immaginesomiglianza

«La figura di Cristo […]. Nulla mi pare più contrario al mondo moderno di quella figura: […] – che – dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando [...] odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione» (Pasolini).

L’inattualità di Cristo è la stessa inattualità di Pasolini: il concetto è da leggersi «nietzcheanamente, come sfasatura anticipatrice» (Marramao).
Una consonanza, a lungo suggerita, che ne Il Vangelo secondo Matteo è addirittura dichiarata con impudenza: «Sono come Cristo – affermerà Pasolini – […] mi identifico con lui perché come lui soffro, come lui pago questa mia “violenza” nei confronti della società, come lui pago questo mio rifiutare totalmente il mondo nel quale vivo» (Pasolini).

Ma in Cristo raccontato da Matteo, Pasolini, oltre alla consanguinea “diversità” morale, ritrova, al culmine del mitico e dell’epico, qualcosa che egli ha sempre febbrilmente avvertito dentro di sé, «quel tanto di misterioso e di irrazionale che ogni vita ha in abbondanza, e che è la “poeticità naturale” della vita» (Pasolini).

Bisogna esporsi (questo insegna
il povero Cristo inchiodato?)

(questo vuol dire il Crocifisso?
Sacrificare ogni giorno il dono
Rinunciare ogni giorno al perdono
Sporgersi ingenui sull’abisso).

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