Il racconto Heart of Darkness di Conrad, basato sul viaggio compiuto dallo stesso autore a bordo del vaporetto Roi des Belges lungo il fiume Congo e pubblicato nel 1899, ha ispirato il cinema in più di una occasione. In particolare, nel decennio degli anni settanta del secolo scorso, si afferma una nuova generazione di artisti negli Stati Uniti e in Europa e la letteratura degli inizi del Novecento deve aver colpito l’immaginazione di alcuni di loro. La sete di potere dell’imperialismo angloamericano e la colonizzazione di sconosciute terre aspre e selvagge apre scenari inediti nell’incipiente e rivoluzionario XX secolo come pure la fine degli anni sessanta con le lotte di classe e le aspirazioni libertarie giovanili. Ergo non è casuale che il Neuer Deutscher Film e la New Hollywood si incontrano alla reciproca ricerca di ignoti orizzonti e di avvincenti sfide cinematografiche.

Nel 1972 Werner Herzog, un promettente regista bavarese, talentoso trentenne, si impone all’attenzione del cinema internazionale con il film Aguirre, furore di Dio. Il protagonista è Klaus Kinski, che si era fatto notare per inquietanti ruoli (da un cameo ne Il dottor Zivago a parti di maggior rilievo negli spaghetti western). Nel 1979 Francis Ford Coppola, un affermato quarantenne cineasta di Detroit, vince la Palma d’oro a Cannes con Apocalypse Now. Marlon Brando, nei panni del colonnello Walter E. Kurtz si distingue per un’interpretazione memorabile in cui (ri)prova (dopo Ultimo Tango a Parigi) a (ri)porre la maschera da Actor's Studio. In entrambi i casi i due attori evocano le suggestioni e le atmosfere di Cuore di tenebra.

L’ambiguo condottiero Lope de Aguirre, schizofrenico traditore dell’esercito spagnolo, guida una spedizione di conquistadores su una zattera con l’ambizione/miraggio di trovare El Dorado, il suo paradiso terrestre. L’oscuro ufficiale Kurtz, folle disertore pensa di aver trovato la sua terra promessa tra le montagne di una insidiosa giungla della Cambogia ed è il comandante di un popolo di indigeni disposti a tutto. Aguirre è in viaggio per le ripide acque del fiume, Kurtz ha raggiunto la sua meta e si è insediato: ambedue sono reduci da un graduale distacco dalla civiltà e si specchiano, ormai destinati a perdersi, nel buio del loro animo, in uno stato di progressiva allucinazione. 

Il loro sguardo fenomenologico è amorale e riflette la volontà di potenza occidentale dell’Übermenschche/Oltreuomo di Nietzsche, poi criticato da Freud, “al di là del principio di piacere”, che non crede nell’esistenza di questa pulsione interiore alla perfezione se non nelle sembianze di una delirante illusione senza salvezza. I loro seguaci sono come spiriti che incedono in un surreale limbo, in eterna attesa di un destino comune: militari e/o indios avvolti in una nebbiosa brama di sopraffazione che altera o adombra i tratti somatici e suggerisce il transito in una “zona morta”. I nativi della foresta, luogo primordiale per antonomasia, sembrano in trance indotta da voci sciamaniche e da costumi tribali. 

Aguirre e Kurtz si muovono tra cadaveri in un paesaggio infernale, prigionieri di una febbre onirica. Dai toni di voce trapelano la rinuncia ad ascoltare, lo scollamento dalla realtà, superbia e cinico disprezzo per il prossimo. Essi enunciano la loro visione del mondo, la propria (dis)umana indole, il rapporto con la Natura con affermazioni di pre-potenza e di rivalsa quali: «Sono il furore di Dio, la terra che io calpesto mi vede e trema» e/o «Ho osservato una lumaca strisciare lungo il filo di un rasoio, questo è il mio sogno: scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere». Indubbiamente sono tragici e luciferini eroi affascinati dall’orrore, fedele compagno di (s)ventura. Il loro nemico (uomini con silenziose frecce) è invisibile (come per magia) e non ha esitazioni, è un barbaro guerriero votato al sacrificio (come in una religiosa espiazione).

Le luci di Thomas Mauch su Aguirre e di Vittorio Storaro su Kurtz esaltano naturalmente la loro figura totemica, incarnazione dell’inconscio collettivo che riconosce la sua essenza violenta, repressa dalla devozione all’Ordine (costituito). Il desiderio ancestrale di dominio sul Caos, latente nello stato (auto)ipnotico in cui sono immersi i due personaggi/interpreti, non può che affiorare in funeste circostanze sulle note sublimi(nali) dei Popol Vuh e/o dei  Doors.

Totem e tabù, testo fondamentale di Freud, si sofferma sulle analogie tra vita mentale dei primitivi e quella dei nevrotici civili applicando la psicanalisi nell’antropologia e considerando la religione/cultura come superstizione e tabù, “schermi” atti a nascondere/inibire pericolosi istinti come l’omicidio paradigmatico del padre/totem, posto a governare il clan, temuto e rispettato, da parte dei figli/adepti che sentono il richiamo del sangue. Evidenti l’attrazione incestuosa di Aguirre per la figlia (esemplare la dichiarazione d’intenti: «quando regnerò questa terra sposerò mia figlia. Avremo una razza pura» e il sentimento edipico del capitano Wilard che ha il compito di uccidere Kurtz. Anche la Storia è un tabù da esorcizzare, non più verità ma messinscena da (s)montare, non più frasi rivolte al passato ma al futuro: «costruiremo la storia come gli altri allestiscono uno spettacolo».

Il cerchio si chiude/stringe come nella splendida sequenza finale di W. Herzog che gira come un serpente attorno alla barca e al corpo di K. Kinski mai domo e fatalmente si sovrappongono le ultime parole del capolavoro di F. F. Coppola riferite all’imponente personalità di M. Brando: «Voleva solo andarsene da soldato, in piedi. Non come un povero pazzo cencioso e rinnegato. Persino la giungla lo voleva morto e in fin dei conti era proprio dalla giungla che lui prendeva ordini».

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