Uzak 43 | inverno/primavera 2023

Luigi Abiusi

Ci sono dei temi e delle forme cinematografici (forme e temi strettamente connessi tra di loro) che negli ultimi tempi percorrono, spazzano l'Europa dalla Germania al Portogallo alla Danimarca, all'Italia, lasciando la loro scia eccentrica, fosforica, come un'incrinatura nella concezione narratologica del cinema.

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Giovanni Festa

Un uomo anziano, un po’ curvo, esce dalla casa dove vive, un piccolo alloggio prefabbricato di una periferia americana qualsiasi: lo vediamo in abiti da città, con cappello e cappotto, e immaginiamo stia uscendo per sbrigare qualche faccenda (e, dato il sole, che sia “freddoloso”). L’uomo cammina lentamente, sembra scosso, e fa qualcosa che non ci aspettavamo: si blocca all’improvviso (e la macchina da presa, in maniera involontariamente poetica, indugia un istante prima di mostrarci il motivo della sosta). L’anziano si è fermato ad osservare il cespuglio di rose nel portico e si china per coglierne e odorarne una, avvicinandola al volto, mentre la voce over racconta che i fiori furono piantati dall’amata moglie morta.

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Gustavo Celedón Bórquez

Trad. di Giovanni Festa

In quest’epoca scioccante nella quale il mondo sembra cadere a pezzi nonostante l'ottimismo di vari intellettuali che credono di essere all'avanguardia di un cambiamento epistemologico, intellettuali che stanno già pensando alle proprie biografie, mi interessa pensare di più a ricomporre una biografia impossibile, una sorta di ironia controspeculativa. Qui, comunque, solo un paio di pagine. Si tratta quasi di enunciare un progetto (che non vuole essere per nessun motivo lungo).

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Ivana Peric M.

(Trad. Giovanni Festa)


«Il futuro dove ci fa piombare il passato che amiamo è l’unico futuro sul quale ha senso puntare,

l’unico futuro dove possiamo proiettarci senza tradirci,

mentre viviamo l’unico tempo che ci è dato vivere con il corpo, la mente e tutto il resto: il presente».

(Jonny Costantino)




A causa dell'urgenza di soddisfare necessità ordinarie (dar da mangiare ai figli o pagare l'affitto), ed esigenze creative (realizzare esperimenti visuali o scrivere sull'arte della visione), Stan Brakhage è costretto, tra il 1969 e il 1981, a tenere un corso di storia del cinema ed estetica presso l'Art Institute di Chicago. Come per ogni cineasta americano che pretendesse di sfidare, anche solo un poco, l'industria, quello che all'inizio era un modo sicuro per resistere alla precarietà di tutto ciò che è marginale, diventa occasione propizia per la sperimentazione interna a quel territorio aperto che è il cinema.

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Alessandro Focareta


«La vita non è un gioco, amico. La vita è l’arte dell’incontro».

(Vinicious de Moraes, Sergio Bardotti, Samba delle benedizioni)



C’è una scena nel documentario La vita è un raccolto (Les Glaneurs et la glaneuse, 2001)) dove Agnès Varda attraversa un campo coltivato e raccoglie delle patate a forma di cuore. Esclusi dagli standard delle leggi di mercato, quei tuberi deformi recuperano una dignità grazie allo sguardo della regista che li converte in metafora di una umanità sopravvissuta a un capitalismo spietato e ossessionato dalle forme “lisce e pulite” (1). Qualche anno più tardi le patate-cuore abiteranno il mondo utopico di Patatutopia da cui prende il titolo la video  –  installazione presentata alla Biennale di Venezia del 2003. L’opera concentra su tre canali di grandi dimensioni le immagini di «patate abbandonate, raggrinzite e germogliate di nuovo».

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Alessandra Merlo

A sinistra della foto rifilata con le forbici e ormai un po’ ingiallita, un uomo si concentra nell’azione di prendere la mira (in realtà già di sparare): chino su sé stesso, il corpo e le mani che abbracciano il fucile, l’occhio sinistro chiuso, la bocca tesa nello sforzo (foto nº1a). Non è un cacciatore, né un soldato e neppure un sicario. È un uomo del dopoguerra (sul retro leggiamo: Milano, 24-2-1948; foto nº1b) avvolto in un cappotto un po’ grande, i capelli ben pettinati con la riga di lato, una sciarpa bianca che spunta dal colletto.

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Rodrigo Sebastián

(Trad. Giovanni Festa)

La pittrice Celia Paul ha scritto che «nessun oggetto posto al centro di una stanza o di una galleria, per quanto potente, può catturare l'attenzione con la stessa intensità di un quadro appeso al muro» (1). Le sue parole si riferiscono a uno spazio espositivo d'arte e a oggetti artistici o opere d'arte. Adesso consideriamo le circostanze suggerite dalla scenografia di Laura (Otto Preminger, 1944): in una stanza presieduta da un ritratto, un soggetto/oggetto di desiderio può certamente catturare lo sguardo con maggior forza della pittura.

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Eduardo A. Russo

(Trad. Giovanni Festa)

La figura di Helen Keller (1880-1968), scrittrice, oratrice e attivista che seppe svolgere un'intensa vita pubblica nonostante fosse sorda, cieca e muta dalla primissima infanzia, ha attraversato le generazioni come un caso eccezionale. Fin da piccola ha vissuto le traversie di una vita mediatica. La stampa e l'industria editoriale, poi il cinema, la radio e le presentazioni pubbliche furono incessanti durante una lunga vita divenuta un esempio di superamento di una situazione che sembrava senza via d'uscita. Per più di un secolo il cinema ha illustrato questa presenza attraverso il documento audiovisivo e di finzione.

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Marika Consoli

«Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono» (M. Heidegger)

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Luigi Abiusi

Anche solo soffermandosi su due tra i suoi ultimi film, Bagnoli Jungle e Il buco in testa (Achille Tarallo è una cosa a parte, eppure, a suo modo, parte di questa cosa) sul loro precipitato estetico – una densità dell'immagine, proprio dell'aria che vi si respira; una tridimensionalità sfessata eppure renitente: brulicame di ioni, di nuvolaglie, cieli slavati, a cavallo di Rossellini e Pasolini; epifanie o vere e proprie ierofanie per quanto larvate, pagane – ci si chiede come mai il cinema di Antonio Capuano sia rimasto ai margini dell'apparato cinematografico italiano; per nulla distribuito, o distribuito male, quasi a malincuore (e non se ne capisce il motivo), se è vero che l'ultimo film apparso in sala, in più di una copia, fu L'amore buio nel 2010.

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