Uzak 46/47 | estate/autunno 2024

Luigi Abiusi

Un breve, frammentario resoconto della Mostra di Venezia appena terminata, e del Festival di Locarno, almeno in relazione ad alcuni "piccoli" film italiani, piccoli nel senso dell'impalcatura produttiva, ma grandi a proposito del senso che apportano, dei discorsi, della forma come fuga dai discorsi.

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Giovanni Festa

Marie-José Mondzain è una delle pensatrici più radicali e interessanti della nostra epoca. L’occasione di approfondire il pensiero dell’autrice di Immagine, Icona, Economia e Homo spectator è quella dei due giorni di conferenze e dibattiti organizzata da Tadeu Capistrano (ppgav-eba-ufrj) nella Università Federale di Rio de Janeiro.

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Luigi Abiusi

Hintermann nel suo intervento scriveva di parole inadeguate per quanto diffuse, quantomeno inadeguate a dire il cinema (ammesso sia una questione di dizione, di definizione delle immagini e non invece un tentativo di approssimarvisi, di interpretarle, ruminarle, farsi ruminare da questa pasta di luce), citando l'aggettivo «derivativo», e da lì si interrogava sulla sussistenza, consistenza della critica.

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Marika Consoli

«Ogni eremita ha la sua caverna dentro di sé e talvolta dietro questa caverna ce n'è un'altra e poi un'altra ancora»

(F. Nietzsche, Epistolario, Vol. IV)

A proposito di mancanze: di vuoti, di spazi residuali, cavità cieche della bocca che esplode, urlo che ingoia il fuoco nelle viscere, nella pancia, scendendo dalla faringe tutta la narrazione in prolessi, pellicola riavvolta di colpo in quella gola, notte, vibrazioni della lingua, deflagrazione; prima ancora che dal velivolo è da qui, da questa cavità corporea che s'apre, si inabissa il nero del destino tra i titoli d'inizio, prefigurando la fine.

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Marika Consoli

Il disorientamento che viene dall’abbraccio, l’ultimo, tra Anna (una malinconica, intensa Rosa Palasciano) e Cristi/Nadia (una Yeva Sai perfetta nei lunghi piani-sequenza) ormai arrese alla libertà di appartenere al proprio destino, lo squilibrio che ne deriva, la visione in lontananza, la distanza peraltro necessaria, assoluta – prima del sole negli occhi a dilatare le pupille, scavandole nell’assenza imminente – rompono la tensione, verso la fine: corsa sull’asfalto, clacson, sguardi che si cercano perdendosi fino a che dura la luce, che si propaga dalla profondità del campo, dietro il vetro, dietro il limite della strada, oltre ancora.

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Carmen Albergo

«Rimarrà quello che siamo stati per gli altri…frammenti, immagini di noi, così come loro ci hanno visti. Sogni in cui non saremo mai gli stessi…Magnifici sconosciuti, passeggeri della notte che vivono in noi, fragili ombre riflesse in vecchi specchi, dimenticati in qualche stanza».

Arianna Trigiante

Il destino di Maxine è scolpito da un’ambizione feroce e inarrestabile, pronta a sfidare ogni limite pur di conquistare il successo. La sua determinazione travolge non solo le convenzioni del cinema horror, ma anche la percezione stessa di ciò che definisce una star. Maxine Minx non cerca solo la fama: la pretende, e il suo viaggio verso Hollywood culmina in un crescendo di eventi che la consacrano come una delle dive più influenti e disturbanti del panorama cinematografico.

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Carolina Romero Jofré

A Home for a Unique Individual, tradotto come Una casa per un singolo individuo, è un'installazione dell'artista e regista Rosa Barba. L'opera è costituita da due proiezioni sincronizzate in 35 mm, la prima proiezione, da un lato, corrisponde a immagini aeree di un accampamento di roulotte, uno spazio distribuito in strade come una cartografia dei modi di abitare un territorio.

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Arianna Trigiante

Stranger Eyes, il nuovo psicodramma del regista singaporiano Yeo Siew Hua, è un film elegante e tratti sorprendente. E sebbene vi siano un voyeur e le sue vittime, la domanda che sorge spontanea è: chi osserva chi? La vita dei due protagonisti, invisibili abitatori di un edificio geometrizzato, tecnofobico e sovrappopolato, è interferita improvvisamente. La loro unica figlia viene rapita e dei video vengono recapitati loro quotidianamente.

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Julio Bressane

Il filosofo e filologo italiano Giorgio Pasquali, in una bella pagina, ci ha svelato un'arte della traduzione. Il filologo, nel suo testo Arte allusiva, scrive che D'Annunzio in un poema (traduzione) dedicato ad Orazio, non inserì nessuna parola, nessuna frase, nessun tema di Orazio. In che consiste, allora, l'operazione di traduzione? Pasquali osserva che D'Annunzio tradusse, ed è qui l'allusione, il ritmo, il particolare metro del poeta latino. Traduzione nel transito della metrica del ritmo oraziano...

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Giovanni Festa

C'è, in quel doppio film che è Soft and Hard di Jean-Luc Godard e Anne-Marie Miéville, un momento inaspettato, che trasforma la riflessione intima sull'immagine in un racconto sulla genesi del film familiare. E poi diventa una meravigliosa riflessione sulle possibilità dell’amore come discorso e azione condivisa.

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Mauricio Durán Castro

Non avremmo mai immaginato che il film più terrificante che avremmo visto per anni sarebbe stato quell'unica copia in 16 mm di El Perro Andaluz, mutilato del frammento dell'asportazione dell'occhio.

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Andrés Caicedo

I

A un ometto piace il cinema, arriva e fonda un cine club e la prima cosa che fa è programmare un ciclo lunghissimo di film di vampiri, da Murnau e Dreyer fino a Fisher e quel film che aveva appena visto di Dan Curtis. Al principio c'è l'interesse e tutto: il teatro si riempie. Ma una settimana dopo l'altra il pubblico va calando.

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Gustavo Fontán

Trad. di Giovanni Festa

Piove di sera. Filmo la pioggia contro un muro grigio, una vecchia parete alta della casa che confina con il geriatrico. L'acqua traccia filigrane contro la pietra, una specie di scrittura da decifrare. A volte, sono linee verticali, discontinue; a volte le linee si inclinano preda del vento; a volte la pioggia fluttua e sembra non cadere.

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