Teorie

Mariangela Sansone

Ci sono tele davanti alle quali si resta ipnotizzati, che impediscono di distogliere lo sguardo e che fanno scivolare in una vertigine mistica, tra le pennellate impastate di colore ematico, i confini del reale slittano in un immaginario di incubi e sogni confusi, in un deragliamento mesmerico dei sensi.

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Marika Consoli

Resta, dopo che i titoli di coda hanno danzato obliqui come le onde, apparsi nel cobalto che si dilegua frastagliato sullo sfondo, la memoria di alcuni versi di Baudelaire: «[…] Moi, je buvais, crispé comme un extravagant, / dans son oeil, ciel livide où germe l’ouragan, / la douceur qui fascine et le plaisir qui tue. / Un èclair…puis la nuit! […]», è lo shock, la sopravvivenza di quello sguardo che ha affascinato e ucciso, un’esperienza artistica che ha molto dello sconvolgimento erotico, soprattutto se volutamente, come credo, la sintagmatica di Drift si fosse sottratta all’ultimo, estremo gesto degli abissi.

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Elvira Del Guercio

Alle rive dello Scamandro

Durante il tragitto che li avrebbe condotti lontano dall'Ade, Orfeo si sarebbe voltato soltanto sulla soglia del mondo dei vivi, secondo il mito, convinto che anche Euridice fosse ormai del tutto fuori. Si sarebbe potuto fermare lì per un momento, ancora in piedi, timoroso, le viscere che gli si contorcevano per l'impazienza, la felicità per le prove d'amore superate, con lo sguardo e il pensiero rivolti al futuro così tanto atteso; avrebbe potuto attendere un cenno di lei, un tocco anche debole che l'avrebbe fatto rinsavire, dimostrandogli la realtà della presenza, o meglio, dell'esistenza di Euridice. E non soltanto l'illusione. Ma Orfeo ha "egoisticamenente" scelto per sé e per l'altro, assorbendone il destino e, come afferma Marianne in Ritratto della giovane in fiamme, volendo conservare il ricordo di un amore che non avrebbe mai più subito i rivolgimenti del tempo.

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Mariangela Sansone


Napoli, la città del sole, non è mai stata così plumbea e piovosa, l’atmosfera sembra proprio quella dei noir hongkonghesi e il cielo è intriso dell’odore della polvere da sparo e del sangue. Sangue chiama sangue, dice Peppino Lo Cicero, in pensione dal crimine da qualche tempo, ma un delitto come quello subito dall’ex-criminale non può restare impunito. La pioggia scende sulla città regalandole le ombre di una tela impressionista, un paesaggio dai contorni nebulosi e indefiniti. Il tono seventies lo si avverte sin dai titoli di apertura, colori sgargianti, tra tutti un giallo saturo su cui spiccano figure nere stilizzate.

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Sergio Sasso

La prima immagine di Petrunya (l’attrice i-comica Zorica Nusheva in una sommessa ma solida interpretazione) è in una desolata piscina stagnante e abbandonata. È una persona sola al centro di uno spazio de-finito, arido, senza (un) Dio. Subito dopo si impone (con “note” dissacranti) l’enunciativo, messianico titolo: Dio è donna e si chiama Petrunya.

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Elvira Del Guercio

Il desiderio di «fare Uno con l’Altro» e di possederlo si configura come una forza pervasiva della vita umana, attraversandola come un primitivo alfabeto costruito su un duplice impulso: di unione e disgregazione. Nel momento stesso in cui si entra in relazione con qualcosa di estraneo da sé, aprendosi a uno specifico oggetto del desiderio, la forza apodittica iniziale si perde come si perde, nella conoscenza dell’altro, o meglio fondendosi nell’altro, anche la propria identità e Mademoiselle di Park Chan-wook parte proprio da questo punto.

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