«Muscoli e nervi sono più sicuri di tutte le preghiere. […]
Ciascuno di noi
tiene nelle sue cinque dita
le cinghie motrici dei mondi!»
(Vladimir Vladimirovič Majakovskij, La nuvola in calzoni)

Interrogate ben bene le proprie vertebre ha deciso di credere solo all’evidenza di ciò che agita le sue midolla, non a ciò che si indirizza alla ragione (cfr. Artaud in Pasi 1989, p. 31). Virgilio Sieni inventa una danza in memoria per commemorare le vittime di piazza Fontana, la strage per antonomasia della storia della Repubblica italiana, quella del 12 dicembre del 1969 alla Banca nazionale dell’agricoltura di Milano, pensandola come un gioco del tatto che infrange il tabù del tocco: «quale gioco un danzatore può proporre nell’incontro con persone che hanno vissuto e resistito agli sconvolgimenti della vita? L’unica risposta che sento, la più vicina al senso di quest’esperienza, è il “toccare con mano”» (Sieni).


Una partitura coreografica, una specie di flusso di coscienza capace di divenire azione e trasformarsi in danza, sulle note del violoncello, dal vivo, di Naomi Berrill, che Sieni improvvisa con i parenti delle vittime incontrati poco prima di andare in scena. Si presentano uno a uno: Carlo Arnoldi, Federica, Matteo e Paolo Denden, Paolo Silva. E quando tocca a Claudia Pinelli, quel cognome causa un tuffo al cuore.
Seduti, in scena, su una fila di siede, ciascuno è invitato dal coreografo a confrontarsi con lui, che guida i loro movimenti in un gesto fluido e continuo, legato alla costante alternanza tra il dare e ricevere peso, che dà forma a una danza unica e irripetibile, perché in costante mutamento, non spettacolo precostituito e dato.

Mani e piedi si intrecciano e poi si riflettono, quando Sieni chiede, coi gesti, di imitare i suoi passi, per costruire assieme nuove trame. Ogni tanto il coreografo si distanzia e si avvita in emozionanti assoli: non è l’autocompiaciuta esibizione di un movimento, bensì la dimostrazione di un sapere incorporato, di un corpo che ha acquisito il senso di quel movimento, ha abituato quel movimento al punto di metabolizzarlo, tanto da poterlo riproporre in un nuovo nucleo di significati. Poi ritorna, e i passi a due si aprono all’intromissione di un terzo, di un quarto, e quindi a una danza di gruppo che diventa un girotondo di abbracci e sorrisi.
Di fronte agli occhi degli altri, spettacolo che si ispira al testo di Susan Sontag Davanti al dolore degli altri, riflette sul senso di condivisione della propria tensione interiore, non per cancellarla, ma per renderla, forse, più tollerabile, provando attraverso la partecipazione a dare un senso, una drammatica esperienza di dolore.

Il corpo, nella danza, diventa preminentemente campo di espressione e di relazione, dal quale dipartono quei fili intenzionali che lo legano agli altri; a questo è chiesta un’adesione senza riserve che coincide con una presa di responsabilità, un rendersi abile agli stimoli esterni, per poter essere continuamente interagente con ciascun altro corpo con cui condivide uno spazio e un tempo comuni. Essere è essere presenti a qualcuno. Esistere implica uscire da sé. Si tratta di entrare in relazione, perché percepire l’altro è come percepirsi. La percezione è un coinvolgimento corporeo, la percezione dell’altro è quindi un incontro, un movimento fondato su un’apertura. Come scrive Merleau-Ponty: «la comunicazione o comprensione dei gesti è resa possibile dalla reciprocità delle mie intenzioni e dei gesti altrui, dei miei gesti e delle intenzioni leggibili nella condotta altrui. Tutto avviene come se l’intenzione dell’altro abitasse il mio corpo o come se le mie intenzioni abitassero il suo» (2002, p. 25).
Per Sieni la danza è una forma in movimento unificante. È un fenomeno cosciente creato attraverso il vissuto, quindi immerso nel contingente. Singole esperienze di strenua volontà di resistenza quotidiana vengono fatte dialogare tra loro. Il coreografo è un medium: tesse adiacenze, contatti, crea attimi di trasmissione. Mette in relazione individui che condividono la stessa tragedia, che portano inscritta nella propria esistenza. Il passato non è passato, ma sostanzia il presente. Sieni crea una situazione in cui chiede alle singole cognizioni di dolore di uscire dalla loro solitudine e aprirsi all’altro, e trovare, attraverso il potere lenitivo del gesto, un contatto umano autentico. Non per stabilire un’identificazione ma una partecipazione: l’altro può solo aderire ai miei sentimenti ma non viverli nello stesso modo in cui li vivo io, ciononostante, nell’altro posso trovare ascolto e compassione: «il mio corpo è ciò che mi permette di aprirmi al mondo e, allo stesso tempo, di farmi vivere le situazioni» (ivi, p.191).
La scena diventa uno spazio sentito, percepito, visitato, investito di significato. Uno spazio situazionale, espressivo, contenente vettori affettivi, sorgenti emozionali. Un soggetto che risuona delle voci degli altri soggetti.
Per Sieni la danza è un atto di condivisione, che può esistere e definirsi come tale solo in relazione con l’altro. Un atto etico la cui funzione è appunto quella «di impedire la disintegrazione della coscienza umana […]; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, […] l’integrità» della realtà (Morante 1987, p. 101).
A fine dello spettacolo, uno dei parenti delle vittime, mano al microfono, legge l’elenco dei nomi di quei morti del 12 dicembre 1969.


Bibliografia

Merleau-Ponty M. (2002): Fenomenologia della percezione, Einaudi, Torino.

Morante E. (1987): Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano.

Pasi C. (1989): Artaud attore, La Casa Usher, Firenze.


Sitografia

Sieni V.: Di fronte agli occhi degli altri





Titolo: Di fronte agli occhi degli altri

Ideazione e regia: Virgilio Sieni

Musiche: Naomi Berrill
Attori: Virgilio Sieni, Carlo Arnoldi, Federica Dendena, Matteo Dendena, Paolo Dendena, Paolo Silva, Claudia Pinelli
Produzione: Compagnia Virgilio Sieni


Visto l’11 ottobre 2013 al Teatro Elfo Puccini, all’interno di MILANoLTRE, festival di musica, teatro, danza e oltre.