Andrea Bruni

sunrise 2«Se chiudo gli occhi compaiono fosforescenti fioriture e appassiscono e rinascono come carnosi fuochi d’artificio… Mani che sinistramente si chiudono in una luce pallida e assi scricchiolanti su strade di medusa» (Robert Desnos)

«"Oltre ai Monti/ della Luna/ giù nella Valle delle Tenebre/ cavalca, cavalca intrepido",/ così l’ombra gli rispose/ "se vai in cerca d’Eldorado!"» (Edgar Allan Poe)


La bellissima Selene, venerata al pari di Artemide e di Ecate sin dai tempi di Esiodo, financo di Nonno di Panopoli (l’ultimo dei poeti ellenisti, in un mondo già dominato da quegli arroganti monoteisti dei Cristiani) ha avuto, manco fosse una riesumata Norma Desmond, le luci della ribalta su di sé, agli inizi del secolo passato. C’erano quei mattacchioni dei Futuristi (nel 1909, prima, quindi, di diventare mitraglieri in doppiopetto del Regime) che la volevano far fuori al grido di «uccidiamo il chiaro di luna!»; c’era chi – quel sublime anarchico di Buñuel – la slabbrava con una nube nerastra, manco fosse un occhio di donna, pronto per il rasoio. A ridarle il giusto posto fra i marmi degli altari, ci pensarono i più curiosi Dioscuri del Novecento: Friedrich Wilhelm Murnau e Luigi Pirandello. Il grande regista, prima con Nosferatu (1922), magica fusione di asperità espressioniste e di Romanticismi Sturm und Drang, e poi con Aurora (1927) riesce a tramutare la luna in pura ambrosia alchemica: tutto ciò che viene accarezzato dalla sua aura, anche il più banale dei luoghi, si fa sipario cosmico, pregno di ombre, trasparenze, inganni e rivelazioni. Persino una palude nebbiosa può farsi Epifania del Sublime. Ed è questo Incanto rivelatore che porterà, nel 1929, un Pirandello convertito alla celluloide sulla “aurorale” via per Damasco:

«Pura musica e pura visione. I due sensi estetici per eccellenza, l’occhio e l’udito, uniti in un godimento unico. Gli occhi che vedono, l’orecchio che ascolta, e il cuore che sente tutta la bellezza e la varietà dei sentimenti che i suoni esprimono, rappresentata nelle immagini che questi sentimenti suscitano ed evocano, sommovendo il subcosciente che è in tutti, immagini impensate che possono essere terribili come negli incubi, misteriose e mutevoli come nei sogni… Cinematografia: ecco il nome della vera Rivoluzione!»

Sarebbe interessante meditare sul fatto che l’Idea di Cinema del grande scrittore di Agrigento non sia poi così distante dal celebre Dogma Surrealista: «L’Occhio è puro solo se allo stato selvaggio», ma a noi ora interessa il Cinema “lunatico” che avrebbero potuto forgiare insieme Murnau e Pirandello. Nell’ottobre del 1928, sulla mussoliniana rivista «Popolo d’Italia», il papà de Il fu Mattia Pascal annuncia a tambur battente una riduzione cinematografica di Sei personaggi in cerca d’autore, ma lasciamo a lui stesso la parola:

«Ho una fiducia grandissima in Murnau. Solo lui potrà capirmi, solo con lui potrei accingermi a comporre e a girare il lavoro. Tanto che, se non ottengo dalla Casa tedesca la sua cooperazione, andrò in America con lui, sicuro di combinare con altri. E le dico che se Murnau ci mette mano, Sei Personaggi ci guadagneranno in evidenza, direi quasi in originalità. Lei sa che io prendo parte al lavoro in qualità d’attore cioè d’autore quale io realmente sono. Ciò che è detto e sottinteso nel lavoro, nel film si vedrà realmente, e successivamente svolgersi. Lei rammenta il punto di partenza di Sei Personaggi: io ho concepito un’azione teatrale, ma poi le difficoltà nel tradurla in opera d’arte mi fanno rinunciare ad ogni tentativo ulteriore di realizzazione. Ciononpertanto, i personaggi di quella azione, da me rifiutati, non cessano d’assillare il mio cervello al punto che mi diventano quasi un incubo. Tutto questo si vedrà. Cioè si vedrà  com’io mi imbatta nello spunto che poi mi dovrà invogliare a dare al fatto bruto forma d’arte. Può immaginare (le do un esempio a caso perché ogni dettaglio io lo lavorerò con Murnau), può immaginare me che incontro per un vicolo sudicio una ragazza che mi sfiora recandosi in una casa equivoca. Questa ragazza – che io poi conosco e con cui per pietà, per interessamento, continuo a mantenere i rapporti – resta nella realtà lei con il suo dramma, con le sue preoccupazioni. Ma intanto in me quel suo dramma si trasforma in fantasma artistico: accanto alla ragazza vera un’altra ne sorge: il suo doppione, il suo sosia artistico, nel caso nostro quella giovane che in Sei Personaggi incontra il padrigno nella casa d’appuntamento di Madama Pace. Cinematograficamente lei può figurarsi me che nel mio studio ho di fronte, seduta, la ragazza del vicolo, che mi racconta i suoi casi. Racconta, ma mentre racconta, una le nasce accanto che le somiglia, visibilmente dico, un fantasma ancora pallido, il personaggio della favola immaginata, che trae dalla vita del personaggio reale, ma anche dalla mia fantasia, nutrimento. E così, la narrazione dei casi della ragazza – dei casi veri – ne suscita altri analoghi – fantastici – e da essi e da tutto ciò che in me autore si evoca, per associazione, nascono, via via abbozzati i Sei Personaggi e la loro vicenda. Lei può immaginarmi in seguito – ansioso, crucciato – cercare con disperazione di farne qualcosa, essere ossessionato, circuito, stretto d’assedio.»

Un fantasma ancora pallido che nasce dalla testa di Pirandello. È “l’arte della meraviglia” inventata da Georges Méliès col suo cilindro da Cappellaio Matto, portata allo Zenit dagli Espressionisti che, varcati gli oceani, tramutarono pure Hollywood in una cupa caverna illuminata ex abrupto da pallidi zolfanelli. Il sogno di Pirandello, però, resterà tale per la tragica morte – ai limiti della Performance Definitiva – di Murnau, nel marzo del 1931. Ma basta leggere anche solo l’incipit della sua sceneggiatura per rendersi conto di una Verità. Quando, infatti, leggiamo un frammento come: «Il crepuscolo, con la sua luce fioca, illumina le ville del quartiere suburbano. Il Poeta si allontana dalla finestra e va su e giù per la stanza come assorto in profondi pensieri. Poi si siede. La stanza si riempie di una specie di nebbia dalla quale affiorano a poco a poco figure imprecise, vaghe, mutevoli, fantastiche. Si stringono intorno a lui e sembrano opprimerlo, come in un incubo, una infinita tristezza», abbiamo la certezza che quelle lunari nebbie blu cobalto, quegli inquieti vapori da sex appeal spettrale, hanno contaminato tanto Cinema a venire.

Periodi Blu

«A candy-colored clown they call the sandman/ Tiptoes to my room every night/ Just to sprinkle stardust and to whisper: "Go to sleep, everything is alright"» (Roy Orbison, In Dreams)

Il Grande Saggio Manoel De Oliveira (nel Valhalla dei Registi si vocifera che, quando il Portoghese abbandonerà le proprie spoglie mortali, il Cinema lo seguirà nella tomba) ha dovuto raggiungere l’età di 101 anni per officiare un matrimonio aereo tra Walter Benjamin e Chagall: O Estranho Caso de Angélica (2010) è, in primis un atto d’Amour (fou?) al Cinema ed un esempio di Romanticismo estremo che ascende alla verticalità del Gotico. L’enigmatico sorriso di Angelica, Ofelia postmoderna, prende vita nell’obbiettivo della macchina fotografica (non digitale) del ritrattista Isaac, che si fa Ebreo (Ebbro?) Errante fra i Campi Elisi della Riproducibità Tecnica. De Oliveira, per i propri fantasmi, sceglie le trasparenze di Georges Méliès, a differenza del brasiliano José Mojica Marins che, nel testamentario, definitivo, Encarnação do Demônio (2008) sceglie il “black and white” dei propri esordi, incistando così di pallidi ectoplasmi di un passato che non c’è più, la furia iconoclasta (molto Hermann Nitsch, con i suoi Cristi scorticati in Technicolor) del becchino Zé do Caixão. Due atteggiamenti solo apparentemente opposti ed antitetici per mostrarci “l’Immortalità delle Immagini”. Immortalità che conosce molto bene Francis Ford Coppola, il più colto dei “Movie Brats”, invecchiato meglio di una bottiglia di Amontillado, da quando si è fatto Eremita e Indipendent. Scrive, il Nostro, nei suoi diari, poco prima delle riprese di Dracula di Bram Stoker (nell’ottobre del ’91): «Plotino prese tutte le idee di Platone, ma vi aggiunse il concetto di un’anima o coscienza che di fatto è controllata dalle immagini. Immagini che alla fine danno origini di sensazioni che trasmutano. Se prendi l’uva, ottieni il vino; se prendi il vino, ottieni il brandy. Per cui bisogna trovare la singola immagine che attraversa la cosa, un senso della natura organica a cui tutti apparteniamo. È la Forma che conta, piuttosto che la Verità che sta alla base: una bellezza distinta dalla realtà». E se pensiamo al Conte Vlad che scopre il Cinematografo, con la complicità del fassbinderiano Michael Ballhaus, se torniamo con  la mente allo sciamanesimo da “Camera Obscura” di Un’altra giovinezza (2007), alla preraffaellita radicalità di Twixt, diremmo che il cerchio (composto di stupendi fuochi fatui) si chiude.


Bibliografia

Càllari F. (1991): Pirandello e il cinema: con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi, Marsilio, Venezia.

Coppola F. F. (1994): I Diari, in Ghezzi E. (a cura di), «Panta: cinema», vol. XIII, Bompiani, Milano.


Filmografia

Aurora (Sunrise: A Song of Two Humans) (Friedrich Wilhelm Murnau 1927)

Dracula di Bram Stoker (Dracula) (Francis Ford Coppola 1992)

Encarnação do Demônio (José Mojica Marins 2008)

Nosferatu - Il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens) (Friedrich Wilhelm Murnau 1922)

O Estranho Caso de Angélica (Manoel De Oliveira 2010)

Twixt (Francis Ford Coppola 2011)

Un'altra giovinezza (Youth Without Youth) (Francis Ford Coppola 2007)