Alcuni vicini approfittano dell’estate per riparare le proprie case

 

[…] È giunto il momento: si prova a riposare e sembra che la gente galleggi, e che all’improvviso già non ci troviamo qui, ma nella Alerce Norte di Puerto Montt o a Calama, Quillota: estate piena: pascoli asciutti, uomo in triciclo verde cloro, una famiglia seminuda sopra un pavimento incerato, mangiando anguria, la tele sempre accesa e le piscine di plastica nei cortili sul retro, nei giardinetti, nei camminamenti, sui marciapiedi, in dubbiose aree verdi, fuori dai blocks! un parco acquatico, un alveare di occhietti di acqua plastificati, terme popolari dove può entrare una piscina dove le acque a quest’ora sono un brodo di umani, ogni persona che si mette nell’acqua lascia la sua impronta: sudore e saliva, per lo meno. un turchese torbido che si arricchisce nell’acqua. quando gli umani smettono di rigirarsi nell’acqua, lasciando lì i propri fluidi, la piscina è abbandonata per un paio di giorni e l’acqua si calma e diventa verdognola, odora di carattere, ed è un regno a parte che inizia ad assorbire le acque stagnanti in progresso, minacciando le flore intime dei vicini. però ai vicini non importa. è come se a quest’ora niente importi, fa caldo, si possono ascoltare i tetti comprimersi, guardare come le formiche risalgono una buccia di anguria, fumare e provare vertigine, sentire nella gola una Dorada, pensare di comprare un’amaca: pensare nei droni che escono dal commissariato, in quante videocamere di sorveglianza ci sono, chi starà osservando adesso il paesaggio vuoto, vigilando una población, che a volte, come a quest’ora dell’estate, post-pranzo, si pixelizza, mentre cade il segnale.

 

Venerdì 7 settembre 2018

 

All’alba dico addio a Iztayana come avrei fatto con mia sorella, Fidel Castro mi trascina nell’auto fino alla stazione dei pullman, gli passo dei soldi per la benzina e mi aspetta fino a quando il bus parte verso Comitán. La notte non dormo bene, a volte mi succede che dormo però la testa continua a funzionare, penso ai miei fratelli, alla fragilità lavorativa dei miei genitori, per non parlare della mia, e divago e raggiungo posti pieni di vermi e sogno che cerco di dormire e mi rigiro e sudo e nemmeno masturbarmi mi rilassa o mi stanca, e posso retrocedere a qualsiasi età, ho ricordi da quando avevo tre anni, e un baule ne apre un altro, matriosche piene di odori e voci, parole chiave che aprono altre parole chiave, corpi, rose, pinze, grassa nera, viti, l’officina di mio padre in La Pintana, l’ultimo 11 settembre a Punta Arenas insieme a Oscar Barrientos, la casa di Samantha a Tijuana, la sua famiglia che lavora nel circo piena di pagliacci brillanti e generosi, questi blocks proletari di Baja California così simili a quelli di Bajos de Mena a Puente Alto, mia nonna che agonizza nell’ospedale di Roncagua con il cuore gonfio e i polmoni neri, mio nonno che prima di morire mi dice il mio Pablo Neruda: non fumare mai marijuana, non dimenticare mai che esiste una sola donna, mio nonno che pranzò insieme a Fidel Castro in Cile nel ’71, ma non con il Fidel del Chiapas, con il comandante, mio nonno fabbro che lavorò nella Corporación de la Reforma Agraria CORA, che alfabetizzava nei campi della sesta regione, che lavorava il ferro e aveva una fucina, mio nonno colpendo il ferro al rosso vivo che venne arrestato, le mie zie bruciarono tutte le foto con Fidel, le foto con Allende, le mani che sudano e i sigari e le sigarette che finiscono, non venderanno più birre da un litro e mezzo e finisco nella periferia agli inizi degli anni ’90, e ti dicono che se non sono i sentieri di Gesù sono quelli della pasta base [1] e uno lì, con la faccina rotonda di riso e spaghetti osservando la cordigliera delle Ande ardere durante i tramonti d’estate, collegio dopo collegio, sempre il compagno nuovo che arriva a metà dell’anno, Pichilemu, Huamachuco, Malloa, San José de la Estrella, Pelequén, Rengo, Monte Patria, Puerto Montt, Comitán non è a più di due ore da San Cristobál e continuo senza dormire, e la mia testa è un tagadà, e l’odio e la pena e l’insonnia occupano posti esatti però incontrollabili, già non ci sono telefoni pubblici a Santiago, però è da uno di loro che chiamai a Bulma per la prima volta e le dissi che volevo andare a vivere a Iquitos, per il solo fatto di aver visto Fitzcarraldo insieme l’ultima volta che ci vedemmo a casa sua, e lei che mi dice ma dai, amore è da coglioni, vieni qui Cabeza de Chancho, e io che cammino verso casa sua raccogliendo mozziconi di sigaretta, trattando di trovarle un regalo nella spazzatura dispersa nelle notti di Santiago centro, una carta da gioco, una bambola, un qualunque oggetto per significare questa notte dove per la prima volta scoperemo o faremo l’amore o copuleremo o fotteremo e faremo a turno per vederci dormire e scrivere questa trasmissione in diretto di quello che sarà una storia piena di lavoro cercando di aprire le porte della neozona, però arrivo a Comitán e compro un panino al prosciutto e una cocacola e ci metto così poco ad arrivare a Ciudad Cuauhtémoc, a solo un paio di chilometri dalla frontiera con Guatemala, però quando cerco di timbrare il mio passaporto i poliziotti messicani mi dicono che devo pagare un tassa, che tassa porca puttana, la tassa legale per lasciar il paese via terra, sono 500 pesos, la metà dei miei risparmi, sbirri stronzi di merda, quando attraverserò il confine perderò il segnale internet e non potrò più lasciare segni o messaggi di dove sono lascio il Messico dopo cinque mesi di addestramento nella camera del tempo sulle terrazze e mi rendo conto che l'America Latina è un grande quartiere popolare, mi timbrano il biglietto dopo aver pagato e prendo un taxi per La Mesilla, frontiera di fiera, e il tassista mi chiede che faccio dove vado, gli dico che voglio arrivare in Nicaragua, e mi dice che è falsa la presunta migrazione di Nicas verso il Messico, che quelli che stanno attraversando da molto tempo sono gli honduregni che migrano, senza soldi, con tutta la fede verso nord, ed entrando in Guatemala mi timbrano pagando 20 quetzales e non mi chiedono la vaccinazione per la febbre gialla e salgo su un mototaxi fino all'uscita dei bus a Huehuetenango, mezzi Blue Bird, come quello che guida Otto ne I Simpson, ma trattati e decorati con più amore che alla vergine di Guadalupe, e salgo e mi metto in fondo, sempre mi siedo in fondo agli autobus, me la voglio passare bene, il
cappello che mi hanno regalato i ragazzi del Atlante lo uso così la sua visiera mi copre gli occhi (il mio cappello oaxaqueño mi dava un’aria troppo di turista e l'ho lasciato a San Cristobal), ho gli occhi verdi e se guardo troppo a lungo agli occhi dei bambini questi cominciano a vomitare, non voglio ricambiare lo sguardo quando mi fanno pagare, cerco di parlare in spagnolo neutro, pronunciando le s, come farebbe Goku, come farebbe Bulma, un presunto deportato messicano cerca di venderci dei bonsai e ci dice di non ignorarlo, e partiamo tra le montagne verdi e nuvolose e attraversiamo un ponte che si chiama Valparaíso, c'è un'ora in meno in Guatemala rispetto al Messico, ora oltrepassiamo un villaggio chiamato Democrazia, le pompe funebri l'Ultimo Costume, e il paesaggio è montuoso, come se stessimo andando a Baños Morales o Farellones, ma tutta la montagna è verde e si possono vedere case e piantagioni molto in alto, lontano, case circondate da piantagioni inclinate, balconi di montagna ed il viaggio è lento e pieno di musica di banda, l'assistente del conduttore attraversa il corridoio in fondo al bus, apre la porta sul retro, con il bus in movimento su una strada di montagna sinuosa, e sale le scale fino al tetto e accomoda valigie con una sicurezza così contraria alla cultura TurBus cilena, così assicurata e codarda, e non mi interessa scattare foto, non mi interessa lo stile NatGeo, ma ancora mi sorprende che dalla porta posteriore si intrufolino nelle curve, quando il bus rallenta, i venditori di frutta in sacchetti, manghi, noci di cocco, arance, e mi dico questi potrebbero facilmente essere venditori nelle fiere di La Pintana, e le ragazze sedute davanti a me non parlano spagnolo, e nemmeno inglese, e mangiano e ridono e gettano la plastica fuori dalla finestra, e mi dico ok, fa più male buttare un sacchetto di plastica fuori dalla finestra che darsi arie da giusto per non farlo? Forse la spazzatura di tutti i moralisti coglioni che interpretano e discriminano questa azione ignorano la loro produzione di merda? Così lontani si sentono dalle discariche santuari che essi stessi ignorano della propria modernità? Andate a fanculo e suona l'ultima canzone di Arjona: «è rimasto senza reggiseno per sostenermi», e penso che Arjona sia guatemalteco, e arrivo a Huehuetenango e sotto la mia visiera dell'Atlante entro in un Pollolandia, pollo fritto, omelette e cavolo all'aceto, ovunque c'è pollo fritto e mentre mastico, una bambina, non più di 5 anni, fruga nel cassonetto del locale, estrae ossa e avanzi di cibo, e scommetto che non mancherebbe il turista filmando la bambina mentre tira fuori ossa di pollo dal cassonetto per dire su Instagram che la situazione dell'America centrale è talmente precaria che le ragazze devono mangiare da lì per soddisfare il loro consumo di proteine, ma perché dovrei scommettere i miei gioielli sui maiali, la bambina stava raccogliendo ossa per una cagna che stava allattando i suoi cuccioli sdraiati su un lato del carrello delle omelette dove lavorava sua madre o zia o la donna che si prendeva cura di lei, e le accostava sul muso ogni osso e pelle arrostita con un affetto e complicità così belle, così cosa che abbiamo fatto tutti per i cuccioli che amiamo, che mi sono detto bah, e ho scritto e ho preso un altro autobus senza bagno al terminal da Huehuetenango a Città del Guatemala, dovevano essere 8 ore, e il passaggio non era costoso, ho imparato che nulla è costoso fuori dal Cile, perché poco fa mi sono reso conto che in Cile ci hanno abituati a mangiare merda e pagare caro per questo, lo amano, così di misura media: fatta in casa, ho patate grandi e patate ragazze in vendita, di quale le vendo? come vi taglio il formaggio, come gli taglio il maiale, magro o grasso? né così magra né così spessa, media. No figliomio, per viaggiare al di fuori del Cile è necessario conoscere il proprio paese, sostenere il cileno perché è cileno, siamo il miglior paese di Cile fratello e che San Pedro de Atacama, che la Torres del Paine, che Rapa Nui come segni o souvenir di fasi economiche del sistema, andando a Parigi in cerca di assenzio, a Berlino in cerca dell'Orso, nel DF a bolañeare, i più tamarri continuano a credere a Buenos Aires, raccomandando Valparaiso come patria culturale marcia degli universitari santiaguini che imparano a suonare con la chitarra canzoni dell'Artaud di Spinetta, ponti gialli e cazzate, l'unico giallo sono i fiumi di piscio per il nuovo anno, e le nostre vaghe categorie genitoriali quando viaggi solo, quando non conosci colui che ti accoglierà, lanciandoti senza concorso o lotteria e la finestra del bus è un film con camion parcheggiati, con case sulla strada che non conoscerò mai, e comincia a fare buio e il bus si riempie presto in un villaggio, l'assistente dell'autista prende dei secchi di plastica e li dispone lungo il corridoio in modo da far sedere più persone, ma in salita, in curva, il bus frena inaspettatamente e tutte le persone sedute nei secchi cadono e si spargono sul pavimento, un uomo insulta l'assistente del conducente, gli dice perché ci tratta come animali, che non c'è più rispetto, che ho un amico poliziotto e che la cosa non rimarrà così, e prende un telefono e fa finta che parla con un poliziotto e l'assistente dice ai passeggeri che solo fanno gli indignati per non pagare il biglietto, e una vecchia lo rimprovera per avere alito di birra, e lui risponde signora sono cristiano, anni che non bevo, e io prendo una fiaschetta di rum e scende la notte (sono alla finestra e non penso di cedere il posto), curve e valli, vulcani e montagne nuvolose, e mi fa male entrare di notte nelle città sconosciute, senza telefono, senza conoscere le persone che mi accoglieranno, che in questo caso sarà il poeta guatemalteco Yaax Temoatzin […]

 

Lunedi 10 settembre 2018

 

[…] Durante la notte arriviamo al confine con l'Honduras. Un ragazzo mi chiede se posso prestargli il caricatore dal mio telefono. Glielo passo. Si chiama Ernesto.

-Voglio capire come chiedere asilo in un paese, voglio uscire dal Nicaragua, al più tardi quest'anno.

Arrivano Santiago e Marcia. Ci invitano a fumare.

Mi chiedono com'è il Cile.

-È freddo. In inverno la cordigliera è innevata. Dato che è un paese stretto, in uno stesso giorno si può stare la mattina sulla neve e la sera sul mare. Ha molti paesaggi e gli automobilisti nelle città sono amichevoli con i pedoni. Ci sono spiagge in cui uno ancora può andare in campeggio con la ragazza senza paura di essere derubato o assassinato. Il Cile è un paese che si può ancora percorrere facendo autostop e la gente non è cattiva, a volte un po' stupida, ma in sé la gente non è cattiva. Là i tramonti e le albe sono lunghe, ma Cile non è del Cile...

-Il Cile è del Cile? - mi chiede Santiago.

-Esatto. Cile non è del Cile. Cile è Cile solo nel nome, nella facciata, dentro il quartiere americano Cile è il vicino che aspira ad entrare e uscire dagli Stati Uniti senza problemi, è come Kiko, nel quartiere del Chavo.

-Come, voi arrivate e vi lasciano passare come se niente fosse negli Stati Uniti?

-Qualcosa del genere.

-Bisognerà andare in Cile allora! - dice entusiasta Santiago.

-Se mi avvertite e volete venire a Santiago, vi ospito. Nessun problema.

Timbriamo i passaporti ed entriamo in Honduras. Gli animi si calmano e si tenta di dormire. Marcia appoggia la testa sulla mia spalla. Poco prima dell'alba arriviamo al confine con il Nicaragua.

-Se la polizia ti chiede qualcosa, non dire che sei un giornalista... mi dice Santiago scendendo dall'autobus e camminando dove timbrano l'ingresso nel paese.

-Signore, sono un comune studente, vengo a fare del semplice turismo.

-Esatto. Per qualsiasi cosa scrivi il mio numero e il mio indirizzo a Managua, dì che vieni con me, ma non dire assolutamente che stai facendo delle ricerche.

Scrivo sul mio taccuino i dati di Santiago. Facciamo la fila davanti alle cabine della polizia. Io sono l'unico non-nica dell'autobus. Consegno il mio passaporto a una donna stanca in uniforme. Guarda il mio passaporto, si ferma osservandomi. Guarda la mia foto e la mia faccia.

-Che vieni a fare in Nicaragua?

-Turismo.

-Dovrai aspettare un momento.

Mi ritirano il passaporto. Hanno già timbrato quelli di tutti i passeggeri del bus. Esco a fumare. L'alba. Gli uccelli cantano. Si risveglia la fauna selvatica. Gli autisti del Julio César dormono su alcuni cartoni sul lato del bus. Dopo un'ora appare un poliziotto assai alto e grasso, intimidatorio, chiedendo chi è il cileno.

-Sono io.

-Venga qui, per favore.

Mi fa passare dentro una piccola stanza, ci sono solo due sedie e un riflettore.

-Si sieda per favore.

Il poliziotto sta in piedi. Dietro di lui si vede la bandiera Rossonero del Fronte sandinista di liberazione nazionale.

-Lei è un giornalista.

-Che cosa!

-Che lei è un giornalista.

-Per niente, io non...

-Sì, lo è. Che ci fa qui?

-Conoscendo...

-Conoscendo che.

-La natura. Sono uno studente.

-Studente di che?

-Ho studiato in Messico.

-Però cosa.

-Meccanica automobilistica.

-Dove vai?

-A Managua.

-Dove andrai a Managua.

-A casa di un amico.

-Che amico.

-Un amico con cui viaggio.

-Dove l'hai conosciuto.

-In Guatemala, a una festa.

-Dov'era questa festa.

-In centro, Zona 1, credo.

-Hai l'aspetto di un giornalista.

-Per niente.

-Il tuo amico è qui?

-Sì.

-Che entri.

Mi alzo dalla sedia. Santiago aveva l'orecchio incollato alla porta e quando apro quasi entra di colpo nella stanza. Immediatamente gli chiedono nome, indirizzo e occupazione.

-Ho lavorato nel governo, dice.

-Dove.

-Qui, guardi.

Santiago gli mostra alcuni documenti. Il poliziotto li osserva con attenzione.

-Dove si sono incontrati -chiede il poliziotto a Santiago.

-A una festa in Guatemala, agente, che festa! Non sapevo che i cileni ballassero così bene!

Il poliziotto è una pietra. Sta zitto.

-Ti darò solo 30 giorni e dovrai pagare 13 dollari -mi dice-, quanti soldi hai in tasca?

-Credo di avere un migliaio di quetzal, non ho ancora comprato córdobas, ma riceverò dei soldi quando sarò già a Managua.

-Chi ti manda i soldi?

-Mia sorella.

-Chi è tua sorella?

Do un nome qualsiasi, lui lo scrive su un piccolo taccuino dove viene annotando alcuni dettagli dell'intervista.

-Potete andare.

Usciamo al fresco con Santiago, accendiamo una sigaretta. Lo ringrazio.

-Benvenuto in Nicaragua, mi dice.

Mancano ancora due ore alla partenza per Managua. Offro pane e formaggio a Marcia, Ernesto e Santiago. La polizia doganale deve controllare tutti i nostri bagagli, ci mettono in fila accanto alle nostre borse. Al mio fianco c'è una ragazza che va in giro con cinque grandi borse piene di chissà cosa.

-Ho paura, vado in giro con un uccellino in questa scatola -mi dice- nelle sue mani sostiene una scatola di scarpe con fori sul coperchio.

-Spero che non si metta a cantare quando passa il poliziotto dice ridendo.

L'uccello non canta e sistemiamo le nostre borse, ripartiamo e l'umore è allegro, la gente torna a conversare, quelli del gruppo di Santiago cominciano a scherzare.

-Maporcaputtana, che cazzo fai con quel canarino per Dio... - dice Perla, l'anziana linguacciuta, alla ragazza dell'uccellino

 -E questo figlio di puttana, cane Messicano che non sa guidare, ACCENDI L'ARIA O TI PRUDE IL CULO? Messicano morto di fame, vuoi che ti gratti il buchino, messicano? Si vede che non sei stressato per niente figlio di puttana, ti viene il latte alle ginocchia! Ti prenderò tutto il tempo per il culo, cane messicano! ci tieni a tutti con diarrea, faccia di culo! Vuoi toccarmi la bambolina per caso?!

L'intero autobus ride. Anche il messicano di cui si parla e che sta guidando. Mettono reggaeton e la cosa prende vita. Ma il bus ha un guasto. Sono le 10 del mattino dell'11 settembre 2018 e tutti noi passeggeri ce ne stiamo all'ombra di un albero al bordo della strada. Il calore e l'umidità si sentono già forte. Solo a mezzogiorno riescono a riparare il guasto e avanziamo.

Prima di arrivare a Managua, quando l'aria condizionata ha già smesso di funzionare e il torpore ci travolge, tentiamo di dormire. Ci stavo provando quando Marcia ci saluta. Scende prima di entrare a Managua. Mi sono dimenticato di chiederle l'amicizia su Facebook. Santiago si siede accanto a me. Entrando a Managua si vedono sequenze di terreni abitati da precarie case coronate con le bandiere del Fronte sandinista. Siamo passati per una statua di Salvador Allende, vedo murales della Brigata Ramona Parra.

-Oggi è l'11 settembre, dico a Santiago.

-Credo di sì.

-In Cile è una data importante.

-Perché?

 


Compro ferro

desaparición de la población Santo Tomás, La Pintana

 

conocí a la Chica días antes

del fin del mundo.

Cristo había llegado hace tiempo

y vivía en la Santo Tomás.

por esos días la gente andaba en la magia

aplaudiéndose la cabeza.

éramos pura bulla.

vimos los supermercados transformarse en perreras

y los carros de sopaipillas

en palomares.

sólo alcanzaba para quedarnos escuchando árboles.

por esos días ya estábamos todos tan

solos

que ni nos dimos cuenta

cuando de un sablazo

el cielo

se nos rajó

 

scomparsa della popolazione San Tomás, La Pintana

 

Ho incontrato la Ragazza giorni prima

della fine del mondo.

Cristo era arrivato da tempo

e viveva nella Santo Tomás.

A quei tempi la gente faceva magie

applaudendosi la testa.

Eravamo solo rumore.

abbiamo visto i supermercati trasformarsi in canili

e i carretti di sopaipillas[2]

in colombaie.

Solo ci bastava per rimanere ascoltando alberi.

In quei giorni già eravamo tutti così

soli

che non ci accorgemmo

quando all'improvviso

il cielo

ci è stato squarciato


“ponme la mano aquí, Macorina, ponme la mano aquí”

 

si no fuera la noche

lo único que te abraza

si no fuera esta luz naranja

este abrir de portones

este encierro en candado

si no fuera que duermes

que en el día

detrás de tu cara

en el fondo

en el tope del ojo

sigue tu control y tu contento

si supieras de la berma

que desgastas con tu rito

de farmacia y promoción

quemando sombra y ceniza

que te ganas a gotas y gateando

y supieras que estás viva

sin conocer los hielos

lejana

brillando de animitas y museos

aquí la tierra sería tu único calor

 

"Metti la mano qui, Macorina, metti la mano qui"[3]

 

se non fosse la notte

l'unica cosa che ti abbraccia

se non fosse questa luce arancione

questo aprirsi di cancelli

questa reclusione sottochiave

se non fosse che dormi

solo nel giorno

dietro la tua faccia

sullo sfondo

nella cima dell'occhio

segue il tuo controllo e la tua felicità

se tu sapessi del marciapiede

che consumi con il tuo rito

di farmacia e promozione

bruciando ombra e cenere

che ti guadagni lentamente e strisciando

e sapessi che sei viva

senza conoscere i ghiacci

lontana

brillando di anime e musei

qui la terra sarebbe il tuo unico calore

 

pescadores de volantines

 

y me la paso

persiguiendo

volantines cortaos

como si la vida fuera

domingos

canchas de tierra

evangélicos, choros

y panquis

vestido a capela

correteo cortados

ojos color techo de lata

salpicados

de la caída

se fue se fue

el abandono

se fue se fue

al aire

El cortao se mira

como meneo

de pluma cayendo

y es lo único

con sentido

 

pescatori di volantini

 

e me la passo

inseguendo

volantini tagliati

come se la vita fosse

domeniche

campi di terra

evangelici, cori

e punk

vestito a cappella

scorrazzare tagliato

occhi color soffitto di latta

schizzati

dalla caduta

è andato via è andato via

l'abbandono

se n'è andato se n'è andato

nell'aria

Il taglio si guarda

come ondeggiare

di piuma che cade

ed è l'unica cosa

che ha senso

 

terrapuerto

 

yo sólo quiero el mapa de los perros

la fuerza necesaria

para cargar con los frutos de la tierra

una chaleca pa cuando esté tranquilo

y un libro que me tape la nuca

como un rayo paralelo al mar

 

terraporto

 

Io voglio solo la mappa dei cani

la forza necessaria

per caricarmi i frutti della terra

una ragazza qualsiasi quando sto tranquillo

e un libro che mi copre la nuca

come un raggio parallelo al mare

 

acabo de escuchar 17 balazos y alguien gritando en la calle mi amor

 

ho appena sentito 17 spari e qualcuno che urlava per strada amore mio


[1] Miscela di coca con solventi quali paraffina, benzene, etere, acido solforico, kerosene, acetone, carbonato di sodio e ammoniaca, tra gli altri

[2] Pasta fritta di forma rotonda servita con salsa. Popolare cibo da strada.

[3] Celebre brano di Chavela Vargas

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