Rivista

Alessandro Baratti

Alessandro Baratti

Il ny a pas 1«On peut baiser et baiser encore, mais on ne fusionne pas»
(Bruno Dumont).

Il pressbook di Il n’y a pas de rapport sexuel si apre con queste parole: «Da più di dieci anni HPG [Hervé Pierre-Gustave] registra e archivia i making of delle sue riprese con una camera-testimone piazzata su un treppiede. Originariamente queste migliaia di ore erano destinate a dei siti pornografici per una diffusione in live-cam, vale a dire in “falsa diretta”. È a partire da questa materia bruta che Raphaël Siboni ha realizzato un documentario»1. Ma che cosa ha spinto HPG, pornodivo affermato e pioniere del gonzo francese, ad aprire i suoi archivi privati? E perché un titolo così paradossale per un film di montaggio composto da blocchi di making of che mostrano riprese di film hard? Alla prima domanda credo si possa e debba rispondere assai perentoriamente, senza timore di suonare moralisti: nobilitare il proprio lavoro, riabilitare la natura di un genere comunemente considerato come l’ultima spiaggia del cinema, dominio seriale della sessualità idraulica.

Andrea Bruni

Andrea Bruni

sunrise 2«Se chiudo gli occhi compaiono fosforescenti fioriture e appassiscono e rinascono come carnosi fuochi d’artificio… Mani che sinistramente si chiudono in una luce pallida e assi scricchiolanti su strade di medusa» (Robert Desnos)

«"Oltre ai Monti/ della Luna/ giù nella Valle delle Tenebre/ cavalca, cavalca intrepido",/ così l’ombra gli rispose/ "se vai in cerca d’Eldorado!"» (Edgar Allan Poe)

Gemma Adesso

Gemma Adesso

angelica39«Nel tepore della luce rossa, dentro le chiuse aule dove la luce affonda uguale dentro gli specchi all’infinito fioriscono sfioriscono bianchezze di trine. […] Passano nella veglia opime di messi d’amore, leggere spole tessenti fantasie multicolori, errano, polvere luminosa che posa nell’enigma degli specchi» (D. Campana, La notte, in Canti orfici).

La divinazione delle visioni percepite per mezzo di uno specchio è definita catattromanzia e lo specchio, si sa, è il giocattolo preferito da Dioniso: «ecco la folgorazione orfica: Dioniso si guarda allo specchio e vede il mondo» (Colli 2005, p. 42). Il modo in cui un dio si esprime è nell’apparenza.

Giovanni Festa

Giovanni Festa

FESTANella religione azteca la dea Coyolxauqui non ha le forme tornite della sua epigone mediterranea, Artemide, né, come la bella dea lunare, è nata sulle rive di un fiume.
Ella nasce dal corpo divorato dal fuoco del dio Tecuciztecatl, che si buttò nelle fiamme per creare l’astro notturno, punto lattescente nel cupo cielo primordiale. Inoltre, come attesta un bassorilievo del Templo Major a Città del Messico, il suo corpo è un ammasso smembrato. Suo fratello, il sole, l’ha infatti fatto a pezzi adoperando il Serpente di Fuoco. La dea indossa una cintura di serpenti che le stringe la vita, campanelli le pendono sulle guance e un copricapo a forma di mezzaluna le copre la testa. Sui suoi arti smembrati compaiono piccoli aspidi guizzanti e teste stilizzate di serpente.

Cecilia Ermini

Cecilia Ermini

piavoli«Mi piace costruire un cinema che richiami i valori della musica e della pittura più che le regole del teatro. Un cinema che non segua una linea narrativa tradizionale ma che crei il racconto attraverso la concentrazione di diverse voci, di diverse immagini, di diversi frammenti, per trarne un mosaico policromo, un concerto polifonico» (Franco Piavoli)

Tommaso Pomilio

Tommaso Pomilio

tetsuo-metal-fetishistPer quanto penetrato da circa due secoli, dal cuore del romanticismo più torbido, nel profondo del rimosso occidentale, e fin dal manifesto tecnico postulato nel 1912 per la teoresi futurista («noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica»1), l’uomo bio/meccanizzato – assemblaggio di parti bullonate o feticcio, elettrificata sarcitura di necrotica carne – invade ogni centimetro degli schermi cinematografici, all’albeggiare di quella nuova era terminale che possiamo riconoscere negli anni Ottanta. E di lì, sorto dalle frange più deviate e parossistiche dell’immaginario di massa, andrà a installarsi a pieno titolo come protagonista inalienabile del set di fine/inizio millennio; ossia, di terminale in terminale, come il soggetto nuovo imbrigliato nel network della città virtuale, delle sue piazze desertificanti e chiassose: hardware di nuova carne in alta tensione, energia immaginaria iniettabile da una catastrofe di bioporte fino alla purità dei labirinti virtuali estaticamente senza uscita (fra Strange Days e eXistenz). Per riassumersi infine nello spessore smateriato d’una pelle di avatar, di cui rivestirsi nell’intimità d’ogni laptop: entro il battito invisibile d’altro spazio scandito da connessioni senza fili, a riaccelerarsi ad ogni accensione in giri vorticosi di questo (non) nostro oltremondo. Se il soggetto-cyborg affonda la sua invasione d’ultracorpo nel paesaggio, virtuale o concretamente catastrofico, designato dal design d’un’era telematica, è perché viene a trovarsi sempre più al centro ormai del sistema sociale. O forse, perché è in sé figura della rete sociale, assoluta ed espansivamente disponibile e densa di smateriate identità: modulare connettività di soggetti a sé inconoscibili, e che, fermi sulla postazione (cablata o senza fili), si slanciano in forme di dialogicità soliloquianti.

Nicola Curzio

Nicola Curzio

antiviralIl Film come un corpo. Qualcosa che muta e si trasforma, in un continuo divenire; che vive (e muore) in ogni istante, in ogni inquadratura, fino a quando lo schermo non diventa completamente buio e si riaccendono le luci in sala. Qualcosa, dunque, che è soggetto alla contaminazione: la contaminazione dello sguardo, prima di tutto.

Luca Romano

Luca Romano

Cavallo di TorinoIl deserto è l’assenza primordiale del tutto che non conosceremo mai, ma che avverrà e passerà; una percezione indistinta della fine di tutto quello che faremo. Il deserto è nodo e chiodo contemporaneamente.

«Il chiodo è ai sedentari, dove lo pianti resta inchiodato, ultima minimale derivazione edile» (Ferretti 2006, p. 116).

Michele Sardone

Michele Sardone

tobey maguire in the great gatsby-wide-wallpaperSe le baracconate vanno viste nei baracconi, allora il luogo migliore per vedere Il grande Gatsby dev’essere un multiplex. Non è solo un pregiudizio snobistico (del resto inveratosi puntuale in previsione azzeccata), ma una constatazione formulata a posteriori, dopo che la sua visione venisse preceduta da una buona mezz'ora di spot alternati a trailer di film fracassoni: il flusso di immagini pubblicitarie (profumo glamour; auto di classe che sfreccia in una metropoli angosciosamente deserta; l’ultimo tanga alla moda) e sequenze catastrofiche (la furia sovrumana de L’uomo d’acciaio; la fuga umana di World War Z) e infine pubblicitarie-catastrofiche (The Bling Ring, l’ultimo tanga di Paris Hilton) non ha soluzione di continuità con l’inizio della proiezione vera e propria, e solo dopo qualche minuto, quando ci si accorge che la sequenza che si sta vedendo è un po’ troppo lunga per essere un trailer, si viene sorpresi dal film senza essere pronti al suo inizio.

Matteo Marelli

Matteo Marelli

http://www.youtube.com/watch?v=qZePS5JyUOg

Holy Motors è visione senza fine né inizio, da riprendere daccapo, o dal mezzo, nel mezzo, dando nuove direzioni a linee che s’intersecano, come in un labirinto senza vie d’uscita.

Mariella Lazzarin

Mariella Lazzarin

Holy maskMotore. Azione. Potere. Tre definizioni o forse sarebbe più appropriato definirli lemmi che si sedimentano tra le pieghe di Holy Motors: un film che dichiara un’esigenza di accumulo imponente interiorizzando da una parte tutto il cinema precedente e, dall’altra, mostrando il rapporto effettivo e complesso tra l’individuo, la società e gli oggetti che abitano la realtà circostante. «Essere e oggetti sono legati» dice Baudrillard «e gli oggetti assumono in questa collusione una densità, un valore affettivo che si accetta di chiamare presenza» (2003, p. 20). Presenze che nel film di Carax diventano esistenze manifeste, oggetti liberati dalla loro funzione primaria in grado di alimentare il loro metabolismo attraverso una nuova soggettività senza limiti ovviamente inversa e contraria dal funzionamento del Reale.

Raffaele Cavalluzzi

Raffaele Cavalluzzi

Amour-2«Vai a farti fottere, vecchio coglione!» è l’insulto con cui una badante si congeda dallo scontroso ultraottantenne suo datore di lavoro (Jean-Louis Trintignant), che la licenzia per la sua stupida superficialità nelle cure prestate a sua moglie, una vecchia signora (Emmanuelle Riva) invalidata irrimediabilmente da un ictus. L’oltraggio ha il merito di lacerare quella cortina di ovattata ipocrisia con cui la società avvolge e sostanzialmente distanzia da sé, rimuovendolo, l’emblematico episodio finale per il cui tramite la malattia senile suggella per i due protagonisti di Amour – film di rigorosa tristezza di Michael Haneke – un’esistenza – agli occhi del senso comune – protrattasi forse troppo a lungo.

Francesco Saverio Marzaduri

Francesco Saverio Marzaduri

kerenesPoziţia copilului, recita il titolo originale. Stando alla traduzione, “posizione”, ovvero punto di vista, quello “del figlio.” Un figlio, tale Barbu (Bogdan Dumitrache), da annoverare nella già cospicua casistica di giovani irrequieti di cui il cinema rumeno, nella fattispecie quello attuale, è puntellato sino ad essere divenuta tematica tra le più assiduamente costanti. Ma a differenza dei figli “postdicembristi”, questo Barbu, più che altro, sembrerebbe detenere parentela con quella classe sociale appena abbozzata in alcuni illustri precedenti cinematografici (si pensi al fidanzato benestante di una delle protagoniste in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni), vagamente accennata senza essere indagata a fondo. E anziché un dolente segmento storico, a gravare sulle spalle del giovanotto è un rapporto d’odio, sfociante in un feroce conflitto, con la figura materna.

Tsukamoto Shin'ya

Tsukamoto Shin'ya

tsuka(Versione originale)

Da bambino avevo la testa fra le nuvole.

Visto che non andavo bene a scuola, per fuggire da quelle preoccupazioni scindevo il mio cervello dal corpo e volavo nel mondo della fantasia.

Nel mondo della fantasia ero assolutamente libero, mi perdevo nella storia che avevo costruito nella mia testa. A volte esprimevo tutto questo con delle immagini. Il mio libro di testo diventava tutto nero a causa delle immagini di fantasia che fluivano dal mio cervello.

Giampiero Raganelli

Giampiero Raganelli

lavReduce dall'entusiastica accoglienza a Cannes con il suo ultimo lavoro, Norte, the End of History, Lav Diaz si conferma come uno degli autori di punta del cinema mondiale. Lo abbiamo incontrato a Milano in occasione del festival “La Milanesiana”.
(a cura di Matteo Marelli)



Vincenzo Martino

Vincenzo Martino

solondzIn occasione della rassegna “Registi fuori dagli sche(r)mi 2” abbiamo avuto modo di ospitare Todd Solondz, tra i più spietati poeti dell'angoscia borghese americana, giunto in compagnia dell'amico/collega Bruce Wagner, celebre scrittore nonché autore di Maps to the stars, sceneggiatura dell'ultimo lavoro di David Cronenberg.




Luigi Abiusi

Luigi Abiusi

1000246 497433107010929 1555294181 nIl testo è tratto dalla postfazione al volume Il signore del caos. Sion Sono, a cura di Dario Tomasi e Franco Picollo, ed. CaratteriMobili, 2013

«In un attimo di smarrimento, potrei prenderti le braccia, torcerle come uno straccio lavato da cui si spreme l’acqua, o romperle con rumore, come due rami secchi, e poi fartele mangiare, usando la forza. Potrei, prendendoti la testa tra le mie mani con un’aria carezzevole e dolce, affondare le mie dita avide dentro i lobi del tuo cervello innocente, per estrarne col sorriso sulle labbra, un grasso efficace, che lavi i miei occhi, indolenziti dall’insonnia eterna della vita». (Lautréamont 1978)



 

 

Michele Sardone

Michele Sardone

recycled cinemaUn lavoro di montaggio di citazioni, suggestioni e aneddoti aggregati fra loro da un'idea di cinema: è questo Recycled cinema, ultimo libro di Marco Bertozzi (che, oltre a essere saggista, è anche professore di Cinema documentario all'Università IUAV di Venezia e film-maker); ma è questo anche lo spirito, secondo lo stesso autore, del found footage (letteralmente: metraggio ritrovato), ovvero di quella pratica di ritrovamento e di reinvenzione dei filmati d'epoca: «utilizzare un film nella sua parte fisica, materica per trarne nuove esperienze della visione».
Il libro di Bertozzi si propone esso stesso come opera di recupero e di ricombinazione: ritroviamo La verifica incerta di Grifi e Baruchello e riemergono, tra gli altri, Gioli e Ken Jacobs, Peleshian e Chris Marker, tutti autori che hanno fatto del found footage un'arte del ricordo e che rischiano a loro volta di essere dimenticati. Abbiamo incontrato Marco Bertozzi durante il laboratorio Digital Heritage tenutosi a Bari lo scorso giugno presso la Mediateca regionale pugliese e organizzato dall'associazione Frammenti e ne abbiamo approfittato per parlare con lui del suo Recycled cinema.*

Luigi Abiusi

Luigi Abiusi

satatangoA essere obiettivi, a oggi, valutando la questione della distribuzione e della diffusione (in sala) dei film, appaiono prospettive inaspettate, margini per una liberazione della visione, proprio laddove gli esercenti (spalleggiati da molte istituzioni culturali, perché il commercio si sa, è sacro) individuano ragioni di sfacelo, di crisi, di capitolazione drammatica dell’“industria”. Il problema riguarda l’avvento del digitale (anzi, direi, dei vari digitali possibili) nelle sale, che mette al bando la pellicola e con essa le modalità di rigida circolazione dei film (un calmiere di commedie stabilito dal mercato a cui anche certa vecchia critica si adegua di buon grado), in favore di una gamma di proposte (innovative, eversive, febbrili) che può essere infinita.

Grazia Ingravalle

Grazia Ingravalle

the man beneath 1In occasione del primo anniversario della nuova sede del Netherlands Film Institute – l’EYE, il nuovo futuristico museo del cinema di Amsterdam – l’archivio cinematografico decide di riportare alla luce uno dei tesori perduti di Sessue Hayakawa. Sì, letteralmente riportare alla luce, poiché attraverso la proiezione cinematografica fa rivivere ancora una volta, nell’incontro con lo spettatore della epoca odierna, The Man Beneath (William Worthington 1919). Questo film, come accade a tanti capolavori dell’epoca muta, era scomparso dalla circolazione, sino al 2005, quando accidentalmente riemerge tra la polvere dell’archivio olandese.

Liliana Navarra

Liliana Navarra

monteiro3Mi hanno gentilmente invitata a scrivere un testo per commemorare i dieci anni dalla scomparsa di un grande regista portoghese: João César Monteiro.
Purtroppo non ho mai avuto il piacere di conoscerlo personalmente. La prima volta che mi recai in Portogallo fu nel gennaio del 2003, poche settimane dopo il nostro si spense.
Vero incontro, profondo, lo ebbi con la sua opera sei anni fa, quando vidi per la prima volta un suo film. Era un pomeriggio autunnale, un mio amico mi prestò un DVD: A Comédia de Deus. Il titolo mi ispirava, mi preparai un tè, mi sdraiai sul divano e premetti play.
Quando il film terminò, rimasi stupita e alla stesso tempo estasiata. Avevo già avuto svariati approcci con il cinema portoghese con De Oliveira, Botelho, Costa e altri ancora, ma nessuno mai mi aveva segnato come questo, all’epoca per me, sconosciuto regista.

Matteo Marelli

Matteo Marelli

jonesHa ragione Olivier Smolders quando afferma che «la pornografia è il più cinematografico di tutti i generi cinematografici». Perché soddisfa, fino all’indigestione, la pulsione scopica dello sguardo spettatoriale, reso soggetto onnipercipiente, messo nella condizione di vedere tutto, col rischio di spingersi fin dove non c’è più niente da vedere, dentro l’orifizio spalancato, per disperdersi, così, dove nessuna visione è (forse) più possibile. In questo senso il cinema porno è etimologicamente osceno, poiché in esso solo l’ob scaena, ovvero "ciò che non si può mostrare apertamente sulla scena" risulta pertinente alla rappresentazione.
 Quella pornografica è una poetica dell’eccesso. Eccesso di visione: per la volontà di mostrare ciò che i canoni del pudore non vorrebbero venisse esibito. Eccesso di spettacolarità e di invenzione: perché nell’ansia realistica di rivelazione la pornografia va al di là del verosimile; le posizioni sono condizionate dalla presenza di un altro fantasmatico, che è l’occhio della macchina da presa; quindi le improbabili combinazioni posturali trovano una loro giustificazione se considerate in funzione di questo centro ideale della messinscena.

Matteo Boscarol1

Matteo Boscarol1

oshima«The Man Who Left His Will on Film è il sottotitolo del mio film A Secret Post War Tokyo Story2. Questo sottotitolo illustra l’intero contenuto del film. Un giorno, lo scorso autunno fui posseduto dalla visione di un uomo che lascia le sue volontà in un film. Le mie visioni sono sempre cinematografiche ed il film fu concepito in questo modo.
Di tanto in tanto mi viene chiesto da dove provengono tali idee, ma è assolutamente impossibile rispondere a questa domanda. Appaiono improvvisamente nella mia testa, in alcuni giorni, in certi momenti. È come se sentissi la voce di un’apparizione e posso dire con certezza che sono un artista solo in virtù di queste apparizioni e delle loro voci. Coloro che le vedono e le sentono come me diventano il mio staff ed il mio pubblico» Ōshima Nagisa (1970)

Andrea Bruni

Andrea Bruni

roger-480x270«La macchina da scrivere è la nostra penna. Ma anche quando questa penna è tenuta da un artista, pochi sono in grado di leggere quello che essa scrive, perché la sua storia deve essere letta istantaneamente, al contrario del libro, che si può leggere e rileggere finchè non si è capito. La scrittura impressa sullo schermo non conosce indugi». (Josef Von Sternberg)

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