Rivista

Vito Attolini

lettera_da_una_sconosciutaQuando, dopo una lunga assenza dalla sua città natale, Josef von Sternberg ritornò a Vienna per un temporaneo soggiorno, scoprì una città ben diversa da quella che aveva lasciato molti anni prima, quando decise di emigrare in America. Scrisse a tal proposito, senza nascondere il suo rammarico, di aver trovato «una splendida città diventata il volgare parco dei divertimenti del mondo» per colpa di «un’armata di invasori che, deliziati da una musica carezzevole, richiedevano che la città divenisse un gigantesco cabaret». Il suo sconforto nasceva pure dall’aver constatato che i viennesi apparivano disarmati dinanzi a tale realtà, lasciando che la loro città «o piuttosto, mi dispiace dirlo, la sua carcassa» andasse «in decomposizione». Il grande regista scriveva queste parole nel 1922 in singolare disaccordo con tutto ciò che aveva fin allora (e avrebbe ancora) caratterizzato a lungo l’immagine di Vienna nel cinema, non soltanto austriaco.

Luigi Abiusi


kaspar«Così la sicurezza (la “cosa”, come dicono i giuristi) significa: 1°. violenza sulla natura: lavoro. 2°. violenza verso l’uomo: proprietà» (C. Michelstaedter).

La scomparsa di Theo Angelopoulos e di Tonino Guerra e gli anniversari di Pasolini (che oggi avrebbe novant’anni) e Carmelo Bene (morto dieci anni fa) succedutisi negli ultimi tempi, se da una parte ci mettono di fronte alla constatazione di un impoverimento, di una perdita senza rimedio, soprattutto a confronto con l'attuale depressione culturale (quindi etica) dell'Europa mediterranea; d'altra parte, in virtù dello scintillio renitente delle loro opere, delle loro rovine ad innesco, ci chiamano, mi pare di capire, a una resistenza e a un rilancio, anche oltre l’ufficialità un po’ inamidata, confindustriale, appunto, del manifesto allestito dal “Sole24ore”.

Petros Markaris


eleni-2004-12-g(Versione originale)

La mia amicizia con Theo Angelopoulos risale al 1971, anno in cui fu rappresentata ad Atene la mia prima pièce teatrale. L’anno precedente era uscito il suo primo film Ricostruzione di un delitto. Ne ero entusiasta. Theo Angelopoulos utilizzava un linguaggio cinematografico, su più livelli, completamente nuovo. Anche il suo sguardo sulla contemporaneità greca ai tempi della dittatura militare era nuovo: distaccato e oggettivo. Esaminava minuziosamente la situazione di uno spopolato villaggio greco con lo sguardo distante dell’osservatore. 

Sergio Arecco   


morto-theo-angelolupos_02-large A Erland


Prologo


Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tou Odyssea, 1995) è il film che – non solo per la posizione intermedia che occupa nella filmografia di Angelopoulos, tra la prima trilogia della storia, seguita da una serie di opere dal contenuto via via più esistenziale, e la seconda (incompiuta) trilogia della storia, anticipata da un film-ponte come L’eternità e un giorno – ci racconta meglio di ogni altro   che cosa significasse, per lui, il cinema: una perenne, estenuante meditazione per immagini sulle potenzialità e i limiti della visione cinematografica, sul complesso rapporto tra visibile e invisibile. Lo sguardo di Ulisse è il film che ci racconta meglio di ogni altro come ciascuna opera del regista greco sia stata un modo d’interrogarsi sul senso del fare cinema oggi, dopo l’eclisse del moderno e le mistificazioni del postmoderno – almeno a giudizio di Angelopoulos, che ha continuato fino alla fine a concepire il cinema come continuum narrativo e a sperimentarne la struttura più classica: quella del viaggio.

Gualtiero De Santi


recitaLa storia non è finita, non può realmente finire; né mai le storie hanno termine. Lo sostiene in un appena udibile fruscio la voce fuori campo che, nell’incipit de La polvere del tempo (2009), accompagna il carrello avanzante alla volta dell’ingresso di Cinecittà in cui un regista va a ricercare il proprio passato. L’avvio dell’ultimo film licenziato in toto da Anghelopulos (nella regia, nello script pur date le collaborazioni, nel concetto di fondo), secondo segmento di una trilogia iniziata con La sorgente del fiume (2002) e interrotta drammaticamente dalla morte del grande cineasta, falciato da un motorino ma vittima della crisi greca e dei tagli imposti al paese dall’Europa dei banchieri (l’autoambulanza che doveva soccorrerlo e condurlo in ospedale si è dovuta fermare per un guasto risultato poi fatale per la salvezza di Anghelopulos), afferma una verità difficile da pronunciare; una verità avversa coraggiosamente alle parole d’ordine che oggi vanno per la maggiore, ma infine necessaria. Perché un discorso sul presente, della Grecia dell’Italia stessa del mondo, può venire riavviato solo alla condizione di rimettere le cose sulle loro gambe, non invece capovolgendole.

Roberto Silvestri


La-leggenda-di-Kaspar-Hauser-300x184Nessuno mette in discussione, se il contatto è avvenuto – e non è facile, perché film di godimento "francescano" come Girotondo e Beket sono stati nascosti agli sguardi indiscreti dal nostro submercato e dalle nostre istituzioni culturali pubbliche – la prepotenza visuale, la "superbia" espressiva, lo charme magnetico, e lo stile saturo fino a esplodere dei film in bianco, nero & grigio di Davide Manuli.

Silvia Calderoni


calderonilun 26 gen - Ravenna, Italia.

Inizio da questo. dall'inizio.
"Ciao Matteo!! Sarebbe un onore poter sostenere con voi il lavoro di Davide. Sai, le tre settimane trascorse sull' Asinara sono state un turbinio di emozioni, un tornado nella mia vita. E come ogni tornado, quando è in corso non capisci nulla, l'unica cosa che puoi fare è agire. Agire, reagire agli stimoli, cercare di vivere con un cuore sorridente l'occhio del ciclone. Bello, bellissimo, ancora brodo primordiale nella mia mente, sento di aver arricchito il mio bagaglio emotivo, di aver incastonato una gemma rigogliosa nella mia vita.

Vanna Carlucci - Gianfranco Costantielllo


sherifPersonaggi impossibilitati ad agire, posseduti da una musica ossessiva in spazi sterminati colti in un grigiore lisergico. Vedendo i suoi film si è colti da una vertigine nichilista amplificata da una pregnante teatralità. Qual è il rapporto fra il suo cinema e il teatro?

Questa domanda mi mette in crisi, perché rischia di diventare un trabocchetto per il lettore… e io non voglio permettere che questo accada.

Gemma Adesso


gifuni_preteAll’interno di questo zoom approfondito sul “caso” Kaspar Hauser, abbiamo voluto intervistare lo scrittore Giuseppe Genna, autore del monologo del prete (interpretato da Gifuni) particolarmente significativo per riflettere sul film specifico e sul cinema in generale.


Alessandro Cappabianca


turin.horse_Radicalmente altri sono gli oggetti inanimati, per esempio le pietre, che Heidegger prendeva a emblema delle cose «prive di mondo» (prive di mondo, direi, in quanto costituiscono il mondo, nella loro estraneità minacciosa, incomprensibile). Il problema comincia con gli animali («poveri di mondo», li definiva Heidegger), di cui percepiamo l’estraneità, e insieme i sintomi di una misteriosa affinità, almeno con alcuni, almeno con quelli ai quali conferiamo il privilegio di un nome (il nome sopravvive a chi lo porta, scriveva Derrida, uno dei pochi pensatori che si sono occupati del ruolo degli animali nella filosofia).

Lorenzo Esposito


luck2In un’epoca in cui le immagini, soprattutto quelle di più geometrica casualità – la granata ripresa col cellulare finché non ti uccide mandando a nero (Homs, Siria); l’inclinazione giusta della web-cam per meglio illuminare la penetrazione da tergo della propria ragazza (cam4) – afferrano tutte i loro quindici secondi di flagranza cinematografica (non più celebri dei quindici minuti wahroliani, ma di paurosa esattezza nel realizzarne l’assunto: l’uomo, reso visibile, scompare, e la tecnologia resta a segnalare la poesia celibe di questo vuoto), è probabile che al contrario il cinema possibile sia quello capace, come nelle serie tv Usa, di fissare l’immagine in un basso continuo, di fingerla così immutabile nella sua ronde magistrale, da dirottare ogni scatto visionario sulla parola narrata (scritta e sceneggiata) che la anticipa e la sogna.

Giampiero Frasca


takeLeggere Take Shelter – seconda fatica di Jeff Nichols apprezzata sulla Croisette nello scorso maggio dopo il suo passaggio al Sundance – come l’ennesimo capitolo di una critica frantumazione del soggetto di quel lungo post 11 settembre che pare non finire mai (non solo cinematograficamente), probabilmente non rende completa giustizia a un lavoro che nelle dinamiche visive adottate ha il suo reale punto di forza, oltre che la sua fondata chiave di lettura.

Raffaele Cavalluzzi


shame6Brandon (un eccezionale Michael Fassbender) è protagonista e vittima di una infinita coazione a ripetere, nella sfera unica del sesso, di un'angoscia compulsiva, e Shame, il secondo lungometraggio di Steve MacQueen, ne costruisce il profilo drammatico secondo la tipologia dell'alienazione individualistica di un adulto americano che vive, nella solitudine della folla anonima metropolitana, la condizione esasperatamente fallocentrica prodotta da una miscela micidiale di narcisismo ed impotenza ad amare.

Matteo Marelli


cristo_in_corpo«Non ho altro modo di conoscere
il corpo umano che viverlo,
cioè assumere sul mio conto
il dramma che mi attraversa
e confondermi con esso».
(Maurice Merleau-Ponty)

Pasolini è stato un uomo d’azione, «carico di rabbia politica e sociale, di una consapevole tristezza e di una tragica solitudine» (Morandini in Pasolini 1998, p. I), pronto a «gettare il proprio corpo nella lotta» (Pasolini 2003, p. 150), a fare della propria biografia, non soltanto intellettuale, materiale pubblico del suo fare poetico.
Il percorso artistico pasoliniano è profondamente segnato dallo scandalo della corporeità, dalla fisica e fortemente anomala partecipazione dell’autore alla sua opera. Il poeta, riversandovi la propria esistenza (anche quella più intima, personale, sempre però filtrata e arricchita da influenze letterarie ed artistiche che, come messo in luce da Stefano Casi (cfr. Casi 1990, pp. 23-25), hanno dato vita non tanto a un codice autobiografico quanto piuttosto autobiografistico), risulta essere sempre presente «come protagonista corporeo, scrivente-scritto e quasi toccabile» (Giudici in Pasolini 1995-1999, p. XIX).

Michele Sardone

SUN-03-webSeconda puntata dello studio che UZAK ha deciso di dedicare alla Tetralogia del potere di Sokurov riletta nei termini della fiaba. Dopo il Faust (2011), il riavvolgimento del nastro prosegue verso Il Sole (2005).

«C'era una volta...
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno». (Collodi)


Il Sole è la storia di un dio burattino che voleva diventare un bambino vero. Il burattino si ritrova a capo del Giappone, viene nominato imperatore e venerato dai sudditi come una divinità. Non deve far nulla, ma quel nulla deve farlo bene: scrivere patetiche poesie, sezionare granchi, presiedere riunioni di gabinetto, mangiare, dormire e andare regolarmente al gabinetto. Ma soprattutto deve reggere la pantomima del dio sceso in terra, lanciare proclami, difendere l'orgoglio di una nazione – se necessario, fino a far la guerra.

Viviana Tarantino


siegleIl cinema di Don Siegel

a cura di Fabio Zaniello

Ed. Il foglio, Piombino 2011

pp. 325

 

Personalità eclettica e stravagante, regista dalle mille sfaccettature, abile direttore di attori affermati e scopritore di talenti, nonché illustre figlio di una Chicago opulenta e frenetica, Donald (Don) Siegel (26 ottobre 1912 – 20 aprile 1991) continua a pungolare la curiosità di studiosi di cinema e giornalisti. Il suo impiego della macchina da presa come endoscopio introdotto nelle pieghe del magma sociale, la sua capacità di modificare il corpo testuale dei polizieschi, della fantascienza e del western giustificano l'elevato interesse attorno alla sua produzione.

Luigi Abiusi



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Prossimamente in libreria il primo volume cartaceo di «Uzak»: Il film in cui nuoto è una febbre. 10 registi fuori dagli scheRmi, con saggi su Lisandro Alonso (Luigi Abiusi), Olivier Assayas (Simone Emiliani), Lav Diaz (Giampiero Raganelli), Bruno Dumont (Giulio Sangiorgio, Alessandro Baratti), Michel Gondry (Grazia Paganelli), Yorgos Lanthimos (Michele Sardone), Davide Manuli (Gemma Adesso), Kelly Reichardt (Sara Sagrati), Ulrich Seidl (Matteo Marelli), Apichatpong Weerasethakul (Massimo Causo) e la postfazione di Roberto Silvestri.
Di seguito riportiamo un estratto della prefazione di Luigi Abiusi. Buona visione.

Vito Attolini


Carmela_film«Non avevo mai interpretato film psicologici: l’intimo tormento dei personaggi non era l’ingrediente preferito del cinema di allora; pochi vi si cimentavano ed erano pionieri. Né, ad onor del vero, io avevo fama di intensa espressività ad eccezione di quella sensuale» (Duranti 1987).





Così, con una franchezza ammirevole, Doris Duranti, famosa attrice “di regime” del ventennio fascista, scriveva, nelle sue memorie, a proposito del film più importante della sua carriera, Carmela (1942), uno dei quattro da lei interpretati con la regia di Flavio Calzavara (gli altri sono La contessa Castiglione, 1942, Calafuria,1943, tratto dal romanzo omonimo di Delfino Cinelli e Resurrezione, 1943, dal capolavoro di Tolstoj).

Chiara Fiorentini


io-sono-un-autarchicoDecidere di affrontare gli anni Ottanta non è una scelta da prendere alla leggera. Non è infatti facile riuscire a osservarli da una giusta distanza e con un occhio non eccessivamente critico o nostalgico. In fondo il problema grosso di questo decennio è di non essere gli anni Settanta: perché quando gli anni di piombo diventano di fango è evidente che qualcosa è cambiato e non unicamente in positivo, e perché arrivando subito dopo i Settanta è impossibile evitare il confronto, con il rischio quindi di far fare agli anni Ottanta la figura del “cugino scemo”, a cui si vuole bene anche se non pare essere all’altezza. Il problema principale quando decidiamo di affrontare un decennio come questo è quello della prospettiva.

Luigi Abiusi


Sokurov-Mother-and-Son-ForestÈ passato un anno da quando Uzak, in un ruminato pomeriggio di fine dicembre, mentre guardavo fuori dalla finestra la nenia delle finestre tristemente addobbate, s'accese sfoggiando un viso lubrico che mostrava nel suo specchio, visioni diverse, screzi, sogni, nottetempo. Nel frattempo sono usciti 4 numeri, uno ogni stagione, e decine di recensioni settimanali, secondo la natura ibrida (o ambivalente) che avevamo scelto di darle. Per marcare questo segmento di esisteza (o di resistenza), il nostro grafico Nino Perrone ha deciso di cambiare un poco la grafica, qualche tinta, la font dello schermo-testata, entro cui continua a riprodursi senza sosta, e con ancora maggiore suggestione, l'illusione della proiezione.

Roberto Chiesi

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Una parte non trascurabile dell'opera di Claude Chabrol è ancora poco conosciuta (o addirittura inedita) al di fuori della Francia: si tratta dei film che ha diretto per la televisione, ventiquattro titoli realizzati tra il 1974 e il 2010, l'anno della sua morte.
Nella sua produzione destinata alla TV, Chabrol si è misurato direttamente con i generi popolari, come il feuilleton (Fantômas, ma anche, in un certo senso, il personaggio dell'ispettore Lavardin, a cui aveva in precedenza dedicato due lungometraggi per il cinema) e gli adattamenti dei classici (Goethe, Poe, Henry James). Lavorando per la televisione, Chabrol ha sperimentato condizioni di maggiore leggerezza e rapidità realizzativa (i tempi più veloci delle riprese) e le costrizioni dettate dalla formula di trasmissioni cui i telefilm erano destinati. Costrizioni e rapidità che egli adotta come un disegnatore che cambia matita e sperimenta un tratto più essenziale e veloce, cogliendo in pochi tratti il clima, il respiro di un racconto, il carattere di personaggi che hanno poco tempo per vivere la propria storia.

Diego Mondella


blackbird-david-harrower-teatro-studio-expo-milano«Qualcosa di marcio mi ha spinto…
Pensavo di distruggere tutto…
Non l’amore che provavo per te».

Una scala di metallo che porta ad un ballatoio chiuso a vetri. Sul palcoscenico: quattro sedie disposte in ordine sparso, una panca di legno, un armadietto, un bidone della spazzatura, un baule su cui sono appoggiate cartacce, avanzi di cibo, lattine e bicchieri di plastica. In un capannone industriale della periferia inglese «uguale a tutti gli altri» irrompe, all’improvviso, una giovane donna di 27 anni (di nome Una): chiede di voler parlare con Peter Rothschild, un ordinario impiegato sulla sessantina (o semplicemente il custode?), che dice di conoscere.

Stefano Casi



communeSono diverse le connotazioni della categoria “politico” nell’ultimo film di Peter Watkins La Commune (Paris 1871), realizzato nel 1999. D’altra parte, per Watkins stesso la politicità del cinema è definibile come tale in base non solo e non tanto all’oggetto rappresentato, ma anche e soprattutto alle modalità creativo-produttive dell’opera e alla riflessione teorica di critica totale al sistema dei media che l’opera stessa porta con sé.

Giampiero Raganelli


shinoda1Shinoda Masahiro è stato uno dei più importanti esponenti della nouvelle vague giapponese, la cosiddetta nuberu bagu, nata a fine anni Cinquanta in seno alla casa di produzione Shochiku, a opera di un gruppo di cineasti che aveva fatto parte del «gruppo dei sette» (Shichinin no kai), che si proponeva di rinnovare il cinema nipponico.

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