Comunismo Futuro (2017) ha diversi baricentri, e questo ne fa un’opera sbilanciata, squilibrata, sbilenca, come il sentimento dell’umanità contemporanea senza comunismo. Un centro è il 1917, quando l’esperimento comunista venne tentato in condizioni tali da rendere inevitabile lo scacco e la tragedia. Un centro è l’apocalisse che si è scatenata negli anni della vittoria del nazismo trumpista in America e in larga parte del mondo. Un centro, infine, è a Berkeley, California, 2 dicembre 1964. Cinquemila studenti si incontrano nella piazza del campus per ascoltare Mario Savio (leader del movimento per la libertà di parola che si stava diffondendo) che doveva rendere conto di una conversazione con il direttore dell’Ufficio dei reggenti dell’università.
Il cinema, meglio di altre forme espressive, è in grado di «mettere in scena tutta una fenomenologia dell’atto dello scrivere: la preparazione dei materiali e del corpo, l’attimo magico del primo tocco dello strumento sulla superficie da inscrivere, il movimento ora lento e solenne ora nervoso e veloce della mano»1{R. Eugeni, Le peripezie della lettera, in «Bianco e nero», nn. 1-2, gennaio-aprile 2000, pp- 43-44}. Il processo più accreditato per trasferire sullo schermo il gesto della scrittura (e della lettura) sembra essere l’«audiovisualizzazione»2D. Tomasi, Lezioni di regia, Utet, Torino 2004, p. 84.: quando un testo scritto (o letto) implica dei fatti, il cinema sceglie di abbandonare le parole scritte per inquadrarne il contenuto attraverso richiami e anticipazioni diegetiche oppure tramite divagazioni oniriche.
Sono trascorsi tre anni dai due anniversari concomitanti, più di quanto si possa immaginare. Ai cinquant’anni (d’ora in avanti più uno, più due, più tre...) dall’uscita de I pugni in tasca, la folgorante opera prima di Marco Bellocchio, con cui tutti, proprio tutti si sentirono allora in dovere di confrontarsi per appropriarsene, tentando di connotarla, classificarla, afferrarla, si oppone l’eccesso inverso, il silenzio, tombale e sconcertato, di fronte agli orrori nient’affatto allegorici dell’opera ultima di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma.
In attesa dei cinquant’anni dalla prima di Nostra Signora dei Turchi, un semplice invito a rivedere il cinema di Carmelo Bene.
My filmmaking is personal, visceral, and immediate. It serves as both a means to express my lived experiences and as a tool for deepening my understanding of these experiences. As such, I tend to experiment with all aspects of the filmmaking process - not just materials and media, but also the non-narrative conveyance of meaning through structure and composition. This experimentation truly forms the foundation of my art - an endlessly iterative process of exploration, expression, creation, and revision.
Tempo elastico
Cinema che per molti versi disinnesca il cinema, questo di Ceccarelli, certamente se lo si considera sotto il profilo delle modalità produttive. La lavorazione di un film, per abitudine inveterata di certo cinema “di mercato”, si colloca entro un arco di tempo limitato, e così è per una molteplicità di ragioni economiche, organizzative, logistiche, tecniche. Chuva Oblíqua, che nel richiamo a Pessoa implicita una vocazione intimista e lirica, è sfilato tra la meraviglia degli astanti sugli schermi della sezione "Satellite" della cinquantaquattresima "Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro", segnalandosi da subito per la vocazione cronologica del tutto asistemica rispetto al modello produttivo corrente.
Other game function in yet another way, offering us neither mometary distraction nor capitalistic replication but susteined escapism from our own reality. From famous examples such as The Walking Dead (Ps4, 2012) to Fallout (Ps3, 1997-present), the gaming industry is currently obsessed with apocalypse. Long a staple on TV and cinema screens, the zombie has now become even more prominent on PlayStation and PC.
Meteors è il primo lungometraggio del regista turco Gürcan Keltek. Un esordio sorprendente che ha sedotto gli sguardi di molti degli spettatori della sezione Cineasti del Presente alla 70esima edizione del Locarno Festival, dove è stato proiettato in anteprima mondiale. Vi si ritrovano rari materiali d’archivio sulle operazioni militari turche della tarda estate del 2015 nelle regioni curde dell’Anatolia orientale, quando, dopo un periodo di tregua e di trattative, la situazione precipitò e la Turchia decise di avviare una feroce campagna bellica contro gli autonomisti del PKK.
Facciamo un passo indietro rispetto a One of These Days e arriviamo ad uno dei tuoi primi cortometraggi, Le Liban en Automne. Qui la tua voce fuori campo descriveva il tuo rapporto con il cinema: non idealizzato, non concettualizzato. Continua ad essere lo stesso?
Le Liban en Automne è stato girato subito dopo il conflitto israelo-libanese e mentre molti riprendevano la guerra, io mi interrogavo più sul motivo per cui girare che su cosa avrei girato, quindi il film stesso è diventato per me la prima occasione di pormi la questione: perché fare dei film? Era per me la domanda principale. Anche perché, indipendentemente da cosa riprendi, tutto finisce per parlare prima di te stesso.