Il corpo della donna come terreno di riflessione politica. Un corpo all’apice della femminilità, carnale, rigoglioso, fecondo, in attesa di mettere al mondo nuova vita eppure estraneo a qualsiasi cliché legato all’immagine stereotipata e melliflua della maternità. Forte come non mai, forte di una forza inedita e dirompente, ma al tempo stesso fragile, compromesso, goffo, in preda a una incontrollata e tumultuosa trasformazione.

È il corpo di Alice Lowe, conosciuta nel Regno Unito come attrice di commedie televisive nonché musa di Ben Wheatley, che nel 2012 le ha affidato il ruolo della protagonista nel folgorante Sightseers. Quattro anni dopo, durante la prima gravidanza che coincide anche con la sua prima volta dietro alla macchina da presa, Lowe decide di mettersi (fisicamente) al centro del racconto per esorcizzare, una per una, tutte le paure femminili che accompagnano il cosiddetto periodo della “dolce attesa”: dal timore per l’abbandono a quello della perdita della propria seduttività, dentro a un corpo del quale non si ha più il benché minimo controllo e in uno stato di allucinata paranoia alla Rosemary’s Baby con innesti cronenberghiani.

Prevenge, titolo che gioca in modo irriverente con l’accostamento delle parole “pregnancy” e “revenge”, azzarda su molti fronti. Nel filone horror del vengeance e dello slasher movie, che si accompagna alle note più leggere di una black comedy dissacrante e spassosa, spinge i canoni del cinema di genere un po’ più in là, perlustrando nuove e inesplorate coordinate, abbandonandosi all’idea di una metamorfosi che presenta risvolti oscuri e che addirittura irride la sacralità che da sempre accompagna la rappresentazione della maternità. Non vi è ambito, scienza, religione o politica, che non faccia un passo indietro di fronte al “miracolo della vita”, contribuendo all’affermarsi di un ideale romantico che poco ha a che fare con il cruento processo di trasformazione che invece brutalmente investe una donna durante la gravidanza. Ed è in questa chiave che Alice Lowe, Ruth nel film, si pone come scheggia anarchica e imprevedibile, antagonista rispetto a ogni convenzione sociale, assetata di vendetta e decisa a uccidere chiunque sia coinvolto e in certa misura responsabile per l’incidente in cui il compagno ha perso la vita (poco importa sapere se sia davvero così). Una “sposa in nero” in preda a una follia omicida che non risponde solo a una spinta irrazionale (la famosa tempesta ormonale), ma anche al desiderio di assecondare le richieste del figlio che porta in grembo, infrangendo così un altro tabù come quello dell’infanzia innocente.



La provocazione di Alice Lowe non è tanto da cercare nel gesto di appropriazione di un genere frequentemente declinato al maschile per capovolgerlo in una prospettiva femminile o femminista, quanto piuttosto nel tentativo di sovvertire un’idea stereotipata della maternità, reinventandola. La sete di sangue di Ruth, con il suo infermo ma altrettanto determinato incedere,  presenta risvolti grandguignoleschi quanto umoristici, a partire dall’idea di mutuare il dialogo intrauterino tra madre e figlio di una commedia blockbuster come Senti chi parla (Look Who’s Talking), ma anche nella vivacità delle allusioni sessuali che ricorrono abbondanti negli scambi di battute tra vittima e carnefice, solo un attimo prima che il delitto si consumi. A sottolineare, in primis, quanto il tema del desiderio (e della capacità di farsi desiderare) sia centrale e dialettico, anche in un rapporto di dominio-sottomissione in cui i ruoli sono imprevedibilmente sovvertiti.

Eros e Thanatos si rincorrono in un movimento circolare perpetuo, come inizio e fine, lutto e (ri)nascita, a partire da un dolore per la perdita che si elabora in una nuova genesi, dove il caos si impone con prepotenza come principio di rinnovamento. Senza mai venire meno a un gusto squisitamente cinéphile, avendo ben presenti modelli cinematografici underground che affondano nel new horror americano degli anni Settanta e nel giallo italiano di Argento (rievocato sia nell’anti-modello femminile che nel sintetizzatore di Toydrum, a ricordare le note dei Goblin), è soprattutto per il suo rivoluzionario senso politico che Prevenge va inserito a pieno diritto nel novero di titoli dell’horror contemporaneo che nell’ultimo decennio sono riusciti a lasciare un segno. Cinema exploitation in grado di imprimere una forte cesura con il passato, andando contro ai canoni e alle convenzioni. Un esordio fulminante dalla natura ibrida che non rinuncia mai al piacere della lucida provocazione.

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