Lo stato delle cose

Saggi di cultura cinematografica, protesi verso il proprio altro, filosofia, semiologia, letteratura, politica, ecc., per (cercare di) inquadrare lo stato delle cose.


uzak1_-_uzakUzak è una di quelle parole che ammaliano per il loro suono, come se fossero un puro significante privo di significato. Ma Uzak, in turco, significa lontano, distante.
Nel linguaggio cinematografico esiste una distanza breve, quella fra l'immagine e ciò che essa rappresenta: senza essere copia della realtà, l'immagine cinematografica è particolarmente rassomigliante al suo referente, nel senso che produce una percezione simile a quella prodotta da oggetti e situazioni reali. Sebbene il cinema sia fondato sull'artificio, il piacere della visione nasce dalla capacità che il cinema ha di produrre negli spettatori l'impressione di realtà.

Anton Giulio Mancino

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Forse a un anno di distanza le cose sono cambiate. Ma soltanto un anno fa, all’incirca dal mese di settembre, sembrava essere diventato impossibile l’utilizzo anche solo del termine “videocrazia” a prescindere dall’omonimo film di Erik Gandini, presentato con clamore, peraltro prevedibile, alla scorsa Mostra di Venezia, non nella selezione ufficiale, ma come “evento speciale” della Settimana della Critica in (prudente) collaborazione con le Giornate degli Autori.

Patrizia Calefato

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Visual Semiotics and Fashion
At a first glance, any discourse on the relation between visual semiotics and fashion constitutes a sort of epistemological challenge to the history of 20th century semiotics, in particular to what is presumed to be Barthes’ project of a “Fashion System” conceived of as a reduction of the garment to the word, as a demonstration of the primacy of linguistics over semiology, of the verbal over the non-verbal. Nearby half a century after Barthes’ pioneering work, semiotics can now acknowledge that it is possible to go beyond “described” fashion exactly in the light of Barthes’ lesson.

Lorenzo Esposito

uzak_1_lettera_a_unamica_scrittriceCara Hélène,
Senza dubbio la prima cosa è spiare se stessi. Il che è come chiederti: tu quando scrivi cosa guardi? E soprattutto: cosa ti riguarda? Altrove  – cioè un luogo il cui esser pubblico o pubblicato è ininfluente – avevo scritto: “Prima regola: l’agente segreto è una credenza popolare, una leggenda metropolitana.
Il fatto stesso che lo si dica segreto misura la distanza fra le proprie convinzioni e la realtà. L’essere segreto si custodisce nella speranza che non sia vero.

Nicola Dusi

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Ci sono film che ci colpiscono con la loro apertura al possibile, coniugando tecnologia e immaginazione. Il cinema di fantascienza spesso ci mette di fronte a un futuro prossimo, basato su una logica del verosimile filmico e, al contempo, ci diverte e a volte stupisce con invenzioni, scenari e oggetti inaspettati. Mondi e cose impossibili nella nostra realtà, oppure invece non così improbabili, vicini a noi eppure alternativi, diversi. Se l’immaginazione del futuro ci mostra spesso un mondo il cui il passato è ancora molto attivo, è per creare un effetto di rilievo, che permette di dare maggiore visibilità all’invenzione del nuovo. Ma anche per rassicurare lo spettatore e per inserire la novità in un frame condiviso, uno scenario psicologico e intersoggettivo che ci permette di collocare un’azione raccontata nella sua giusta intenzione narrativa, senza fraintendimenti.

dal libro di Diego Mondella (Pendragon, 2010)

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Introduzione

Benvenuti nel paese degli orrori

«Ma sono come bambini e Dio li ama». (Madame Tetrallini in Freaks, di Tod Browning)

Il mondo immaginato da Todd Solondz ha il sapore di una Moderna Favola Nera. Dove i bimbi non sono semplicemente i destinatari del racconto ma anche gli sventurati protagonisti. Proprio come nelle fiabe classiche, nelle sue storie l’innocenza è minacciata dalla presenza del Male, e la “mostruosità” non è soltanto sinonimo di difetto o imperfezione fisica, ma anche di abiezione morale.

Franco Marineo

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Mettiamo da parte il clamoroso fiume di immagini che ha intasato i canali televisivi italiani all’indomani della confessione di un uomo in merito all’assassinio della nipote. Mettiamo da parte le ore di diretta, la colite  di indignazione e di opinionismo d’accatto, i plastici e le mappe delle campagne di Avetrana. Mettiamo da parte la rabbia on demand accesa nelle teste degli spettatori. Proviamo a guardare ai bordi dell’ennesimo caso di cronaca nera che è diventato, come quasi sempre accade, la bacheca su cui affiggere gli sfoghi più viscerali di un paese che ha bisogno di distrazioni rosso sangue.

Matteo Marelli

uzak_1_Riflessione_sul_rapporto_tra_cinema_e_nuovi_media_2L’avvento di internet nell’universo della comunicazione, e di conseguenza anche in quello dell’audiovisivo, è stato un enorme fattore di cambiamento delle nostre pratiche di consumo culturale.
Riuscire a offrire un quadro esaustivo sull’argomento sarebbe solo una presuntuosa ambizione; la sola operazione possibile è forse quella di fornire delle rotte indicative, consci dell’estrema difficoltà nell’analizzare e rendere conto di un magma difficilmente comprimibile e in continua dilatazione.

Francesca De Ruggieri

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Pelle e pellicola condividono la stessa origine latina, pĕllis, ed entrambe suggeriscono l’idea di un continuo passaggio fra interno ed esterno, di una porosità che ne fa dei media «di contatto e scambio» (Baudrillard 1979, p. 118). Così come la pelle del corpo umano può essere pensata come una membrana che separa il pre-significante dal significante, dando luogo ad un percorso della significazione incarnato, allo stesso tempo la pellicola cinematografica può essere considerata come una membrana di passaggio fra ciò che non ha ancora una dimensione significante e il significante, vale a dire il film nel momento in cui si scontra con il sistema interpretativo di chi guarda.

Luigi Abiusi

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Non la naturalezza (naturalismo) del racconto, ma la coagulazione (riverberazione) dei significati, degli indizi, implicita alla lirica, modulano le sequenze di Bright star, per cui, «fermo foss’io non in solingo/ splendore», a dispetto dell’insidia cronachistica o agiografica, che, quand’anche fosse, sarebbe inscritta nella letterarietà (quindi nel codice) di un Romanticismo precisamente ricostruito. Un congegno d’irradiazione che accosta o sovrappone sequenze (in)naturali (in relazione allo spinto sfarzo della natura), in cui si condensano, si amalgamano, si confondono, come nello spazio (il)logico della poesia, vissuti, psicologie, il fluire apparente dell’atmosfera.

Francesca De Ruggieri

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Il segno distintivo del cinema di Antonio Capuano è sempre stato il suo sguardo lucido su Napoli, critico e addolorato; uno sguardo che nel tempo ha dato origine a scelte stilistiche e narrative originali, che ha comportato una focalizzazione su luoghi e figure ritratti in maniera naturalistica e che ha, spesso, imposto al regista la scelta di giovani attori non professionisti. Il cinema di Capuano è stato spesso definito un cinema scomodo, un cinema impegnato a mostrare ad una società distratta e ipocrita la realtà dura e spesso violenta del sottoproletariato urbano.

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