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  • Alle rive dello Scamandro

    Durante il tragitto che li avrebbe condotti lontano dall'Ade, Orfeo si sarebbe voltato soltanto sulla soglia del mondo dei vivi, secondo il mito, convinto che anche Euridice fosse ormai del tutto fuori. Si sarebbe potuto fermare lì per un momento, ancora in piedi, timoroso, le viscere che gli si contorcevano per l'impazienza, la felicità per le prove d'amore superate, con lo sguardo e il pensiero rivolti al futuro così tanto atteso; avrebbe potuto attendere un cenno di lei, un tocco anche debole che l'avrebbe fatto rinsavire, dimostrandogli la realtà della presenza, o meglio, dell'esistenza di Euridice. E non soltanto l'illusione. Ma Orfeo ha "egoisticamenente" scelto per sé e per l'altro, assorbendone il destino e, come afferma Marianne in Ritratto della giovane in fiamme, volendo conservare il ricordo di un amore che non avrebbe mai più subito i rivolgimenti del tempo.

  • «Su di noi
    il tempo ha già giocato, ha già scherzato
    ora non rimane che
    trovar la verità […]».

    Parla piano, Vinicio Capossela

    Quello che sappiamo del nostro vissuto, riconoscendolo in ultima istanza come tale, è prevalentemente un’impronta perdurata dall’esperienza del passato. Arresa dell’essere e della coscienza al tempo, il quale si fa crogiolo di tracce, segni, immagini assimilate dal mondo e riproposte in una diacronia imperfetta fatta di momenti sempre nuovi e, allo stesso tempo, già vissuti. O ricordati, per l’appunto, trascinati al presente in nuove potenziali versioni di loro stessi; richiamati alla memoria in modo “circolare” nel tentativo di decifrare – come farebbe un occhio fotografico che tenti la messa a fuoco – l’immagine sfuggente che si è frapposta tra la cosa e la sua passata percezione. La prima ricerca umana possibile è, dunque, quella che scava nei ricordi. Di un soggetto sempre più esitante rispetto al reale, così condotto all’indagine mnemonica e alla sfida del riconoscimento dell’oggetto in una sorta di “passato-presente”.

  • Il desiderio di «fare Uno con l’Altro» e di possederlo si configura come una forza pervasiva della vita umana, attraversandola come un primitivo alfabeto costruito su un duplice impulso: di unione e disgregazione. Nel momento stesso in cui si entra in relazione con qualcosa di estraneo da sé, aprendosi a uno specifico oggetto del desiderio, la forza apodittica iniziale si perde come si perde, nella conoscenza dell’altro, o meglio fondendosi nell’altro, anche la propria identità e Mademoiselle di Park Chan-wook parte proprio da questo punto.

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Napoli, la città del sole, non è mai stata così plumbea e piovosa, l’atmosfera sembra proprio quella dei noir hongkonghesi e il cielo è intriso dell’odore della polvere da sparo e del sangue. Sangue chiama sangue, dice Peppino Lo Cicero, in pensione dal crimine da qualche tempo, ma un delitto come quello subito dall’ex-criminale non può restare impunito. La pioggia scende sulla città regalandole le ombre di una tela impressionista, un paesaggio dai contorni nebulosi e indefiniti. Il tono seventies lo si avverte sin dai titoli di apertura, colori sgargianti, tra tutti un giallo saturo su cui spiccano figure nere stilizzate.

  • Punto primo. La prima coincidenza de Il traditore ci riporta sui sentieri battuti del rapporto di lunga durata tra Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci, che si spinge persino oltre la prematura scomparsa di quest’ultimo. Tra i due c’è sempre stata e continua ad esserci una segreta, sottile, sotterranea concomitanza che va ben al di là della conclamata e creata ad arte competizione o conflittualità. Una segreta corrispondenza piuttosto continua a legarli.

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