannibali di Liliana Cavani... O che spostiamo da un punto all’altro per non avere fastidio, come avveniva per il corpo dell’attore del Living Theatre, che per due ore recitava la morte sul palco... Sì, abbiamo bisogno di correre e urlare, di sollevare polvere e rabbia, insieme alle città che sino a ora abbiamo mappato nei punti ribelli, nei Terrains-vagues sfuggiti al controllo, che ci faranno da coro... (Motusonline – B)

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L’assunzione del paradigma di Antigone comporta il confronto diretto con le nuove generazioni, inseguite e ascoltate in luoghi eterodossi dove i conflitti sono a fior di pelle, ma anche il recupero di una lunga tradizione letteraria e teatrale, rivissuta in scena attraverso la citazione diretta di parole, immagini, gesti. Le fonti utilizzate per la tessitura drammaturgica sono essenzialmente il testo sofocleo, la traduzione-riscrittura brechtiana e lo storica versione di Antigone messa in scena dal Living Theatre nel 1967, a cui si aggiungono più di una suggestione dal film I cannibali di Liliana Cavani e qualche velato richiamo a Pasolini (soprattutto in riferimento a Porcile). Sofocle e Brecht, la Cavani e il Living Theatre vengono fatti "reagire" però con il balbettio delle periferie dell’Europa, con il grido di libertà di fratelli e sorelle decisi a non lasciarsi schiacciare dall’omologazione e dalla crisi, e così non sempre è facile riconoscere le matrici del discorso. Utilizzando un procedimento di decantazione, Daniela Nicolò – in stretta collaborazione con Enrico Casagrande e con gli attori – è riuscita ad insinuarsi tra le tante pieghe del mito, ha setacciato temi, linguaggi, codici e simboli fino a elaborare quattro partiture diverse, ma complementari tra loro.

È nostra pratica decennale giungere al debutto attraverso una serie di studi intermedi, ma in questo frangente abbiamo pensato invece ad un’altra formula di ricerca in divenire: non più work in progress, funzionanti per stratificazioni, ma eventi-performance intesi come contest ovvero confronti/scontri/discussioni/dialoghi per affrontare le domande, interrogazioni, urgenze, sollecitazioni, contraddizioni elaborate da noi o inviateci da interlocutori esterni di riflesso alla possibile rilettura/dislocazione di Antigone oggi. (Ibidem)

Il progetto (datato 2008-2010) si articola, dunque, in tre “esercizi” preliminari (Let the sunshine in, Too late! e Iovadovia), realizzati nella forma di contest, cioè appunto di confronto aperto tra attori (due per volta), e in un evento conclusivo, Alexis. Una tragedia greca, che è insieme verifica del percorso e nuova provocazione. Prima di realizzare il quarto momento, infatti, la compagnia compie un viaggio in Grecia, si mette fisicamente sulle tracce di Antigone, sceglie anche di esplorare le ragioni della morte del giovane anarchico Alexis Grigoropulos avvenuta nel quartiere ateniese di Exarchia per mano di un poliziotto il 6 dicembre del 2008, mentre il gruppo era impegnato nelle prove di Let the sunshine in. La notizia di questa tragica evenienza conferma l’ipotesi e la direzione del progetto, convincendo tutti che il corpo morto di Alexis è un doppio di quello di Polinice, e che quindi non si può più rimandare la riflessione sulla nuova identità di Antigone. La spedizione in Grecia nell’estate del 2010 è in fondo una sorta di nostos, di ritorno alle origini, ma vale anche come profonda immersione nelle derive del presente, e aggiunge all’itinerario tracciato fino a quel momento il marchio di imprescindibile azione politica. Del resto, il perenne "movimento" teatrale dei Motus non poteva che partire dall’evocazione di un luogo e di un gesto simbolici, per decidere poi di trascinare la propria immaginazione per le strade, nelle piazze, ai bordi delle città, dove è più acre e assordante il rumore della vita.

Scegliamo di affrontare Antigone, la “living-Antigone”, lavorando per tracce, impronte, frammenti, indizi lasciati sul terreno: del resto è proprio il trascinamento-tentata sepoltura del corpo di Polinice il centro della tragedia, o meglio, è la vicenda mitica più antica (Syrma Antigónes pareva chiamarsi una località vicina a Tebe, secondo Pausania...). (Ibidem)

Il primo lavoro ispirato al mito di Antigone prende in prestito il titolo da una delle canzoni più emblematiche del musical Hair, quel Let the sunshine in che ancora oggi è sinonimo di ribellione, di impegno, di passione. Il richiamo al clima politico e culturale degli anni Settanta risponde al tentativo di creare immediatamente un corto circuito temporale, per cui il sacrificio di Antigone corre sulla stessa lunghezza d’onda dei giovani pacifisti che sfilavano per le vie d’America e degli indignados che affollano oggi i sentieri di un Occidente in recessione. Il contest debutta a Torino nel giugno del 2009 presso le Officine Grandi Riparazioni, all’interno del “Festival delle Colline Torinesi”, e mostra immediatamente la novità del linguaggio e dell’approccio al mito. Al di fuori di ogni convenzione scenica, due attori (Silvia Calderoni e Benno Steinneger) danno voce e corpo ai fratelli e alle sorelle della tragedia, scardinando le consuete dinamiche di relazione tra i personaggi e lasciando emergere un profondo rapporto con la geografia politica del nostro tempo. L’esuberanza fisica dei due interpreti mima la strisciante ansia di libertà delle metropoli europee, quel sentimento di rivolta che spesso sfocia in quadri di sangue e repressione, ma che non può più essere ignorato, né frainteso. La forma prescelta per la messa in scena di questo assalto al corpo e all’immagine di Antigone prevede l’alternanza di robuste partiture performative e momenti di riflessione metalinguistica, in cui i due attori discutono sulla natura del loro mestiere e sulle possibili interpretazioni della tragedia.

Lo spirito contestatario di Let the sunshine in risuona anche nel secondo contest del progetto Syrma Antigónes1, ma cambia segno e tono. La fiducia nell’avvenire che aveva ispirato il musical americano Hair si trasforma in rimpianto e così il Too late! che echeggiava ipnotico nel coro dell’Antigone del Living Theatre viene scelto come titolo e pare confermare l’idea che Antigone sia «la tragedia del “troppo tardi”» (Cfr. Biner 1974, p. 151). Dopo aver esplorato le ragioni della pietà, l’attenzione si concentra adesso sulle relazioni di potere, sui meccanismi di sopraffazione e controllo dei padri sui figli. Il motivo della fratellanza si raggela al cospetto del tiranno Creonte, di fronte al quale Emone non può che assumere atteggiamenti ostili, di aperta aggressione. Sul palco Silvia Calderoni (insieme Emone e Antigone) si confronta con la potente energia di Vladimir Aleksić, un Creonte mai banale. Concepito per la Cavallerizza di Torino, il contest propone un dinamico gioco spaziale affidato alla presenza simbolica di oggetti-segni (un tappeto verde di plastica, delle maschere, un tavolo, una sedia, una americana con i riflettori), che marchiano in modo evidente l’ambientazione, conferendole un’aria suburbana.

Il terzo contest dedicato al mito di Antigone è forse l’assalto più bruciante e azzardato, perché prova a fare i conti con il precipizio della morte, e insieme con la necessità del dire2. Definito addirittura «impossibile» dagli stessi autori, Iovadovia pone una di fronte all’altra Antigone e Tiresia (interpretati rispettivamente da Silvia Calderoni e Gabriella Rusticali), cioè due figure segnate da un’ambigua identità di genere (risolta in modo molto suggestivo dalla potente androginia di Silvia e dalla scelta di assegnare all’indovino il corpo di una donna)3, a cui si aggiunge un problematico rapporto con il "vedere" e con il "sapere", a causa del quale i loro destini paiono segnati da una sconfitta esemplare. Sulla scia della mirabile invenzione filmica di Liliana Cavani, i due personaggi tornano a incontrarsi, sebbene il plot tragico non lo preveda, per ribadire il rifiuto della condanna all’oscurità e per provare a riaffermare la potenza di uno sguardo libero da imposizioni e condizionamenti.

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La fervida dialettica dei contest delinea un nuovo orizzonte drammaturgico, una diversa declinazione di parole e immagini, e prelude all’atto conclusivo del percorso, il ritorno in Grecia, sulle tracce di nuovi simulacri di Antigone. Ripercorrere con una macchina da presa i sassi di Tebe e i sobborghi di Atene significa davvero immergersi in una favola nuova, in bilico tra statue e lapidi, immobilità e rancore. A raccontarla è Silvia Calderoni, tramite uno sguardo in soggettiva che inquadra i passi, le capre, il rumore del vento, i graffiti sui muri di Exarchia, i volti dei ragazzi di Nosotros e del Politecnico, a un passo dalla rivoluzione.
Alexis. Una tragedia greca4 comincia con il folle e atletico dimenarsi di Calderoni ai bordi del palco (quasi a mimare dei colpi di frusta) e con le immagini del viaggio proiettate sullo schermo, intermittenti. Il prologo dà subito conto della forza del linguaggio e dei temi, mentre la riscoperta del tragico si tinge di rosso.

Il palco diviene luogo di una presenza corale, commovente, che agisce un testo polifonico e stratificato, dalla natura ibrida e fulminea: dialoghi, interviste, riflessioni solitarie, tentativi di traduzione dal greco, all’inglese e all’italiano, frammenti audio e video dalla rete, descrizioni di atmosfere e paesaggi, dichiarazioni politiche e testimonianze che abbiamo raccolto a Exarchia, per strada, nei centri sociali, nei caffè, fra gli artisti... Pezzi di un mondo che cade a pezzi... (Motusonline – C)

Gli indizi raccolti durante la faticosa ma esaltante esperienza dei contest si aggiungono a quelli catturati dal vivo in Grecia, lasciando esplodere un brivido di energia e sommossa. Anche in questo caso «il classico viene fatto conflagrare con la più lacerata contemporaneità, giocando in maniera assai convincente sulla complessità delle stratificazioni: oltre che classico-contemporaneo (e dunque passato-presente), soggettività-oggettività, teatro-video, realtà-finzione, live-registrato, immagine fissa-immagine in movimento, spettacolo-metaspettacolo, chiuso-aperto...» (Ponte di Pino 2010). Oliviero Ponte di Pino mostra come in Alexis si approfondiscano i livelli di interazione dei coefficienti scenici così da rendere davvero arduo ogni tentativo di descrizione. Lo spettatore «trascinato nel clima rovente della messinscena, diventa testimone e protagonista di una pièce che riconfigura, con la consapevolezza anarchica di una precisa e rigorosa ricerca artistica, ruoli e dinamiche di partecipazione e coinvolgimento» (Grieco 2011). Di fronte a un intreccio tanto complicato si può solo tentare di individuare i nodi drammaturgici più significativi.

Un ring scarlatto vede fronteggiarsi Silvia Calderoni, Benno Steinneger, Vladimir Aleksić e Alexandra Sarantopoulou, danzatrice greca incontrata a Exarchia e traghettata in scena come voce della dissidenza. Gli attori coinvolti nei contest continuano a entrare ed uscire dai personaggi, secondo una già consolidata strategia metateatrale, ma la loro presenza appare più consapevole, più fisica. Il ritmo e l’ordine delle azioni viene dettato da Silvia Calderoni, che muove la consolle con il videoproiettore, portando in giro per il palco le immagini e riuscendo anche a scattare delle foto in diretta. In scena compaiono alcuni oggetti in funzione metonimica (una sedia, un casco, lo scudo di plastica dei poliziotti, fumogeni, nastro adesivo), destinati ad esprimere tutta la violenza delle strade, ma anche la legittima voglia di contestare lo Stato e le sue leggi. È a partire da queste icone postmoderne che i Motus tentano di rispondere alla domanda che più li assilla: chi è Antigone oggi?

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Silvia: - Una delle prime persone a cui ho chiesto “Chi è per te Antigone oggi?” è stata Liliana Cavani alla presentazione del suo film I cannibali... E mi ha risposto che forse poteva essere una donna con il Burka ... Ma non mi ha convinto ...
Poi in questi due anni ho continuato a domandarlo a tantissime persone... A Exarchia, Stavros, il cantante del gruppo Deux ex Machina mi ha detto che per lui Antigone è la sua musica, che condivide con il suo gruppo, da quasi 20 anni...
Nikos a Nosotros, invece, mi ha detto che forse Antigone è il quartiere di Exarchia, perché continua a resistere. E se lo chiedo a te? (Nicolò, inedito, p. 8)

Le risposte più autentiche sono quelle impresse sui muri di Exarchia, come «CARLO VIVE, LAMBROS VIVE, ALEXIS VIVE VOI SIETE I MORTI!» oppure «IL SANGUE SCORRE E CHIEDE VENDETTA» (ivi, p. 3). L’identità di Antigone, infatti, non può prescindere dal corpo morto di Alexis; tragedia e cronaca sono sullo stesso piano dentro il confine del palco, come dichiara in modo perentorio Alexia:

Alexia: - Per me è davvero strano ricreare tutto questo sul palco...
Silvia: - Perché?
Alexia: - Perché su certe cose non si può fingere... non tutto il reale può diventare arte...
Silvia: - Ma cosa è reale e cosa non lo è? Un regista libanese ha scritto che l’artista è come uno scarabeo: si nutre della merda del mondo e da questo nutrimento schifoso, a volte, riesce a ricavarne bellezza...
Alexia: - Interessante... Se prima credevo che il fulcro della tragedia fosse questa morte... adesso ho capito che è più importante quello che questa morte ha suscitato, la reazione che c’è stata dopo... (ivi, p. 8)

Tutto il progetto Syrma Antigónes in fondo nasce dal tentativo di reagire alla morte di Alexis, e lo spettacolo che porta il suo nome possiede una marcia in più proprio perché non si ferma a raccontare il sacrificio del giovane, ma conficca le parole del mito nel ventre pulsante di una città in rivolta. Quello che si leva è allora un grido d’allarme per le sorti di un paese minacciato fin nelle fondamenta da uno stato di crisi senza precedenti. Come riferisce in video Padre Spyridon: «Oggi a Tebe l’unico legame con la tragedia è che ci sono tanti bambini che si chiamano Antigone e Polinice... per il resto c’è solo tanta miseria» (ivi, p. 16). I frammenti del testo di Brecht raggiungono una potenza inedita a contatto con i segni e i volti della Grecia contemporanea, mentre l’urlo di Calderoni/Antigone conquista un’oltranza semantica senza pari, perché riesce a intercettare «il frastuono della moltitudine» (Ibidem).

Con Alexis, «che prova a mettere in cortocircuito modalità del teatro documentario, del teatro di narrazione e, perché no, anche del teatro più tradizionale» (Nicolò 2011, p. 20), Motus sceglie il rischio, tenta di costruire una nuova retorica performativa, in grado di porsi all’ascolto del presente. Questo «spettacolo-esperimento» (Ibidem), ancora in cammino, ancora attuale nonostante la distanza temporale dalla morte del giovane Grigoropulos, rimette in circolo una parola antica, quel «fare» che è verbo potentemente "tragico", in cui è racchiuso il destino di ogni eroe. Di fronte alla violenza del mondo non resta che agire, e allora salire su un palco può significare riuscire a trasformare l’indignazione in azione, «far entrare dentro tutto il fuori».


Note

1 Lo spettacolo debutta il 20 0ttobre 2009, per il “Festival Prospettiva” prodotto dal Teatro Stabile di Torino.

2 In questo caso il debutto avviene fuori dall’Italia, presso il Thèâtre Dijon Bourgogne, il 21 Maggio 2010 per il “Festival Théâtre en Mai”.

3 Una delle letture del mito più affascinanti in questa direzione è quella proposta da Judith Butler, che parla a proposito delle relazioni familiari di Antigone di «disturbo della parentela» (cfr. Butler 2003b, pp. 79-112).

4 Lo spettacolo debutta il 16 ottobre 2010 al Teatro Storchi di Modena, all’interno della cornice del “Festival VIE Scena Contemporanea”; la sua storia, però, è destinata a prolungarsi «perché è talmente in presa diretta con il reale da assumere connotazioni diverse di giorno in giorno» (Nicolò 2011, p. 19).


Bibliografia

Acca F. (a cura di) (2011): Dossier: una scena pop in Italia?, in «Prove di drammaturgia», XVII, 1, settembre, pp. 48-50.

Angelini S. (2011): Organizzare in movimento, in «Prove di drammaturgia», XVII, 2, dicembre.

Biner P. (1974): Il Living Theatre, De Donato, Bari.

Butler J. (2003a), La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte, Bollati Boringhieri, Milano.

Butler J. (2003b): Obbedienza promiscua, in Butler J. (2003a), pp. 79-112.

Casagrande E. – Nicolò D. (2010a): Motus 991_011, NdA Press, Cerasolo Ausa di Coriano.

Casagrande E. – Nicolò D. (2010b): Autoscopia, in Casagrande – Nicolò.

Casagrande E. (2010a): Il teatro di domani, in Casagrande – Nicolò.

Casagrande E. (2010b): Io cerco, in Casagrande – Nicolò.

Nicolò D. (2010): Il virus del qui e ora, in Casagrande – Nicolò.

Nicolò D. (2011): Come trasformare l’indignazione in azione, in «Prove di drammaturgia», XVII, 2, dicembre.

Nicolò D. (copione inedito): Alexis. Una tragedia greca. (Si ringrazia la compagnia per la generosità.)


Sitografia

Grieco A. (2011): Antigone forever, 26 maggio

Nella tempesta. Motus

Motusonline (A)

Motusonline (B)

Motusonline (C)

Ponte di Pino O. (2010): Alexis: i Motus rivisitano Antigone, 14 novembre


Teatrografia

Progetto Ics(x) Racconti crudeli della giovinezza (2007-2008)

Progetto Syrma Antigònes (2008-2010):

- Let the sunshine in (antigone)contest #1 (Debutto: 12-13 giugno 2009, OGR Officine Grandi Riparazioni nell'ambito del “Festival delle Colline”, Torino)

- Too late! (antigone)contest #2 (Debutto: 20-21 Ottobre 2009, “Festival Prospettiva”, Torino)

- Iovadovia (antigone)contest #3 (Debutto: 21-23 Maggio 2010, “Festival Thèâtre en Mai”, Thèâtre Dijon Bourgogne)

- Alexis. Una tragedia greca (Debutto: 15-16 Ottobre 2010, “Festival VIE Scena Contemporanea”, Modena)

Progetto 2011 (2011- in corso):

- Nella tempesta (Debutto: 24-27 maggio 2013, Place des Arts-Cinquième Salle, “FestivalTransAmériques”, Montrèal)

Antigone (Living Theatre. Debutto 18 febbraio 1967, Krefeld)

Hair (James Rado; Gerome Ragni; Galt MacDermot. Debutto 17 ottobre 1967 The Public Theater, New York)


Filmografia

I cannibali (Liliana Cavani 1970)

Porcile (Pier Paolo Pasolini 1969)