In utero horroris

Elvira Del Guercio

Una ricognizione nell'universo femminile del cinema horror degli ultimi anni

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di gender gap e disuguaglianza di genere nell’industria cinematografica e nei film. Film che trasmettono sentimenti, stati d’animo, che fanno orrore o piangere; film di ogni tipo in cui poco spazio, o uno spazio per lo più marginale, di puro supplemento, è dedicato all’ideazione e caratterizzazione di personaggi femminili. E se è opinione ormai condivisa che il processo di emancipazione delle donne nato negli anni Sessanta abbia radicalmente modificato la visione e l’immagine femminili nel cinema hollywoodiano e indipendente, oggi, sulla scia dei neonati movimenti, sembra aver preso di nuovo vita, riattualizzandosi, un dibattito più che decennale e che si rifà, guardando specialmente al cinema horror e slasher, alle teoriche queer, femministe e di genere degli ultimi decenni del secolo scorso.

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Beatrice Fiorentino

Il corpo della donna come terreno di riflessione politica. Un corpo all’apice della femminilità, carnale, rigoglioso, fecondo, in attesa di mettere al mondo nuova vita eppure estraneo a qualsiasi cliché legato all’immagine stereotipata e melliflua della maternità. Forte come non mai, forte di una forza inedita e dirompente, ma al tempo stesso fragile, compromesso, goffo, in preda a una incontrollata e tumultuosa trasformazione.

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Alice Cucchetti

In una delle tante interviste rilasciate durante la promozione di Raw, Julia Ducournau dice che, per quanto la riguarda, un coming of age non c’entra niente con l’età: «Può accadere in ogni momento dell’esistenza. Può avvenire con la prima gravidanza, sia per una madre che per un padre, o quando un uomo perde i capelli, o quando una donna entra in menopausa». Poi dà la sua personale definizione: «È un punto di svolta nella vita, in cui il fatto che l’integrità del tuo corpo cambi ti obbliga a mettere in discussione te stesso e la tua identità».

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Vanna Carlucci

L’immagine è un’ombra, spettro che si muove, latente nella luce diafana, errante nel suo imporre una comparsa e, l’istante dopo, una scomparsa, sospesa nel formicolio incessante della sua apparizione ma, «quanto bisogna affondare nella notte per farne emergere, consorgere, l’auroralità?» (Roberti 2012, p. 53). È dentro questa dialettica del cinema come visione fantasmatica che brulicano, in A Girl Walks Home Alone at Night, figure tenebrose, sopravvissute oltre la vita; ed è la notte lo sfondo o lo schermo dentro la quale appare una donna vampiro, creatura estrema e volto lunare nei pelaghi del cielo nero. Sola e silenziosa vaga nel panorama scheletrito sfatto e apocalittico, nel movimento incessante di trivelle che suggono petrolio, suzione che fa il verso a quella vampiresca del morso. Come un angelo, come il giustiziere della notte lei vola sul ciglio della strada, sempre ai bordi, sempre al limite della vita e della morte e sempre al confine tra due mondi: quello iraniano (il suo mantello che è una hijab cita spettri del cinema passati e ancora riviventi) e quello americano (il film è stato girato in California).

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Mariangela Sansone

Da un’acidula melagrana, squarciata e sanguinante, può nascere un pesce rosso che ha fagocitato due tigri pronte ad avventarsi su un innocente corpo femminile nudo, mollemente adagiato tra cielo e terra. Le creature infernali e paradisiache dipinte da Dalì nel Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, del 1944, evocano il tormento e l’estasi della natura umana, e le pulsioni implosive ed esplosive del desiderio.

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