gioventGli anni Cinquanta hanno costituito un periodo di transizione nella storia del cinema americano. Hollywood è stata per certi aspetti la risposta a significativi cambiamenti sociali, economici e politici quali l’isterismo anticomunista successivo alla Seconda Guerra Mondiale, la paranoia della Guerra Fredda degli anni Cinquanta, la ripresa economica successiva alla Depressione e al conflitto mondiale. Dopo gli orrori della guerra, l’America cominciò ad avere una visione più positiva e ottimista della vita grazie anche al diffuso benessere sociale. Si assisté alla tendenza, marcatamente americana, a sottolineare l’importanza di uno stile di vita basato sulla centralità degli affetti familiari e della vita domestica e a un accentuarsi della cultura consumista già descritta da Theodor Adorno e Max Horkheimer nel 1944 in termini a dire il vero non positivi.

 

In Dialectic of Enlightenment, gli autori sostengono infatti che quella stessa razionalità che ha reso possibile l'emancipazione dell'umanità e il suo dominio sulla natura abbia generato una nuova forma di dominio, questa volta operata sull'uomo, in cui la razionalità illuminista è diventata mistificazione di massa e ha imposto una cultura consumista, in cui la cultura stessa segue la logica – o le logiche – delle realtà industriali, tanto da spingere gli autori a parlare di «industria culturale».

«La produzione capitalistica incatena talmente [i consumatori] corpo e anima, che essi soccombono senza resistere a tutto ciò che viene loro propinato. E come è sempre accaduto che i soggetti prendessero la morale che veniva loro imposta dai signori più sul serio di quanto non la prendessero questi ultimi, così anche oggi le masse ingannate soccombono, più ancora dei pochi fortunati, al mito menzognero del successo». (Adorno 1944, pp. 133-134)1


Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, si assistette peraltro a un incremento della popolazione americana, dovuto in larga parte alla generazione dei baby boomers, e ad una conseguente carenza di alloggi a cui si ovviò con la costruzione di nuove aree residenziali nelle periferie delle città, i sobborghi, dove le famiglie si trasferirono in massa. Tali fattori socio-topografici hanno ricoperto un ruolo per niente marginale nel processo trasformativo del cinema hollywoodiano, la cui portata è stata appieno compresa solo qualche decennio più tardi. Inizialmente, infatti, quando i cinema erano ancora nel centro delle città, una volta rientrati in casa, i lavoratori non erano particolarmente propensi a recarsi nuovamente in città per andare al cinema. Al contrario, cominciarono a dedicarsi ad altre attività che potevano essere svolte in casa: si diffuse la cultura del fai da te, la pratica di attività sportive e, prima fa tutte, la televisione cominciò a ricoprire un ruolo centrale nella vita domestica degli americani. Altri fattori che hanno contribuito al considerevole calo del numero di spettatori per il cinema sono l’introduzione della settimana lavorativa di cinque giorni e delle ferie retribuite. Maggiore tempo libero e disponibilità economica hanno infatti permesso ai lavoratori americani di viaggiare durante gli ora lunghi weekend, così offrendo una più interessante alternativa alle due ore di svago e distrazione offerte dal cinema. Una delle risposte offerte dall’industria cinematografica è stata l’apertura dei drive-in, relativamente facili da allestire (era solo necessario un ampio parcheggio ed uno schermo), proprio nelle nuove aree residenziali dove le famiglie si erano trasferite nel dopoguerra. Tuttavia, trascorso un iniziale periodo di interesse, i drive-in divennero progressivamente meno frequentati per essere quasi del tutto abbandonati pochi anni dopo.

Costituita ora da adolescenti, la generazione dei baby boomers ha segnato l'inizio della cultura giovanile su vasta scala caratteristica della seconda metà degli anni Cinquanta. In aperto conflitto con le generazioni precedenti – tanto che il loro motto era di non potersi fidare di chi avesse più di trent'anni – i teenagers americani manifestavano e si ribellavano a norme sociali precostituite e radicate e lamentavano la presenza di differenze, incomprensioni e talvolta di una totale incomunicabilità con la generazione precedente, quella dei loro genitori. Per suo canto, Hollywood, nell’ottica di un generale ammodernamento in parte necessario a causa della crisi causata dal calo di spettatori e presa coscienza delle potenzialità economiche dei nuovi giovani americani, cominciò a considerare gli adolescenti come l’audience privilegiato delle sue nuove produzioni, realizzando film espressamente concepiti, tanto per tematiche quanto per stile, per generazioni più giovani. Queste produzioni, ribattezzate con il nome di teenpics, sviluppano narrative meno articolate, presentano effetti speciali sempre più spettacolari e mostrano personaggi sempre più giovani che vivono lo stesso disagio avvertito dagli adolescenti nella vita reale. Grazie a un generale rilassamento dei costumi e delle norme sociali e in conseguenza dell'abbandono dell'Hays Production Code, in seguito alla decisione della Corte Suprema di estendere la libertà di parola ai film, i produttori hollywoodiani cominciarono ad affrontare in misura sempre maggiore argomenti, spesso di carattere sociale, fino ad allora controversi e scomodi. Questioni spesso affrontate dai teenpics includono delinquenza giovanile, erotismo, violenza, alcolismo, droga, razzismo, ma, più in generale, «molti tabù vennero rotti […] e un nuovo realismo penetrò nel contenuto del cinema americano dopo un lungo periodo di repressione» (Cook 2004, p. 429).

Come già accennato, la diffusione della televisione ha costituito un altro elemento, seppur spesso sopravvalutato, che ha contribuito al processo trasformativo e di adattamento della Hollywood degli anni Cinquanta alle nuove condizioni socio-economiche. La televisione, da un lato, ha influenzato le abitudini, la vita e il tempo libero delle famiglie americane che potevano ora essere intrattenute nel comfort delle proprie abitazioni senza avere la necessità di recarsi al cinema e pagare per il biglietto; dall'altro, ha trasformato l’industria dell’intrattenimento e, nel caso specifico di Hollywood, ha contribuito ad avviare quel processo trasformativo che sfocerà, negli anni Sessanta, nella ridefinizione degli aspetti narrativi, stilistici ed estetici che caratterizzano la Hollywood postclassica.

Inizialmente, Hollywood ha adottato un atteggiamento di ostilità nei riguardi del medium televisivo. Identificata (a torto) come la causa della crisi dell'industria cinematografica e del collasso dell'età d'oro di Hollywood, la televisione ha dovuto subire, seppur per un periodo limitato ai primi anni Cinquanta, l’avversione degli studi verticalmente integrati che costituivano l’oligopolio della vecchia Hollywood. È però da evidenziare che l’industria cinematografica «non guardava la televisione da un’unica prospettiva, o da una posizione costantemente antagonista» e numerosi produttori indipendenti da subito «abbracciarono l’opportunità di produrre film per il nuovo medium» (Anderson 1994, p. 2).

«Per l’industria cinematografica lo spostamento alla produzione televisiva […] ha costituito la fase più significativa nel processo di consolidamento che ha eliminato la distinzione fra film e televisione e ha prodotto ciò che viene oggi identificato con il nome di industrie integrate dell’intrattenimento che caratterizzano la “Nuova Hollywood”» (Anderson 1991, p. 99).

Tale spostamento non è stato del tutto omogeneo e privo di contraddizioni. Superata la fase iniziale di reciproca ostilità, se da un lato cinema e televisione stringevano rapporti collaborativi con l’intento di creare nuovi indotti economici e lucrativi, dall’altro Hollywood si adoperava per introdurre numerose innovazioni tecnologiche che la differenziassero in modo significativo dalla televisione nel tentativo di riconquistare il dominio che questa, secondo il suo punto di vista, aveva messo in discussione.

A tal proposito vennero prodotti una serie di film, un esempio fra tanti potrebbe essere Un volto nella folla di Elia Kazan del 1957, che costruiscono una posizione di superiorità morale ed epistemologica del cinema rispetto alla televisione, concepita e rappresentata in questi film come «un mercante di falsa coscienza, un mezzo irrimediabilmente compromesso dalla sua devozione alla pubblicità» (Anderson 1991, p. 87). Lo spettatore televisivo è identificato con il consumatore passivo la cui identità esiste solo come risposta alla mercificazione dei beni. In sostanza, il cinema sarebbe superiore alla televisione non solo a causa dei vantaggi tecnologici che offre ma per il commericialismo della televisione «che inibisce la sua abilità – o volontà – di rappresentare la realtà sociale in modo accurato» (Anderson 1994, p. 18). Le differenze fra i due media non sono pertanto meramente tecnologiche, bensì insite nella loro natura testuale; «[i]n un certo senso, l’industria cinematografica concepiva il testo filmico come se fosse intransitivo – delimitato, completo, estraneo a discorsi commerciali esterni; il testo televisivo era invece visto come transitivo» (Anderson 1991, p. 89-90). La televisione sembra quindi essere l’epitome di quanto Adorno e Horkheimer definiscono «industria culturale», una realtà in cui le masse sono «l’oggetto di un calcolo» e dove «[i]l consumatore non è il re, come l’industria culturale vorrebbe farci credere, non il suo soggetto ma il suo oggetto» (Adorno 1967, p. 85).

Durante gli anni Cinquanta Hollywood attivò la sperimentazione di nuovi sistemi ottici e sonori per realizzare immagini sempre più realistiche ma al tempo stesso spettacolari. Nel tentativo di differenziarsi dalla programmazione in bianco e nero della televisione avviò la produzione di film a colori. Come nota David Cook (2004, p. 388), «la competizione con la televisione […] risultò nella rapida conversione della produzione hollywoodiana da bianco e nero a colore fra il 1952 e il 1955. Nel 1947 solo il 12 percento dei film americani veniva prodotto a colori; nel 1954 la percentuale aveva superato il 50 percento.» Nel corso di una non poi tanto celata lotta alla televisione, Hollywood impiegò peraltro il sistema di riproduzione del suono del dolby e adottò la tecnologia del widescreen, processi audiovisivi volti a conferire alle immagini maggiore profondità, ampiezza, realismo e in ultima analisi spettacolarità. Elementi questi che evidenziano la tendenza hollywoodiana a rappresentare un mondo più reale di quello reale tanto che le rappresentazioni del mondo che il cinema offre divengono per lo spettatore «il riconoscimento [...] della sua capacità di rendere realistico non solo ciò che è di fatto impossibile, ma quanto era precedentemente inimmaginabile» (Wollen 1993, p. 10).

Gioventù bruciata di Nicolas Ray del 1955, oltre a fare riferimento ai già citati cambiamenti sociali, a livello estetico-stilistico impiega delle tecniche per il tempo innovative, tanto che nel 1990 il film è stato ritenuto «culturalmente, storicamente ed esteticamente significativo» dalla United States Library of Congress ed è stato selezionato per essere preservato nel National Film Registry. Uno dei primi film ad utilizzare la tecnologia del CinemaScope, che «metteva insieme l’immagine in widescreen e la banda sonora stereofonica su un’unica pellicola» (Allen 2008, p. 155), Gioventù bruciata, riferimento al libro Rebel without a Cause: the hypnoanalysis of a criminal psychopath dello psichiatra Robert M. Lindner del 1944, narra la storia di Jim Stark (James Dean), un giovane ribelle diciassettenne – da cui il titolo originale del film Rebel without a Cause. La famiglia Stark si trasferisce a Los Angeles e Jim, nel tentativo di inserirsi nella nuova realtà, conosce Judy (Natalie Wood) e fa amicizia con Plato (Sal Mieno), due adolescenti con una situazione familiare in qualche modo analoga alla propria. Judy ha una relazione alquanto problematica con il padre, Plato, figlio di genitori separati, soffre della mancanza della figura paterna – il padre praticamente non compare per nulla nel film – e lo stesso Jim vive in una famiglia in cui il padre (Jim Backus) è succube di una madre (Ann Doran) dominante e dalla forte personalità che lo rende incapace di essere un esempio morale per il figlio. Frustrato dalle incomprensioni e dai contrasti con e dei suoi genitori Jim cerca conforto nei suoi coetanei, ma entra in conflitto con una gang capeggiata da Buzz (Corey Allen). Questi ultimi sfidano Jim a una corsa clandestina d'auto rubate dove il vincitore è colui che per ultimo salta fuori dall'auto in corsa prima che questa precipiti nel burrone verso cui le auto sono state lanciate. Jim accetta la sfida e prende parte alla gara, che si conclude con la tragica morte di Buzz.

In una delle scene del film di maggiore impatto emotivo, Jim rientra a casa dopo l’incidente per trovare il padre addormentato davanti a un televisore accesso ma privo di programmazione, ovvio riferimento all'idea di televisione come the stupid box e, sintomaticamente, è proprio il padre ad essere davanti all’apparecchio televisivo. Jim racconta ai genitori quanto accaduto, cerca di spiegarne loro le conseguenze e chiede loro consiglio sul da farsi, ma si trova a doversi confrontare con due adulti che non capiscono il suo punto di vista. La sequenza qui presa in esame, della durata di sette minuti circa,2 accentua la questione principale di cui il film si occupa, il passaggio brusco e talvolta doloroso all’età adulta, e fa uso dei nuovi approcci estetico-compositivi che l’uso del widescreen ha reso possibili. Jim è con i genitori nel soggiorno e la loro conversazione offre allo spettatore la possibilità di avere una visione privilegiata della loro relazione. Il nuovo approccio estetico associato alla tecnologia del widescreen ricopre un ruolo centrale nel caratterizzare tale relazione visivamente. La sequenza si apre con Jim ripreso centralmente con un campo lungo mentre inizia la conversazione con i suoi genitori. Con il proseguire della conversazione, i personaggi si muovono in fondo alle scale in una scena girata con un piano sequenza che gradualmente si avvicina ai personaggi con una carrellata in avanti fino ad avere la famiglia in un piano americano a tre. «L’immagine in widescreen, composta in profondità, è in grado di contenere una quantità di informazioni considerevolmente più alta della vecchia Academy Frame» (Cook 2004, p. 399). La distanza emozionale fra i membri della famiglia è così fisicamente rappresentata sullo schermo e continua ad essere presente anche quando i personaggi sono ripresi con un piano americano e poi con un primo piano, dato che nessuno dei personaggi ha bisogno di essere eliminato dell’inquadratura. Il widescreen presenta il vantaggio di poter mantenere praticamente intatta la relazione relativa dei personaggi quando la dimensione dell’inquadratura cambia senza doverli affiancare artificiosamente.

Il widescreen presenta anche il vantaggio di contenere una maggiore quantità di informazioni non solo per le maggiori dimensioni dell’inquadratura, che favoriscono l’utilizzo di campi lunghi e piani americani, ma perché incoraggia l’impiego di piani sequenza che, così come sostiene André Bazin (1967b), a differenza del montaggio, mantengono integra la dimensione spazio-temporale del film perché privilegiando i movimenti di camera (principalmente panoramiche orizzontali e verticali e carrellate in avanti o indietro) ai tagli di scena, aumentano il grado di autenticità dell’azione. Riprendendo quanto auspicato da André Bazin, è quindi possibile affermare che con il widescreen i tagli possono essere effettuati «solo per seguire la logica materiale e drammatica della scena» (Bazin 1967b, p. 24) senza aggiungere elementi e «significati non oggettivamente contenuti nelle immagini» (Bazin 1967, p. 25). Inoltre, grazie alla nuova profondità di campo, dove tutti i piani compositivi dell’inquadratura sono a fuoco, le scene, girate in larga misura con campi lunghi, piani americani e piani sequenza, non trasformano la realtà ma la mostrano per quel che è. In tal modo, «la prospettiva ampia e profonda creata dal piano sequenza del widescreen offre allo spettatore un’alternativa democratica e creativa al processo manipolativo del montaggio» (Cook 2004, p. 399). In conseguenza dell’impiego delle tecniche appena citate, la scena di Gioventù bruciata presa in esame contiene dei piani sequenza relativamente lunghi che hanno l’effetto complessivo di ottenere un senso di credibilità rappresentativa.

La composizione spaziale profonda e il conseguente pieno sfruttamento dei piani compositivi possono esprimere efficacemente le relazioni gerarchiche dei personaggi presenti all’interno dell’inquadratura. Con il trasformarsi della conversazione in disputa, Jim e la sua famiglia si spostano a metà delle scale. La scena, girata con un mezzo primo piano, mostra Mrs Stark, il membro dominante della famiglia con le spalle rivolte alla camera in cima alle scale, che guarda Jim e il marito dall’alto. Quest’ultimo, non avendo la forza morale di opporsi alla moglie ed essendo incapace di prendere le difese di suo figlio, è posizionato in secondo piano in fondo alle scale, ripreso con un’inquadratura dall’alto. Fra loro due c’è Jim, ripreso centralmente nel mezzo della disputa, tormentato e contrastato dalle differenze fra i suoi genitori e dalla loro incapacità di capirlo, che guarda la madre dal basso mentre chiede al padre di schierarsi con lui e sostenerlo. Egli si sente tradito, deluso e irritato dalla mancanza di forza morale del padre, la cui costante presenza nell’inquadratura in una posizione di subordinazione rafforza visivamente il fatto che per Jim egli non costituisca un esempio da seguire. È evidente che l’estetica della messa in scena dell’intera sequenza cessa di essere un elemento meramente estetico per acquisire una funzione narrativa.

Come può notarsi, con l’impiego del widescreen «l’enfasi si sposta dal montaggio alle riprese, dato che un piano sequenza composto in profondità e ampiezza è capace di contenere un campo lungo, un piano americano e un primo piano, azione e reazione, all’interno di una singola inquadratura senza far ricorso alla frammentazione dell'immagine» (Cook 2004, p. 398). La sequenza in questione mostra chiaramente che le riprese di Gioventù bruciata nella fase di produzione hanno determinato il prodotto finale in misura maggiore che il montaggio nella fase di postproduzione.

Un ulteriore aspetto altrettanto significativo ed evidente che è doveroso sottolineare è costituito dall’uso che il film fa degli effetti cromatici, non solo perché il film è stato girato a colori per evidenziare il vantaggio offerto dal cinema rispetto al bianco e nero della televisione, ma anche perché il colore distingue i personaggi dall’ambiente circostante. Nella sequenza analizzata, così come in molte altre scene del film, la centralità del protagonista è data dal suo posizionamento nel mezzo dell’inquadratura, ma anche dalla giacca rosso acceso che indossa.

Quanto all’uso del suono, oltre alla conversione dal sistema ottico a quello magnetico, l’adozione del widescreen ha spesso comportato l’uso del «suono stereofonico multi-banda […] [che] non solo inondava gli spettatori con un sonoro più realistico e aumentava l’illusione di profondità, ma ha permesso ai primi produttori di film in widescreen di utilizzare il suono direzionalmente [...]. [I]l suono stereofonico ha permesso ai registi di differenziare con i suoni quanto era spesso visivamente indifferenziato all’interno del vasto spazio delle prime inquadrature in widescreen» (Cook 2004, p. 397), così aumentando l’illusione di profondità ed ampiezza e conferendo un suono nel complesso più realistico.

La scelta dei luoghi e la messa in scena ricoprono un ruolo altrettanto importante e marcatamente simbolico che non si limita a ricoprire una funzione meramente estetica ma che contribuisce a rafforzare il messaggio complessivo del film. La famiglia Stark è in soggiorno, idealmente luogo dell’unione e dell’armonia familiare, della domesticità nei suoi aspetti più intimi e privati, il posto in cui trascorrere i momenti di tempo libero, ma dove loro invece hanno un’accesa discussione. Tale chiara contraddizione rende ancora più apparente la disfunzionalità della famiglia. Inoltre, la loro disposizione lungo le scale richiama efficacemente quell’ordine gerarchico della famiglia che Nicolas Ray ha in più modi analizzato e rappresentato nel film.

Nel complesso, gli anni Cinquanta hanno costituito un periodo di transizione estremamente importante nella storia del cinema. Inizialmente contrapposte in posizioni antagoniste, Hollywood e televisione hanno imparato a coesistere fino a diventare reciprocamente dipendenti. Hollywood ha dapprima venduto alla programmazione TV i film fatti prima del 1948 che non venivano più mostrati nei cinema ma giacevano infruttuosi nelle filmoteche degli studi cinematografici, per poi lanciarsi nella produzione di film intesi espressamente per il piccolo schermo. «Da allora, con la conglomerizzazione dell’industria, e con l’avvento della TV via cavo e satellitare, dei video e di altre ‘finestre’ per i prodotti dell’industria, questa reciprocità è aumentata ulteriormente» (Neale 1998, p. 130). In tempi più recenti, la stessa televisione ha adottato la tecnologia del widescreen, segno dell’ormai radicata sinergia stabilita fra cinema e televisione. La concorrenza iniziale fra i due ha pertanto contribuito al loro sviluppo e ammodernamento, alla standardizzazione di quelle tecnologie che caratterizzano l’industria e paradossalmente al loro rapporto di reciproca collaborazione.


Note

1 Le traduzioni dalle citazini sono mie.

2 Fra il 56º e il 63º minuto circa.


Bibliografia

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