Vanna Carlucci

altAntonia Pozzi, Antonia. Corpo esile «in cuore all’azzurro» (Pozzi 2014, p. 46), corpo nudo, parola bianca. Questa è l’Antonia di Ferdinando Cito Filomarino, un profilo che si materializza e nuota negli spazi che la circondano, nuota e vive nel corpo alato delle pagine, nel vuoto saturo delle sue stanze (liriche) e uno sguardo arrampicato a una vita che trema. Chi era Antonia Pozzi? «Una scìa di silenzio/ in mezzo alle voci» (ibidem), poetessa che (non) si colloca, ma che vive «sul greto, tra i cespugli» (ivi, p. 37), voce fuori dal coro del suo contesto storico, letterario eppure così presente da scavalcarlo, il tempo . Incontriamo il regista Ferdinando Cito Filomarino in occasione della rassegna barese “Registi fuori dagli sche(r)mi”.


Partiamo dall’inizio: perché decidere di girare un film su un’artista e, nello specifico, su un poeta?

Sicuramente essendo uno spazio più difficile e più inedito nel cinema, per me è soltanto ragione motivante per dedicarmici. Detto questo io credo che, in generale, gli artisti nel loro modo di vivere in totale contatto con la propria sensibilità e spesso impossibilitati a fare compromessi con le regole della vita, mi affascinano in quanto sono una sorta di rappresentazioni ultra-umane e proprio per questo sono sempre delle grandi occasioni di cinema: riflettere sull’essere umano osservando e studiando degli artisti.

Come è stato approcciarsi ad un tipo di linguaggio, come quello poetico, così “intimo” e cifrato, e porlo all’interno di quello cinematografico?

Il punto è immergersi e prendere atto della poetica di Antonia Pozzi, di ciò che lei evoca a livello di senso e di emozione nella sua poesia e anche nella sua fotografia, ma, come matrice generale, direi proprio nel suo pensiero e nella sua rappresentazione poetica. Una volta preso atto di tutto questo, capire dove si vuole guardare perché è evidente che c’è una specificità nel cinema, uno sguardo particolare che a partire dai propri strumenti deve catturare quello poetico e darmi la possibilità di rievocare e quindi di ri-rappresentare quel linguaggio attraverso una serie di passaggi.

Nel film ti soffermi soprattutto sugli spazi, sui luoghi (l’appartamento dei genitori, la montagna) come se fossero essenziali per mettere a fuoco Antonia.

Il bello di lavorare con una poetessa come Antonia Pozzi è che i luoghi e gli spazi sono profondamente importanti e ben raccontati nella sua poetica, nel modo in cui lei ci interagiva. Per me le sue poesie e le sue fotografie sono state una miniera d’oro per capire come rappresentarla, per accostarmi al suo sguardo e capire come vivesse in rapporto all’ambiente in cui provava ad esprimersi. Attraverso quegli spazi che la rappresentano (basta pensare alla sua cara montagna) ho avuto la possibilità di lavorare sull’essenziale e non raccontare la sua biografia; anche solo la scelta del titolo del film o il fatto che non ci siano date è indicativo. C’è lei che respira in quei luoghi. C’è Antonia, punto.

A proposito di questo, più che raccontare la sua vita sembra che tu abbia voluto a volte “immaginarla”: ci sono scene che sembrano attimi allucinatorii in cui lei immagina ad esempio la possibilità dell’amore data nell’attimo, dall’incontro fortuito e nascosto.

C’è una sua poesia nel film che si chiama Convegno in cui lei racconta di trovarsi con il suo amico Remo Cantoni: mentre sono insieme, Antonia sente il suo sguardo su di lei e in quello stesso momento, nell’attimo, lei già immagina quando nel futuro non saranno più insieme e ricorderà questo momento con calore (volendo usare delle parole più povere delle sue). Questo per me è il senso di una sorta di traslazione del sé perciò Antonia rimane nel presente, ma con lo sguardo si muove continuamente avanti e indietro in maniera trasversale. Quel momento di suggestione di cui tu parli, è per me la rappresentazione del modo in cui lei viveva certi momenti, è rappresentazione dell’essenza poetica di Antonia.

altLa sua poesia viene solo mostrata attraverso le pagine che Antonia scrive. Come mai hai deciso di non far recitare i suoi versi?

Il punto è che per me la poesia di Antonia Pozzi (come molte altre), anzi la matrice stessa dell’opera in versi è “parole stampate su carta”. Questo è il modo in cui si fruisce di un’opera poetica anche perché nel momento in cui una persona decide di recitare i suoi versi ad alta voce appare un intruso che è un filtro e che tende inevitabilmente a reinterpretare l’opera e per me non era particolarmente interessante. Lo sarebbe stato se avessi voluto parlare anche di questa “terza cosa”, ma non era determinante per il film: volevo mostrare l’essenziale, il lascito, l’opera.

Oltre all’epoca storica in cui Antonia visse, emerge anche un’altra dimensione molto più contemporanea e penso al frammento in cui Ciampi dà voce al corpo di Antonia come una specie di riflesso, di vicinanza, di comprensione. In che modo Antonia può definirsi poeta moderno?

È una domanda lunga e complessa e che ha a che vedere con un pensiero poetico e letterario che in questo momento posso dire solo parzialmente, però di sicuro a me piace pensare che in qualche modo la sua ricerca fosse talmente riflessa sul suo intimo sguardo, a partire da quando aveva 16 anni, in questa sua estrema intimità e, nel periodo tardo, in questa proiezione all’esterno di sé che sia riuscita a trascendere quelle che sono le regole della poesia dei suoi anni e degli anni immediatamente precedenti e sia andata in un’altra direzione (e qui è la modernità). È un movimento obliquo e in questo senso, in questo tipo di ricerca interiore, io ho sentito qualcosa di molto simile alla poetica di Piero Ciampi, un uomo vissuto 40 anni dopo, che nonostante le circostanze intorno a lui e il contesto sociale fossero completamente diversi, ha vissuto lo stesso tipo di impossibilità della vita di Antonia Pozzi. Quello che lui dice in questa canzone coincide con quello che stava attraversando lei in quel preciso momento. Il cinema (per tornare anche alla seconda domanda), allora, ha questo potere di far incontrare artisti e linguaggi diversi tra loro, magari distanti nel tempo, eppure così vicini.

Lo stesso vale per Rodin?

Un altro artista (oltre a Ciampi) che “incontra” la poesia di Antonia. Sicuramente Rodin nel film l’ho considerato più per la sua scultura che per la sua persona perché in qualche modo la convivenza di questa sorta di malinconica leggerezza dei suoi modelli con un’eterna durezza delle statue, mi portava a riflettere su Antonia. Tra l’altro le statue sono in bronzo e sono tenute all’esterno del Museo Rodin. Il bronzo non deperisce: cambia colore, ma rimane sempre completamente della stessa forma. Questa è per me quella giustapposizione che mi rimanda nuovamente alla figura poetica di Antonia.

C’è un film o un regista che ti ha particolarmente ispirato?

Mi piace lavorare al contrario in questo senso. Il vantaggio di fare il ritratto di un’artista è che c’è una miniera data da tutta l’opera dell’artista stesso. Di certo, però, un film che per ispirarci abbiamo visto con Carlo Salsa (con cui ho scritto il film) è stato Andrej Rublëv di Tarkovskij: un film che parla del grande pittore di icone, ma inizia con una sequenza di 15 minuti in cui due uomini provano a far volare una mongolfiera. Questo cattura in modo completamente “cubista”, se vogliamo, e poetico il senso dell’arte di Andrej Rublëv senza dover parlare nello specifico di Andrej Rublëv. Ecco questo, di sicuro, mi ha molto pilotato.

Quali sono i tuoi progetti futuri? A cosa stai lavorando in questo momento?

Sto scrivendo un film che sarà molto diverso da questo: sarà un film di genere, ma allo stesso tempo, si proverà a sovvertire il genere stesso.


Bibliografia

Pozzi A. (2014): Guardami sono nuda, Edizioni Clichy, Firenze.


Filmografia

Andrej Rublëv (Andrey Rublyov) (Andrej Tarkovskij 1966)
Antonia (Ferdinando Cito Filomarino 2015)