risultati per tag: Sergio Sasso

  • La prima immagine di Petrunya (l’attrice i-comica Zorica Nusheva in una sommessa ma solida interpretazione) è in una desolata piscina stagnante e abbandonata. È una persona sola al centro di uno spazio de-finito, arido, senza (un) Dio. Subito dopo si impone (con “note” dissacranti) l’enunciativo, messianico titolo: Dio è donna e si chiama Petrunya.

  • C’era una volta (in America) una lunga strada, un’automobile in viaggio, due coppie di mezza età che parlano di un matrimonio. È solo l’inizio del racconto biografico di Frank (De Niro finalmente all’altezza delle sue migliori interpretazioni), un uomo ormai anziano in un ospizio. 

  • Il dialogo iniziale di The Social Network tra Mark Zuckerberg e la sua ragazza Erica, fondamentale per comprendere il suo concetto di “relazione” che in-formerà questo singolare (falso?) biopic tratto dal fortunato ed esplicativo libro The Accidental Billionaires: Sex, Money, Betrayal and the Founding of Facebook di Ben Mezrich,è contrappuntato dalle note di Ball and Biscuit, con The White Stripes che cantano: «It's quite possible that I'm your third man, girl».

  • Sono trascorsi 30 anni da quando «Society – The Horror», esordio registico di Brian Yuzna, fu presentato alla rassegna Fantafestival di Roma suscitando reazioni contrastanti. Negli Stati Uniti il film fu distribuito nelle sale nel 1992, solo 3 anni dopo la sua realizzazione (1989). Dopo il periodo dell’edonismo rampante di «reaganiana» memoria che aveva caratterizzato la «società» degli anni '80, nei primi anni '90 la televisione americana «scopre» i segreti di Twin Peaks e l'«icona» della famiglia non sarà più la stessa. Non è più tempo diteen movie o commedie sentimentali dalla rassicurante patina. Beverly Hills è lo spazio emblematico dell’american dream: l'art déco di sontuosi appartamenti, le leggendarie palme, i vip che sfoggiano eleganti abiti e automobili esclusive mostrandosi felici. 

  • Il raccontoHeart of Darknessdi Conrad, basato sul viaggio compiuto dallo stesso autore a bordo del vaporetto Roi des Belges lungo il fiume Congo e pubblicato nel 1899, ha ispirato il cinema in più di una occasione. In particolare, nel decennio degli anni settanta del secolo scorso, si afferma una nuova generazione di artisti negli Stati Uniti e in Europa e la letteratura degli inizi del Novecento deve aver colpito l’immaginazione di alcuni di loro. La sete di potere dell’imperialismo angloamericano e la colonizzazione di sconosciute terre aspre e selvagge apre scenari inediti nell’incipiente e rivoluzionario XX secolo come pure la fine degli anni sessanta con le lotte di classe e le aspirazioni libertarie giovanili. Ergo non è casuale che ilNeuer Deutscher Film e laNew Hollywood si incontrano alla reciproca ricerca di ignoti orizzonti e di avvincenti sfide cinematografiche.

  • Paolo Sorrentino sin dal suo esordio cinematografico è stato ossessionato dall’Es, l’intima natura dell’individuo che evoca una scissione della psiche, un riflesso dell’Io, una proiezione del Sé. L’uomo in più nel 2001 narrava di due uomini dallo stesso nome (Tony/Antonio) con una vita e un’indole diverse, tuttavia destinati a incrociarsi. Persino la sua ultima/unica serie televisiva si divide in due: The Young/New Pope.

  • Il buco, scritto (con la talentosa Giovanna Giuliani) e diretto da Michelangelo Frammartino, è un film di immagini fuori dagli sche(r)mi: singolare e tridimensionale. Anche la narrazione parte da una storia inconsueta: nel 1961 un gruppo speleologico di origini piemontesi esplora per la prima volta l’Abisso del Bifurto, denominato anche "Fossa del Lupo", un profondo inghiottitoio di circa 680 metri sulle pendici del Pollino in Calabria. Parallelamente si raccontano gli ultimi giorni di un vecchio pastore indigeno.

  • Il cinema non può che stregare con il suo potere ipnotico, i suoi snake eyes, il piacere della mani-polazione con una protesi meccanica ma adeguata come un guanto, il passo/ritmo sensuale, l’idillio del rito collettivo come un sabba, la conseguente tra(n)s-formazione dello spettatore in testimone/martire di un’esperienza che muore nel tempo di una rappresentazione.

  • Xavier Dolan torna alla semplicità narrativa e al desiderio di leggerezza dei suoi esordi. Matthias e Maxime è la storia di due amici, legati sin dall’infanzia, che si scoprono amanti nell’età adulta. In realtà al talentoso regista non è il soggetto (ormai simile a sue opere precedenti) ad interessare ma le sfumature “sensibili” (e cinematografiche) che implica. Dolan è uno dei pochi che sa dialogare con la macchina da presa e sa mettere in scena le “intime” contraddizioni.

  • “Marriage Story” inizia con il volto/maschera di Scarlett Johansson/Nicole e la mente va a “Persona”, film di Ingmar Bergman che infonde paura e desiderio di vedere il proprio Io nell’abisso della messa in scena. Questa è non solo la “storia di un matrimonio” tra person(a)ema anche tra linguaggi (cinema, teatro, suoni, immagini), è un eterno dialogo (verbale e scritto, conciliante e contrastante) sulla (im)possibile “unione” traform(a)e di rappresentazione.

  • «Molti si rifiutano di credere che l’aldilà non è altro che un freddo infinito vuoto, ma io lo accetto insieme alla libertà che deriva nel riconoscere tale verità.» Il killer di Fincher si pone riflessioni metafisiche perché condannato a vivere un’esistenza liminare, caratterizzata da scetticismo (che esclude la verità assoluta ma non rinuncia alla dialettica), da non scambiare per cinismo (che nega qualsiasi valore e forma di alterità).

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