Nel calvario, stillicidio di icone, incarnazioni rudi, ma anche, allo stesso tempo, sotteso, meccanico dispositivo di godimento, di sfogo a occhi spalancati, svuotati, che è il cinema di Schrader, First Reformed appare, anche nella sua nettezza, trasparenza dell'assunto, uno dei punti più alti raggiunti dal cinema contemporaneo, nella misura in cui a un'estetica della scarnificazione, del rigore, della sottrazione di materiale cinematografico si affianca un discorso lucido e disperato sullo stare al mondo in epoca di dissipazione delle concrete possibilità d'esserci.
I colori del noir.
The Canyons
Immagini di sale cinematografiche in rovina, come tanti cadaveri insepolti lasciati a marcire sulle strade, residui di un'apocalisse già avvenuta. Una pestilenza, un contagio, un terribile virus, ha colpito l'immaginario e distrutto i luoghi deputati al suo esercizio, dopo aver distrutto le anime di coloro che ne usufruivano. Se usiamo il termine "anime", trattandosi d'un film di Paul Schrader, ci riferiamo, sì, alla stesura di un testo come Trascendental style in film (1972), ma non intendiamo certo dimenticare il fatto che, nel suo cinema, la rovina delle anime si manifesta sempre tramite il degrado dei corpi, però non in senso moralistico: tanto da lasciar pensare che il corpo stesso sia l'anima.
«La profonda convinzione della mia vita consiste nel credere ora che la solitudine, lungi dall'essere un fenomeno raro e curioso, sia l'evento centrale e inevitabile dell'esistenza umana»
(Thomas Wolfe, God's Lonely Man)
Non più stile trascendentale ma dispositivo di trascendenza? Questa è la prima riflessione che mi viene in mente a quattro mesi di distanza dalla totalizzante esperienza di First Reformed visto a Venezia 74. Proprio nell’anno in cui le piattaforme S-VOD raggiungono la loro massima pervasività sociale, con le polemiche cannensi su Netflix che ci chiedono nuovamente «che cosa è il cinema?» e con la Realtà virtuale veneziana che bussa alle porte del Lido mettendo fuori campo ogni grande schermo. Tutto sacrosanto, tutto urgente, sì ma… quella proiezione rimane l’apice dell’esperienza estetica del (mio) 2017. Perché?
«La vita umana è breve.
Io però vorrei vivere per sempre».
(Ultimo messaggio di Yukio Mishima)
«Nel tentativo di salvarci è andata perduta la verità
di quello da cui avevamo il diritto di stare al sicuro.
Abbiamo perduto la morte».
(M. Blanchot)
«Tu ami veramente il cinema? Dico sul serio. Quando sei stata al cinema l’ultima volta? Quando hai visto qualcosa che ti ha colpito profondamente?»