Marie-José Mondzain è una delle pensatrici più radicali e interessanti della nostra epoca. L’occasione di approfondire il pensiero dell’autrice di Immagine, Icona, Economia e Homo spectator è quella dei due giorni di conferenze e dibattiti organizzata da Tadeu Capistrano (ppgav-eba-ufrj) nella Università Federale di Rio de Janeiro.
Hintermann nel suo intervento scriveva di parole inadeguate per quanto diffuse, quantomeno inadeguate a dire il cinema (ammesso sia una questione di dizione, di definizione delle immagini e non invece un tentativo di approssimarvisi, di interpretarle, ruminarle, farsi ruminare da questa pasta di luce), citando l'aggettivo «derivativo», e da lì si interrogava sulla sussistenza, consistenza della critica.
«Ogni eremita ha la sua caverna dentro di sé e talvolta dietro questa caverna ce n'è un'altra e poi un'altra ancora»
(F. Nietzsche, Epistolario, Vol. IV)
A proposito di mancanze: di vuoti, di spazi residuali, cavità cieche della bocca che esplode, urlo che ingoia il fuoco nelle viscere, nella pancia, scendendo dalla faringe tutta la narrazione in prolessi, pellicola riavvolta di colpo in quella gola, notte, vibrazioni della lingua, deflagrazione; prima ancora che dal velivolo è da qui, da questa cavità corporea che s'apre, si inabissa il nero del destino tra i titoli d'inizio, prefigurando la fine.
Il disorientamento che viene dall’abbraccio, l’ultimo, tra Anna (una malinconica, intensa Rosa Palasciano) e Cristi/Nadia (una Yeva Sai perfetta nei lunghi piani-sequenza) ormai arrese alla libertà di appartenere al proprio destino, lo squilibrio che ne deriva, la visione in lontananza, la distanza peraltro necessaria, assoluta – prima del sole negli occhi a dilatare le pupille, scavandole nell’assenza imminente – rompono la tensione, verso la fine: corsa sull’asfalto, clacson, sguardi che si cercano perdendosi fino a che dura la luce, che si propaga dalla profondità del campo, dietro il vetro, dietro il limite della strada, oltre ancora.
«Rimarrà quello che siamo stati per gli altri…frammenti, immagini di noi, così come loro ci hanno visti. Sogni in cui non saremo mai gli stessi…Magnifici sconosciuti, passeggeri della notte che vivono in noi, fragili ombre riflesse in vecchi specchi, dimenticati in qualche stanza».
Il destino di Maxine è scolpito da un’ambizione feroce e inarrestabile, pronta a sfidare ogni limite pur di conquistare il successo. La sua determinazione travolge non solo le convenzioni del cinema horror, ma anche la percezione stessa di ciò che definisce una star. Maxine Minx non cerca solo la fama: la pretende, e il suo viaggio verso Hollywood culmina in un crescendo di eventi che la consacrano come una delle dive più influenti e disturbanti del panorama cinematografico.
A Home for a Unique Individual, tradotto come Una casa per un singolo individuo, è un'installazione dell'artista e regista Rosa Barba. L'opera è costituita da due proiezioni sincronizzate in 35 mm, la prima proiezione, da un lato, corrisponde a immagini aeree di un accampamento di roulotte, uno spazio distribuito in strade come una cartografia dei modi di abitare un territorio.
Stranger Eyes, il nuovo psicodramma del regista singaporiano Yeo Siew Hua, è un film elegante e tratti sorprendente. E sebbene vi siano un voyeur e le sue vittime, la domanda che sorge spontanea è: chi osserva chi? La vita dei due protagonisti, invisibili abitatori di un edificio geometrizzato, tecnofobico e sovrappopolato, è interferita improvvisamente. La loro unica figlia viene rapita e dei video vengono recapitati loro quotidianamente.