I mostri dell’isola.
Quasi tutti i mostri cinematografici vivono su un’isola, in uno spazio raccolto e remoto, circondato dal mare, che contribuisce a mantenere segreta la loro esistenza – a meno che ,certo, un regista curioso (e avventuroso) non decida di andare a verificare sul posto, come avveniva nel primo King Kong (Cooper e Schoedsack, 1933), l’attendibilità della leggenda. Da vero conoscitore dei gusti del pubblico, il regista si porta dietro una bella ragazza (non importa che sia o no un’attrice, non importa se sappia recitare o no), da inserire comunque nel film, perché una storia d’amore ci sta sempre bene.
Il «mostruoso» si potrebbe definire come un’interferenza nell’ordine delle cose: è mostruoso qualunque evento che provoca, attraverso la sua sconcertante stravaganza, la sua eccedenza, uno strappo violento nel tessuto del quotidiano e che non si capisce bene da dove provenga: è il non completamente focalizzato (registrare la messa a fuoco, ritardarla, procrastinarla, fingerla, è anche una maniera per non lasciarci assorbire dal mostruoso, evitando il faccia a faccia che ci perderebbe). Il mostruoso è il senza fissa natura, perché partecipa nello stesso tempo, e disordinatamente, di molte nature eterogenee insieme (il Capriccio) o di nessuna (l’Ombra). La reazione al mostruoso è la Nausea, che insieme anima l’inerte e si rifiuta di assimilarlo. Nausea che si può considerare, in un certo senso,anche come una forma estrema (e mostruosa) di reticenza.
«Quello che conta prima di tutto è vivere, provare a conoscere sempre di più, scoprire ogni volta il visibile del non visto, l’udibile del non udito, il comprensibile del non compreso, l’amabile del non amato».
(Jean Epstein)
Il procedere per apparizioni, oniriche o ipnagogiche, improvvise o imbricate e diffuse nell’ambiente quotidiano, diventa per Fellini una cifra stilistica che, a partire prima da Otto e ½ e poi, in modo più sperimentale (soprattutto in senso cromatico e in rapporto al gioco delle ombre e delle penombre), da Giulietta degli spiriti, si coniuga con l’altro lato, con l’altro mondo, con un aldilà del tempo e dello spazio, dove si svolge il lavoro dell’inconscio, del rimosso. Ciò significa che l’apparizione è sempre revulsionata nel suo versante d’ombra.
Sono trascorsi 30 anni da quando «Society – The Horror», esordio registico di Brian Yuzna, fu presentato alla rassegna Fantafestival di Roma suscitando reazioni contrastanti. Negli Stati Uniti il film fu distribuito nelle sale nel 1992, solo 3 anni dopo la sua realizzazione (1989). Dopo il periodo dell’edonismo rampante di «reaganiana» memoria che aveva caratterizzato la «società» degli anni '80, nei primi anni '90 la televisione americana «scopre» i segreti di Twin Peaks e l'«icona» della famiglia non sarà più la stessa. Non è più tempo di teen movie o commedie sentimentali dalla rassicurante patina. Beverly Hills è lo spazio emblematico dell’american dream: l'art déco di sontuosi appartamenti, le leggendarie palme, i vip che sfoggiano eleganti abiti e automobili esclusive mostrandosi felici.